Intervista a Mario Mattia




A tu per tu con l’autore


Partiamo dall’autore, per conoscerci meglio… “L’ultima ombra d’estate” è il tuo romanzo d’esordio: ci racconti chi sei e come sei arrivato alla scrittura? Come mai hai scelto di esordire con un romanzo crime? Chi sono stati i tuoi scrittori di riferimento? Ci sono autori nordici, tra i tuoi preferiti? 

Sono un geofisico e lavoro da più di venticinque anni all’Osservatorio Etneo dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) e, ci tengo a sottolinearlo, quello resterò! Scrivere è una via di mezzo tra passione e lavoro vero e proprio, per me. E il mio lavoro è stato importante in questa scelta, visto che la prima volta che ho sentito la necessità di scrivere per mettere su carta sensazioni, emozioni e, soprattutto storie è stato durante i quasi dieci anni che ho trascorso a svolgere attività di ricerca e monitoraggio nella Valle del Belice, colpita da un disastroso terremoto nel 1968. Incontrare le persone che avevano vissuto quel tragico evento e ascoltare da loro come hanno vissuto dopo quell’evento, nella zona di Italia più povera e dimenticata, mi ha, in un certo senso, sconvolto. Da lì è stata tutta una veloce e bellissima avventura che mi ha portato a pubblicare il mio primo romanzo nel marzo 2023, per la casa editrice Piemme. Un esordio tardivo, dunque, e, citando una celebre battuta di Gesualdo Bufalino, “ancora un po’ di pazienza e avrei esordito da postumo.”

I miei scrittori di riferimento? Non molti e tutti siciliani: Brancati, Sciascia, Patti, Bufalino, Consolo, Bonaviri, Tomasi di Lampedusa. E Verga, ovviamente.

Nordici? No…li ho letti ma siccome sono provinciale dentro, nell’anima, non posso dire di amarli.

Ah…dimenticavo…nutro una strana passione per la letteratura giapponese! Oe, Mishima, Murakami…devo ancora capire perché, visto il mio provincialismo. Deve esserci un legame letterario, da qualche parte, tra il Giappone e la Sicilia!

Riguardo l’esordio “crime” esso è legato, come sempre succede, alla passione per questo tipo di letteratura. Della letteratura gialla in generale mi attira il fatto che i personaggi sono messi di fronte a sé stessi ed ai propri limiti da un fatto improvviso e gravissimo. E questo permette di osservarne la vera, intima natura, al di là delle convenzioni sociali.

Il tuo romanzo è ambientato nella Licata degli anni Settanta e restituisci quei luoghi e quei momenti con grande capacità descrittiva: ci si sente proprio lì. Quanto c’è di autobiografico nel tuo racconto? Cosa hanno rappresentato per te quei luoghi e quel periodo? Perché hai scelto di raccontarceli?

Non credo di dire una novità nell’affermare che riportare nei propri scritti ambienti, suoni e colori dei posti che si conoscono è una ”comfort zone” dello scrittore. Che gli permette con facilità di creare il palcoscenico adatto per far muovere e recitare i propri personaggi. E io ho solo fatto questo. Il ragazzo che passava qualche settimana l’anno in vacanza nelle spiagge di Licata ero io. L’ambiente e, non lo nego, qualche personaggio, erano quelli che ho frequentato. Se poi mi dici che sono riuscito a far “vedere” quei luoghi e quei momenti anche a chi ha letto il romanzo…beh…è un complimento che mi piace moltissimo. La scelta di raccontare certi posti e certi ambienti è stata studiata e pensata. C’erano tutti gli elementi: uno dei tanti paesi siciliani che ha subito il “sacco” urbanistico ad opera di speculatori e affaristi, spiagge meravigliose, di quelle che a ricordarle adesso, a tanti anni di distanza ti fanno sentire il “cuore nello zucchero”, un’ambiente familiare molto originale, anzi direi abbastanza fuori dal comune e le contraddizioni di una Sicilia che aveva appena imboccato la scivolosissima strada dello “sviluppo”. Un mix che ti strappa letteralmente le parole dalla penna…

