Intervista a Mirko Giacchetti




A tu per tu con l’autore


Davide è un personaggio particolare, che arriva dal nulla troppo presto, inaspettato e molto probabilmente accettato come si potrebbe accettare per caso in dono una scatola di pasta ad un’estrazione di paese. Purtroppo, appunto, accettato ma non accolto, tenuto con la stessa praticità in cui si potrebbe mettere da parte un qualcosa che finirà a prendere la polvere in solaio. Le sue capacità, le sue aspirazioni, i suoi sogni, i suoi sentimenti, tutto verrà schiacciato perché inutile, perché inservibile è, anche se alla fine, uno spiraglio sembrerà accoglierlo quest’ultimo sarà arrivato sempre troppo tardi, perché il passato, la famiglia e certi legami non si cancellano. Come hai incontrato Davide e perché no, come hai conosciuto i suoi genitori, che in questa storia sono tutt’altro che personaggi secondari?

Nel migliore dei mondi possibili, Davide è figlio dell’amore di due persone che fanno il possibile affinché possa crescere e realizzarsi. Se non ricordo male, viviamo sulla terra e non sempre le cose vanno per il verso giusto. Così capita che individui altamente infiammabili rimangono coinvolti in situazioni esplosive.

Matilde, Patrizio e Davide sono il riflesso di molti dei protagonisti delle notizie di cronaca nera. Gli stessi ingredienti del retrogusto amaro che sentiamo sul palato quando nel piatto troviamo la realtà in cui viviamo.

L’isola di felicità, seppur complicata a seguito delle difficoltà economiche, dalla frustrazione di un lavoro precario e per l’intromissione della famiglia stessa di Davide, comunque esiste, è lì forte ma alla fine, come tutto il resto viene inquinato dalla difficoltà di spezzare, troncare, mettere un punto ad un rapporto che sano non lo è mai stato. Secondo te, quanto può arrivare a pesare la presenza asfissiante della famiglia d’origine, nel quotidiano di un nucleo già in difficoltà che però, nonostante tutto, cerca di rimanere a galla, forte dei sentimenti puliti che lo unisce? E ancora, quanto incide il come ti vedono i tuoi genitori sulla tua formazione caratteriale? Quanto può pesare, altresì, il loro disprezzo nella formazione del tuo modo di percepirti poi nella società? Se Davide avesse avuto una famiglia diversa, a tuo avviso, sarebbe stato tutto diverso, nonostante le difficoltà di tipo economico?

Nel caso di Buoni da mangiare, la presenza della famiglia d’origine di Davide è deleteria e non è soltanto uno scontro generazionale in cui vecchie e nuove visioni del mondo iniziano una guerra di logoramento. Si tratta di un sentimento più profondo che si insinua e riesce a sabotare ogni relazione con cui entra in contatto.

Nel bene o nel male, in principio i genitori sono il nostro primo specchio in cui cerchiamo la nostra immagine. Per quanto sia impossibile cancellarli dalla memoria e dal proprio modo di essere, rimangono per sempre in quello che facciamo.

L’infanzia non scompare, ne restiamo influenzati per tutta la vita, ma è possibile cambiare il legame che si ha con essa e aprire – o al contrario – restringere l’orizzonte che ci sta davanti.

Se Davide avesse avuto una famiglia diversa… Trattandosi di un personaggio è facile capire che è l’autore a creare la forma e il contorno all’anima del protagonista ma, grazie al riscontro dei lettori, ho notato che Davide “cambia” a seconda delle esperienze e del vissuto di chi legge. Per alcuni è un personaggio positivo che si ribella e, a modo suo trova un riscatto, mentre per altri si tratta di un fallito che, nonostante tutto, non può fare altro che subire. Inoltre, in tanti mi hanno detto cosa – secondo loro – accade dopo la fine e, ti assicuro, ho sentito moltissime “storie” interessanti.

