Intervista a Marco P.L. Bernardi




A tu per tu con l’autore


Sono rimasta molto colpita da personaggio di Ennio Alfieri, dalla sua profondità e dai suoi silenzi, e allo stesso modo, in contrapposizione, don Mario Scassa, suo grande amico, anche lui estremamente sensibile ma dall’aspetto contraddittorio rispetto al ruolo. Vuoi parlarci di queste due figure così diverse ma così legate l’una all’altra e magari, raccontarci quando vi siete incontrati? Siete andati d’accordo da subito?

Alfieri è l’emanazione di molti personaggi chiave della mia vita: ha aspetti del carattere e passioni che ho derivato da mia moglie, dai miei genitori, dai miei affetti più cari. Mio nonno Paolo era un avvocato torinese e su di lui ho modellato, in modo più o meno conscio, la fisicità di Ennio e alcune  delle sue caratteristiche. In comune col mio protagonista ho anch’io alcuni lati del carattere e molti interessi. Anche Mario è derivato da persone care ed è, per molti versi, completamento e contraltare di Alfieri. Li ho incontrati quasi contemporaneamente all’inzio della stesura del mio primo romanzo giallo, “Cocktail d’anime per l’avvocato Alfieri”, e  ci siamo subito trovati simpatici.

Attorno ad Alfieri vi è una serie di figure che hanno ruotato o ancora lo stanno facendo. Dalla signora Catlina che gli cura la casa, all’avvocato che si è occupato di lui assieme a sua moglie, poi c’è la paziente Elvira, il vicecommissario Ranieri e non dimentichiamo Beppegaribaldi, una figura alquanto particolare. Anche per loro, a mio avviso, si rileva la stessa cura che hai dedicato per i tuoi personaggi principali nella costruzione psicologica. Hai voglia di presentarli a chi ancora non li conosce?

Comincerò a parlarvi di Beppegaribaldi, il canarino permaloso e prepotente di Alfieri. Con mia sorpresa, è il personagio di cui tutti mi parlano alla fine della lettura dei romanzi: da bravo  uccellino si limita a cinguettare, ma è un amico imprescindibile per Ennio, che sovente dialoga con lui e lo colma di un affetto premuroso. Catlina si prende cura della casa dell’avvocato fin da quando era bambino: rappresenta la sapienza popolare, l’arcana capacità di comunicare con gli spiriti della natura e del tempo. Elvira è l’amore maturo e paziente, disposto a vivere nell’ombra di un antico sentimento mai sopito. Ranieri è un poliziotto pasticcione, ma volenteroso e di buon cuore:  soprannominato “il Gagà” per l’eleganza desueta e il parlare forbito, è un aiuto fondamentale per lo sviluppo delle indagini. Infine l’avvocato Rosetta e la moglie sono il tramite tra Torino e Sanremo, località in cui svernano in perpetuo.

Ciò che per trentasette anni ha torturato e “fermato” la vita di Alfieri è la sofferenza per “un’assenza ignota” che ha finito, praticamente, per mettere uno stop alla vita completa dell’avvocato, riferendoci ovviamente al suo aver scelto di essere un sopravvissuto, piuttosto che riprovare a vivere appieno. Cosa puoi dirci, nei limiti del rispetto per i lettori che ancora non lo conoscono?

Alfieri è un uomo fedele: fedele nell’amore, nell’amicizia, nelle passioni. E anche nei ricordi. Il legame con questa “assenza” è caratteristico del suo volgere lo sguardo indietro per non dimenticare e per non essere abbandonato dal proprio passato. La vita ha fatto il suo corso, gli ha regalato soddisfazioni professionali, gli ha donato sensibilità, ricchezza d’interessi e soprattutto amici sinceri, ma quella presenza/assenza è rimasta scolpita nel suo cuore, in una sorta di eterno presente in attesa dell’ignoto, quasi un presentimento costante.

Hai collocato il romanzo su due assi temporali completamente diversi, ossia il 1936 dove ci arriviamo con i ricordi di Alfieri e il 1973, ovvero il presente del romanzo ed entrambi, risultano comunque periodi di importanti cambiamenti a livello storico e sociale. Come mai?

Alfieri vive la sua giovinezza in anni difficili: antifascista, soffre la situazione politica di quegli anni e il suo orientamento politico lo mette nel mirino delle violenze di regime. Il ’73 è l’anno nel quale i fili, lasciati in sospeso 37 anni prima, si riannodano improvvisamente.

Ogni libro Frilli è caratterizzato da luogo, che rivendica il diritto di diventare protagonista dell’intera storia, a modo suo. Qui però si passa da Torino a Sanremo, attraversando luoghi particolari e fra tutti due cimiteri storici, che finiscono per dare un inizio e una fine della storia oltre che, diventare i veri detentori dei segreti di tutto il mistero. Come una voce che cerca di dar voce a chi non c’è più. Com’è arrivata la decisione di un’ambientazione così particolare? Erano luoghi che già conoscevi dapprima? Cosa ti lega a queste due regioni?

