Intervista a Nicoletta Verna




A tu per tu con l’autore

A cura di Claudia Cocuzza


 

 

 

Ciao Nicoletta, benvenuta e grazie per aver accettato il nostro invito.

Esordio in pompa magna per te: Il valore affettivo, il tuo primo romanzo, esce con Einaudi, nella collana Stile libero big, dopo aver ricevuto una menzione speciale della giuria al Premio Calvino 2020. Complimenti, deve essere una grande soddisfazione ma, fossi in te, avvertirei anche una grande responsabilità. Ti va di descriverci il tuo stato d’animo?

Sono euforica e anche un po’ frastornata per tutte le cose magnifiche che stanno succedendo, per l’accoglienza affettuosa che ha avuto il romanzo. Il senso di responsabilità, però, non lo avverto: da quando è andato in stampa io come autrice non ho più nessun peso, potere, controllo su questo libro. Adesso appartiene solo ai lettori. Ed è una sensazione liberatoria.

 

Il valore affettivo è un romanzo familiare che descrive, a tratti con crudezza, la disgregazione di una famiglia “normale” e la deriva dei suoi componenti verso il disagio psichico. Il tema trattato è potente, difficile da digerire da parte di chi legge ma, suppongo, ancora più difficile da mettere nero su bianco. Qual è stata la sua genesi?

Questo romanzo ha avuto un’infinità di stesure, perché nelle versioni iniziali avevo riversato una moltitudine bulimica di temi, idee, linee narrative. Volevo dire tutto: invece è stato fondamentale individuare e raccontare una cosa sola, approfondirla. La cosa che io volevo raccontare, in fin dei conti, era solo il senso di colpa e le derive parossistiche cui può condurre. Ma per capirlo, metterlo a fuoco e poi scriverlo è servito un lungo lavoro di cesello: dovevo tirare fuori dalle molte parole che avevo scritto le uniche davvero necessarie. 

 

La narrazione è portata avanti da Bianca Lombardi. Leggendo, in certi momenti, mi sono molto immedesimata in lei e ho sofferto con lei, complice appunto la narrazione in prima persona. Come hai fatto a essere Bianca per tutto il tempo della stesura rimanendo ancorata alla realtà? In altri termini, quando scrivi riesci a distaccarti del tutto dai tuoi personaggi?

È stato facile restare ancorata alla realtà perché la vicenda di Bianca tocca temi universali, che ognuno ha vissuto o prima o poi vivrà: la colpa, il lutto, il terrore di non riuscire a sopravvivere alla perdita di chi amiamo. Distaccarsi dal cuore dei fatti, però, è stato fondamentale per poterli rendere materia narrativa, temi letterari. Come è stato essenziale non affezionarsi ai personaggi. È lo strano sguardo del chirurgo che opera un paziente: un momento pieno di passione, anche di amore, ma necessariamente privo di ogni coinvolgimento emotivo.   

 

 

Tutti i temi trattati, dalle analisi di marketing ‒attinenti al tuo lavoro‒ alle competenze mediche che spaziano dalla psichiatria alla cardiochirurgia alla ginecologia, sono approfonditi e descritti minuziosamente: o sei dotata del dono dell’onniscienza o hai potuto contare sull’appoggio di una grande squadra. Ci piacerebbe conoscere la genesi tecnica, oltre quella creativa, della tua opera.

Sulla ginecologia sono purtroppo ferrata perché soffro di endometriosi, come Bianca, e conosco bene il percorso medico a cui può condurre. La cardiochirurgia, invece, era un terreno vergine e allora ho interpellato Roberto Scaini, medico anestesista esperto di cardiologia. Poi ci sono state molte chiacchiere con gli amici romani che mi hanno raccontato la Capitale e una telefonata un po’ surreale con un parente norcino per sapere come si scanna un maiale. E un’infinità di ricerche in rete. Mi domando come si potesse scrivere un romanzo prima di WikiHow.

 

Mi ha molto colpita il modo in cui Bianca manifesta il suo disagio, attraverso la catalogazione ossessiva dei rifiuti generati da sé e dagli altri. Come sei approdata a questa idea?

C’è una metafora molto forte, quasi un’allegoria: sbarazzandosi dei rifiuti, Bianca cerca di sotterrare anche i suoi ricordi dolorosi, i traumi che non riesce a elaborare. Ma, come lei stessa dice, i rifiuti che più ama sono quelli indistruttibili, come il tetrapack: “sopravvivrà a me, a tutti quelli che conosco e ai loro figli; si avvicenderanno decine di generazioni prima che questo diabolico composto di cartone e alluminio venga scalfito dal tempo”. Perché sa che i ricordi più dolorosi sono indelebili. E perché anche lei vorrebbe sopravvivere.

 

Cosa hai in serbo per i tuoi lettori? Francesca De Lena dice di avere sul pc la bozza del tuo secondo romanzo. Secondo me, ThrillerNord si merita una piccola anticipazione.

Ho iniziato a lavorare a una nuova cosa, ma nemmeno oserei definirla bozza… Per ora è poco più di un’idea: e riguarda ancora una volta i legami che si creano e si distruggono all’interno della famiglia. Credo di non sapere scrivere di altro, tutto sommato.

Grazie per il tuo tempo e in bocca al lupo per il tuo futuro!

Grazie a voi, è stato un piacere!

Claudia Cocuzza

 

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