Nel libro si tocca in modo molto marcato il tema della prostituzione, delle droghe, delle dipendenze da gioco in cui molti si lasciano trascinare. A riguardo, il tuo personaggio, trovandosi lui stesso colpito in modo indiretto attraverso il padre che è un giocatore accanito, ad un certo punto del romanzo fa una riflessione che lo colpisce ma che di fatto toglie un velo dagli occhi anche a noi: “Si rende conto che non sono mostri, sono uomini perduti che alimentano il proprio inferno.”. Avresti voglia di spiegarci meglio questo suo pensiero, che secondo me vuole dire tantissimo a livello di contenuti sottesi?

Non sono uno psicologo, quindi ho una visione limitata e incompleta delle dipendenze. Se dovessi definire cosa sono, direi che è il diventare schiavo del piacere procurato da un surrogato che si sostituisce ad altro e ci illude di colmare uno spazio vuoto che abbiamo da qualche parte nel cuore o nella mente. Un meccanismo che trovo identico a quello di riempire d’acqua un barile bucato perché il vuoto rimane e il piacere che proviamo è illusorio (e spesso dannoso per sé e per gli altri).

La ludopatia di Patrizio è un surrogato, un’abitudine malsana, in cui si rifugia per sfuggire da ciò che lo rende insoddisfatto ed è talmente preso da questa impresa inutile che non riesce a vedere nient’altro che il monitor della video slot in cui lampeggiano di continuo speranze e promesse di vincere che, anche se si realizzassero tutte, non sistemerebbero nulla della sua vita.

A Patrizio manca quella consapevolezza per smetterla di alimentare il proprio – e l’altrui – inferno e iniziare un percorso da affrontare con degli specialisti.

Solo un appunto. Non pensiamo che solo i “deboli” sono facili “prede” delle dipendenze. Per come viviamo, ognuno di noi è il primo a generare e a subire bisogni ed esigenze per lo più superflui. Insomma, tutti abbiamo delle catene ai polsi… siamo tutti deboli, nessuno escluso.

Il titolo del tuo libro, “Buoni da mangiare”, sull’attimo appare fuorviante, salvo poi rivelarsi in tutta la sua dolorosa realtà. In che momento particolare, hai deciso che il romanzo avrebbe dovuto intitolarsi così? 

Prima di iniziare a scrivere, ho passato del tempo a raccontarmi la storia che avevo in mente. Quando dalle chiacchiere sono passato al mettere in fila le parole, Buoni da mangiare mi è sembrato l’unico titolo possibile proprio perché arriva quel momento in cui Davide compie una scelta significativa.

E credo sia il titolo più adatto perché è rimasto lo stesso dalla stesura alla pubblicazione.

Il romanzo è breve, duro, all’ultimo respiro pur non essendo un thriller. La cosa che ti colpisce di primo acchito è sicuramente l’assenza di speranze, di non redenzione, di un destino già segnato. Eppure, nonostante tutto, per un attimo io ciò ho creduto, o meglio, ci ho sperato. È stato un attimo, però. Proprio per questo ti chiedo: “Ti sei mai chiesto, quale sia la molla che, di punto in bianco, ti può spingere completamente da un lato piuttosto che dall’altro della barricata?”.

Ognuno ha una molla che lavora male, pronta a scattare o a snervarsi nel momento meno opportuno, il problema è che non è possibile determinare il momento in cui ci farà saltare dal lato opposto della barricata. Siamo tutti delle arance meccaniche pronte a esplodere, in Buoni da mangiare ho cercato di far sentire il ticchettio. Tic, Tac, Tic, Tac, Tic, Tac.

Come in tutti i romanzi Frilli, che collocano le loro storie in ambientazioni nette, presenti sempre dentro la vicenda, anche la tua assume carisma e personalità sviluppandosi all’interno di un quartiere di Milano, famoso per molti ma non per tutti, più precisamente il Mirabello. Vorresti raccontare a chi come me non lo conosce, perché la scelta di incentrare il romanzo proprio lì è quali sono le peculiarità che hanno contraddistinto questa zona, dalla sua costruzione ad ora, passando per i cambiamenti avvenuti nel tempo? 