“L’ultima ombra d’estate” è imperniato sulla figura di Marco, il protagonista, che sta vivendo un momento molto particolare del proprio percorso di crescita: appartiene a un contesto sociale benestante, ma abbraccia in pieno una visione rivoluzionaria, fino a intraprendere un percorso drammaticamente estremo. A chi ti sei ispirato per delinearlo? Possiamo considerarlo un personaggio emblematico rispetto alle scelte di alcuni giovani meridionali del periodo? Quanto erano diffusi ideali di tipo rivoluzionario in quel contesto giovanile, così profondamente differente rispetto a quello delle città industrializzate del Nord?

Marco è stato il personaggio più semplice da delineare. Di ragazzi come lui ne ho incontrati tanti, tra gli anni 70 e 80 dello scorso secolo. Seri, poco disponibili a scherzare e ridere, pronti ad infiammarsi per difendere un diritto violato, molto coinvolti in politica e disposti a mettere in pratica nella vita di tutti i giorni dettami ideologici mutuati da letture e testimonianze. Non tutti questi ragazzi hanno fatto scelte estreme, solo pochissimi. E alcuni sono partiti dal sud e dalla provincia italiana per mettere in pratica nel nord Italia, dove esisteva il substrato necessario, ovvero le masse operaie, ipotesi rivoluzionarie ispirate al comunismo. Ma al di là della base “storica”, ciò che mi interessava rappresentare era la parabola di una generazione, soggiogata dalla rabbia per una società immutabile nei suoi aspetti fondamentali e illusa da ideali che vedevano nella violenza l’unico sistema per ribaltare uno status quo oggettivamente pesante. Per caratterizzare Marco ho ascoltato ore ed ore di interviste a leader e militanti della lotta armata, cercando di carpire le ragioni profonde di quella scelta folle e di distinguere quelle personali da quelle ideologiche.  

Non manca nel tuo romanzo un coinvolgente coté sentimentale, che ha per protagonisti Marco e Tiziana, altro personaggio di notevole spessore. Il loro percorso apre alla narrativa sentimentale e di formazione, in un contesto narrativo che potremmo definire tragico nel senso più classico del termine. Che tipo di sentimento hai voluto raccontare?

Il rapporto che esiste tra Marco e Tiziana è speciale perché è di quelli che nascono da una intesa profonda, addirittura fin dall’infanzia. In questo senso Tiziana è il corrispettivo femminile di Marco, decisa, volitiva, di cultura europea in un periodo in cui questo privilegio era riservato a pochissimi, soprattutto in Sicilia. Ma, come nel caso di Marco, l’urto con ciò che le accadrà rivela la sua vera natura. Troppo fragile per sopportare un trauma, troppo innamorata per dimenticare e andare oltre. Tiziana, come dici tu, è il vero personaggio tragico del romanzo. La bellezza e la perfezione che quasi sfida gli dei e da essi viene condannata alla sofferenza. Riguardo il genere di “appartenenza” del mio romanzo non mi nascondo e dico che non è un giallo tipico. I canoni del giallo sono rispettati solo in parte e prevale il racconto di una storia personale dove l’elemento giallo rappresenta la rottura di un equilibrio e l’inizio di un percorso di cambiamento. 

Nel tuo romanzo hanno molto peso i personaggi femminili, penso, ad esempio, alle simpaticissime cugine, oltre a Tiziana: come ti sei approcciato a loro? È stato agevole calarti in un universo psicologico e sentimentale così complesso e differente anche rispetto a quello attuale?