Torino e Sanremo sono i miei due luoghi del cuore: Torino è la mia città, alla quale sono fortemente legato e che ho amato far rivivere all’inizio degli anni ’70, quelli della mia prima infanzia. Sanremo è il luogo delle mie vacanze: i miei nonni ci vivevano per lunghi periodi ed io trascorrevo le estati della mia infanzia e della mia adolescenza a casa loro, dove amo tornare ancora adesso. I cimiteri storici esercitano un fascino enorme su di me: quelli di Torino e di Sanremo sono ricchi di personaggi che hanno vissuto vite uniche: da quelle vite e dai loro monumenti, talora autentiche opere d’arte, emana un’atmosfera complice e sospesa, che ho cercato di rendere nelle pagine di  “Giallo profumo di limoni”.

Il tuo, è un romanzo che mi ha colpita molto per la profondità delle riflessioni dei personaggi, e ad un certo punto, infatti don Mario Scassa, in un momento di profondo scoramento riflettendo afferma: “Va sempre a finire così con gli scontati, di tutti gli addii i più brutali…”  e lo fa, pensando a come è facile dare per scontato chi c’è, anche se lontano, senza cercarlo per sapere come sta perché è normale che sia in un determinato luogo, fino a quando giunge la notizia della morte che rende tutto definitivo e ti provoca solitudine e senso di colpa, per il tempo che hai sprecato, per i sorrisi mancati, l’aiuto ignorato, l’abbraccio in più mai dato. Come si pone Marco Bernardi davanti a questa riflessione? La condivide in pieno?

Sì, certo. La condivido in pieno e la lego non soltanto all’amicizia, ma a tutti gli affetti. Non conviene mai rinviare al giorno dopo una parola, una telefonata, un abbraccio, un bacio. Siamo troppo precari per rinviare al domani.

Un Alfieri sempre più disincantato, ad un certo punto esordisce così: “Beato te, Mario, che ancora ti commuovi. Io non riesco più a ricordarmi com’era sognare quei sogni…”.  Sulla base di questo momento così intimo, pensi che Ennio, ora, riuscirà a ricominciare a guardare più verso il futuro?

Alfieri è un idealista: ha rinunciato perfino alla sua professione per coerenza. Un idealista coerente ha lo sguardo talmente rivolto al futuro da sacrificarvi il presente.

Rispetto a quest’affermazione interessante: “La gente di mare è più chiusa di quella di montagna…”, come la vedi? Nel senso che ad esempio, io vivo in collina da anni ma le mie origini mi collocano in montagna, dove ho vissuto in un piccolo paese con la famiglia e confermo che da noi le persone sono piuttosto chiuse, diffidenti. Riconosco però che con l’aver cambiato ambiente, almeno un po’ sono cambiata anche io. Tu, invece, ti adatti al luogo in cui ti trovi o ti porti sempre “sulla schiena” ciò che hai naturalmente acquisito e mantenuto nel tempo?

Mi piace vivere intensamente i luoghi e amo contaminare i miei gusti, esplorare le città sconosciute, respirare le ampiezze del mare e della montagna, ma resto sempre e comunque un torinese doc.

Premettendo che io non sono una tifosa di calcio, ma in casa subisco il tifo dei maschi di famiglia, quest’anno alquanto delusi, visto che Alfieri è un gran tifoso del Toro ti chiedo: “Tu il calcio lo segui o te ne stai debitamente alla larga?”

Io sono un grande tifoso del Torino e discendo da generazioni di tifosi granata. Per il sito toronews.net curo la rubrica musical-letteraria “Lasciarci le penne”. Insomma, per me il calcio è una cosa veramente seria.

Hai già nuovi progetti in mente, o magari nascosti nel computer, già pronti o in fase di lavorazione per il futuro? Sentiremo ancora parlare di Ennio e don Mario?

Il terzo lavoro sulle indagini di Alfieri e don Scassa è già delineato, almeno in fase di abbozzo. Adesso inizia l’interminabile fase di messa a punto, rilettura e revisione, che normalmente mi impegna per anni. Tenterò di abbreviare i tempi, mantenendo l’obiettivo di consegnare alle stampe un libro che sia il migliore possibile… Lo devo ai miei lettori.

Marco Bernardi è anche un lettore appassionato? Se sì, quali sono le sue letture di riferimento e poi, c’è spazio anche per gli autori nordici?

Sono un appassionato lettore: mi definierei onnivoro, con una speciale passione per alcuni classici del Novecento, come Hemingway, Garcia Lorca, Pessoa. Limitando il punto di vista alla letteratura gialla, mi piacciono molto i Polar, polizieschi noir francesi alla Fred Vargas. Per quel che riguarda i gialli nordici, ho apprezzato la trilogia di Stieg Larsson e “Il senso di Smilla per la neve” di Peter Høeg, all’epoca un’autentica rivelazione.

Grazie da parte mia e da tutta la redazione Thrillernord.

Loredana Cescutti

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