Esiste il Mirabello di Milano, un luogo rispettabilissimo che nulla ha a che fare con il Mirabello che ho descritto. Ho edificato con cemento e disperazione una periferia dell’anima.

Nei ringraziamenti finali tu dici: “… se ho imparato a leggere un libro oltre le righe, lo devo soprattutto a voi.”. Io, dal canto mio, ti dico che lo trovo veramente un regalo speciale. Ti va di spiegare bene agli amici di Thrillernord chi ti ha insegnato questo modo di affrontare la lettura e soprattutto, cosa significa veramente per Mirko Giacchetti “leggere oltre le righe”?

Prima di essere scrittore, sono un lettore. I libri mi hanno davvero salvato la vita ed è per questo che ho imparato a leggerli non soltanto per vedere “come va a finire”, ma da sempre cerco cosa c’è tra le righe. Ti faccio un esempio. Un thriller può avere moltissimo da dire ma, oltre alla trama vera e propria, esiste qualcosa in più. Arrivare a scoprire chi è l’assassino è importante, ma durante il percorso – per quanto cerchi di nascondersi – esiste lo scrittore e attraverso le sue parole è possibile capire qualcosa in più dell’autore, dei suoi pensieri, della sua visione del mondo. Lo stesso romanzo scritto da due persone diverse, non sarà mai lo stesso romanzo.

Inoltre, ho il vizio di credere che i personaggi siano reali, vivi e veri, e cerco di immedesimarmi il più possibile in loro.

Una sorta di metodo Stanislavskij applicato alla letteratura.

Siccome per carattere sono sempre molto curiosa, così, giusto per fare quattro chiacchere fra noi, stai già pensando ad una nuova storia a cui dar vita? Se sì, potrebbe rivelarsi sempre come un romanzo a sé o magari, potrebbe trasformarsi in una storia con personaggi seriali?

Sette anni fa scrissi Scommessa a Memphis. Questo è per farti capire il mio grado di prolificità. Se Buoni da mangiare è nato in mezzo ai mille impegni di A tutta pagina, Rock Side, le riprese del nuovo film e le registrazioni di Una poltrona per due, il cinema di ieri, oggi e domani, (per ogni capitolo mi rimaneva sempre pochissimo tempo a disposizione), sono sempre propenso a rovesciare le mie storie sulla carta solo quando credo siano buone, per non sprecare il tempo e l’attenzione di chi legge quello che ho scritto.

Quando Mirko Giacchetti non scrive, non si occupa di musica o non parla di libri altrui, cosa predilige come letture di svago? C’è spazio per i nordici nella sua libreria?

Escludendo i romanzi che leggo per A tutta pagina e quelli che leggevo per scrivere le recensioni di MilanoNera, appena mi è possibile cerco di divorare molti libri. L’autore che prediligo, per la serie quello che, appena esce, finisce subito sotto il naso è Chuck Palahniuk. Per lavoro leggo molto, ma quando scelgo titoli per le letture personali, spesso e volentieri mi tuffo tra le pagine di Umberto Galimberti, Sgalambro, Albert Camus, Byumg – Chul Han, Slavoj Zizek, parecchi filosofi e psicologi del ‘900 e i manga di diversi autori tra i quali: Tsutomu Nihei, Go Nagai, Shouichi Taguchi.

Ammetto di avere una scarsa conoscenza dei romanzi nordici, ma ho apprezzato Muri di carta e Lasciami entrare di John Ajvide Lindqvist e molti dei romanzi pubblicati da Nesbo.

A nome mio e di Thrillernord, un grazie di cuore per la disponibilità e per il tempo che ci hai dedicato.

Loredana Cescutti

Ho trovato le tue domande molto stimolanti e si vede che sono il frutto di una lettura molto attenta. Grazie davvero di cuore per tutto e complimenti.

Mirko Giaccheeti  

 

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