Intervista a Mario Mazzanti




A tu per tu con l’autore


 

Ciao Mario, grazie per l’opportunità di scambiare due chiacchiere con te!

Sono io che vi ringrazio per la richiesta.

Tommy Davies e Gualtiero Abisso sono i protagonisti di “Il mistero di Chinatown”. Come ti sono venuti in mente questi due personaggi? Pensi che il romanzo crime italiano abbia bisogno di meno detective?

Rispondo prima alla tua seconda domanda. Protagonista è sempre la storia che si racconta: se è buona non importa che il protagonista sia un detective professionista, piuttosto che un profiler, che  una persona comune… ripeto, è la storia che deve essere buona. Quanto ai personaggi della mia, mi trovo un po’ in difficoltà a dire come siano nati… di certo nessuna persona reale me li ha ispirati; in realtà  nascono insieme alla storia, e in fondo la storia stessa nasce con loro: è un meccanismo complicato da spiegare… 

Questo thriller ruota intorno a un tema delicato e di attualità, il traffico d’organi. Come mai hai deciso di trattare proprio questo argomento? C’è un fatto di cronaca in particolare, un evento che ha ispirato la vicenda del tuo romanzo?

In realtà nessun fatto di cronaca in particolare, piuttosto direi la curiosità per un argomento, un fatto criminale come il traffico internazionale di organi che raramente è al centro dell’attenzione pur essendo ben presente sul territorio, e prosperando su due tragedie umane: quella di chi ha un disperato bisogno di un trapianto per continuare a vivere, e quella di chi è depredato di una parte del suo corpo.

Come mai hai scelto di ambientare l’indagine all’interno della comunità cinese a Milano? Che cosa pensi abbia offerto in più al tuo romanzo questa ambientazione?

La comunità cinese mi ha sempre incuriosito… il suo essere così chiusa, direi quasi impermeabile a ogni “contaminazione” con la cultura del Paese che la ospita; ecco, da un lato questo aspetto mi sembrava particolarmente adatto alla storia che volevo raccontare, e dall’altra speravo potesse costituire un motivo di interesse in più per il lettore. 

Il titolo del romanzo “Il mistero di Chinatown. La prima indagine di Tommy Davies e Gualtiero Abisso” lascia intendere che ci sarà un seguito. E’ così? Spero di sì!

Non si può mai dire… in realtà uno dei due personaggi, ma non dico quale, un paio di idee per una storia futura me le ha già fatte venire, ma attualmente sto lavorando a due storie diverse, due thriller sul versante noir, uno dei quali finito e in fase di revisione, e l’altro in via di sviluppo. Ecco, magari dopo, Abisso e Davies si troveranno ancora nei guai… 

Quanto è complicato coniugare la tua professione di medico con quella di scrittore? E quanto ti è di ispirazione per le storie che scrivi?

Bé, naturalmente il tempo è sempre un po’ tiranno, ma alla fine, se ti appassiona ciò che fai, seppur con fatica e qualche piccola rinuncia, gli spazi necessari riesci a trovarli… E per rispondere alla tua domanda se trovi ispirazione per le mie storie dalla professione, direi che almeno in senso stretto non è così, ma certo l’essere in contatto con molte persone, vederne il lato umano, la forza e le debolezze, aiuta molto nel costruire una storia, i personaggi che la interpretano, perché in fondo un crime, un thriller, racconta sempre della vicenda di persone messe di fronte a qualcosa di inaspettato e doloroso. 

Scrivi romanzi crime… ma cosa leggi? Qual è il libro più bello che hai letto ultimamente?

Devo confessare che non sono che sporadicamente un lettore di crime… e non si tratta di un thriller il romanzo di cui ho girato l’ultima pagina non più tardi di qualche giorno fa; in realtà una rilettura, una rilettura che mi capita di fare ogni quattro o cinque anni… un romanzo che rileggo col gusto di ritrovare un vecchio amico, di cantare con lui una canzone, una meravigliosa, conosciuta, ballata, e di scoprire ogni volta nuove emozioni… Il romanzo di cui sto parlando è Cento anni di solitudine di Gabriel Garcia Marquez.

Grazie ancora per il tempo che ci hai dedicato, spero di leggerti presto.

Grazie a voi per l’attenzione e la pazienza nell’ascoltarmi.

A cura di Chiara Alaia

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