Non ho avuto difficoltà con i personaggi femminili. E non credo che sia necessaria una speciale sensibilità per scriverne. Uomini e donne fanno parte entrambi dell’universo sociale in cui viviamo tutti i giorni e certe specificità legate al genere, almeno per me, sono naturali e non necessitano letture particolari. Forse questa serenità nell’approccio al femminile aiuta, non lo so, lascio al lettore il giudizio. Diverso è il discorso se parliamo della difficoltà di rendere realistico e credibile il contesto degli anni 70 dello scorso secolo. Perché i ricordi non bastano. Mi è servito studiare e calarmi in uno stile di vita molto diverso dall’attuale. Non è stato facile e non sono sicurissimo di esserci riuscito. Era un periodo dove convivevano la leggerezza figlia dell’ottimismo del decennio precedente e la rabbia estrema per un mondo culturale e sociale che tardava a cambiare. Una contraddizione fortissima, una società spaccata in due tra rivoluzionari e conservatori. 

Attraverso la narrativa di tensione, porti in emersione lo spaccato sociale della Sicilia di quel periodo, una certa mentalità affaristica propria dei “notabili”, collusa più o meno consapevolmente con le attività mafiose, ma anche i fermenti sociali degli anni Settanta e i percorsi drammatici del terrorismo, soprattutto al Nord. Quali sono gli aspetti, le “ombre”, che hai voluto evidenziare? Secondo te, la narrativa può aiutare la comprensione e il ricordo di fenomeni e momenti storici del nostro passato?

Il tentativo, non so se riuscito o meno, di descrivere quella trama di rapporti e interessi che permeava la borghesia affarista degli anni 60 e 70 è una delle chiavi del mio romanzo. Spero che al lettore resti, dopo la lettura, il dubbio se quei borghesi che parlavano, in modo sincero e non solo per nascondere la verità, di “sviluppo” attraverso l’investimento in un’edilizia tesa a far lievitare le dimensioni delle città siciliane, fossero brave persone o delinquenti incalliti. Perché questo è il dubbio che coltivo anche io dopo tanti anni. È possibile che il “grigio” di chi sfruttava il territorio per interessi privati ma che, non c’è dubbio, ha portato lavoro in una terra disgraziata e dimenticata dallo Stato sia stato un passaggio inevitabile, quasi scontato? È possibile che queste persone siano state costrette a subire anche loro l’imposizione dell’aiuto “militare” mafioso, in assenza del minimo di tutela dei diritti da parte dello Stato? Dubbi…nessuna certezza, ovviamente. In questo ha sicuramente contribuito la conoscenza che ho maturato sui percorsi allucinanti della ricostruzione nel Belice dopo il terremoto del 1968. A scanso di equivoci, parlo di un periodo in cui questa “purezza” di certa classe borghese poteva ancora essere invocata. Poi, è storia nota, la brama di denaro e potere ha preso il sopravvento e con esse, la violenza del “supporto” militare mafioso.  

In questo, ne sono convinto, la narrativa può aiutare ad aumentare la consapevolezza e la conoscenza della storia del nostro paese e della Sicilia in particolare. Una versione moderna della canzoncina di Mary Poppins, in un certo senso, infatti, “basta un poco di zucchero e la pillola va giù…”

Puoi anticiparci qualcosa sui tuoi progetti futuri?

Ho un romanzo in cantiere. È ambientato nel 1931 e prende spunto da alcuni tragici fatti di sangue accaduti davvero a Catania. Da lì, come è mia abitudine, il discorso si allarga per raccontare un pezzo della storia d’Italia con il quale fatichiamo ancora a fare i conti, che è il nostro colonialismo. Ancora una volta una piccola provocazione culturale che, spero, troverà accoglienza presso qualche casa editrice. E poi una raccolta di racconti ambientati sui vulcani italiani che ho quasi terminato. La narrativa al servizio della comunicazione del rischio vulcanico, in questo caso…

Anche a nome della redazione di Thrillernord, ti ringraziamo moltissimo per la gentile disponibilità. 

A cura di Daniele Cambiaso

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