Intervista a Renato De Rosa




A tu per tu con l’autore


 

Vorrei cominciare l’intervista facendo i complimenti per il libro, ricco di ironia e di stimoli intellettuali.

Grazie. Se sono riuscito a scrivere qualcosa di buono lo devo soprattutto ai miei due grandi maestri: Joseph Heller ed Ettore Borzacchini. Seduti sulle spalle di giganti come loro, tutto è più facile.

A proposito di queste suggestioni, nel libro parli di Alan Turing, un matematico straordinario che riuscì a decifrare il codice della macchina Enigma, ingaggiando tra gli analisti anche giocatori di scacchi e abili solutori di cruciverba. Puoi suggerire qualche libro che aiuti a conoscere meglio questo enigmatico personaggio?

Solo adesso, riflettendo su questa tua domanda, mi rendo conto di non avere mai letto un libro specificatamente dedicato a Turing. La prima occasione concreta di approfondire la sua personalità, la sua vita e il suo lavoro mi capitò in ambito universitario, studiando teoria della computazione. Poi ho spulciato qualcosa qua e là, cercando in rete diverse fonti. Nella tua domanda lo definisci enigmatico. Può essere, ma questa tua definizione mi ricorda una vecchia intervista al grandissimo Manlio Scopigno, l’allenatore dello scudetto al Cagliari. Al conduttore della “Domenica Sportiva” che gli chiedeva: «Lei passa per essere un allenatore anticonformista», rispose seraficamente: «No, sono tutti gli altri a essere anticonformisti.» Ecco, credo che, se potesse parlare, Turing ci direbbe: «Io enigmatico? No, sono tutti gli altri a essere enigmatici.»

Dato che ci siamo ti chiedo anche qualche titolo per approfondire le tematiche che affronti nel tuo romanzo Osvaldo, l’algoritmo di Dio.

Sai, i temi che il libro tocca sono tanti: l’intelligenza artificiale ma anche la teologia, gli scacchi e il bridge ma anche il libero arbitrio. Difficile quindi rispondere. Un libro però lo voglio raccomandare. Per me è il libro più bello che sia mai stato scritto, ma, ovviamente, si tratta di un’opinione personalissima. Lo cito ancora più volentieri perché non è facile trovarlo. Mi riferisco a Lo sa Dio di Joseph Heller.

Nel tuo libro immagini un programma che consente di scegliere tra due alternative e la risposta è sempre esatta o perlomeno la più logica. Portando alle estreme conseguenze questo atteggiamento si rischia di perdere la capacità e la possibilità di scegliere e di esercitare il libero arbitrio. Esiste questo pericolo?

Abbiamo mai goduto del libero arbitrio? Bisogna ammettere che il libero arbitrio non se l’è mai passata troppo bene, perché se non c’è una corretta informazione non si può parlare di libero arbitrio. I libri scolastici, i giornali, la televisione hanno sempre fornito informazioni di parte. Come si fa a prendere una decisione sensata se le informazioni di partenza non sono attendibili? In Italia l’informazione era alterata non solo durante il fascismo, ma anche prima e dopo. Discendo da una famiglia di attori di teatro itinerante la cui origine si perde nella notte dei tempi. In ogni epoca gli attori sono stati considerati dai potenti alla stregua di pericolosi nemici, perché erano l’unico mezzo di comunicazione non controllabile direttamente. Erano i soli che potevano aiutare la gente a capire la realtà e ad esercitare il libero arbitrio. La cose sono cambiate al giorno d’oggi? Mica tanto. In teoria la rete è un grande strumento di democrazia, è ciò che dà voce al popolo e che mette tutto lo scibile umano a disposizione di ogni cittadino del mondo. In pratica però quando l’insegnante assegna una ricerca, la mattina dopo i ragazzi entrano in classe con ventotto  ricerche tutte uguali, copiate da Wikipedia. Allora possiamo dire di essere davvero liberi? O il mondo si sta wikipedizzando?

Come nel racconto di Fredric Brown che citi, un’entità artificiale interferisce con la vita degli uomini ma nel tuo romanzo neutralizza un potenziale pericolo dovuto ad uno scorretto uso della tecnologia. Qual è lo stato dell’arte in merito all’intelligenza artificiale e sino a che punto pensi possa arrivare?

Con le reti neurali e i sistemi di autoapprendimento non possiamo neppure lontanamente immaginare cosa ci riserva il futuro dell’A.I. nei prossimi anni, o forse anche nei prossimi mesi (la spirale del tempo corre velocissima). Le ipotesi che ho delineato nel libro sono più vicine al presente che al futuro. Tra non molto Osvaldo potrebbe essere considerato un libro di storia.

Il libro termina con un messaggio di speranza in quanto Dario, che prima demandava ogni sua decisione al sito, decide di pensare con la sua testa e capisce di essere maturato e di non essere più un ragazzo. Anche il nipote che credeva alle opinioni sbagliate del padre, basate su programmi televisivi trash, cerca di capire meglio la realtà.

Sssshhhhhh… non bisogna “spoilerare” il finale! E comunque quella di Dario non è una scelta, ma un vincolo, forse temporaneo. Il vero messaggio di ottimismo sta effettivamente nella figura del ragazzino. Ma non diciamo nulla di più. Come cantava Lucio Battisti: «Ragazzi, silenzio assoluto, per carità» (chi ha riconosciuto la canzone?)

Sei fiducioso sul futuro e sulle “magnifiche sorti e progressive dell’umana gente”?

La visione di Giacomo Leopardi mi pare ottimistica. È vero che per molti versi il mondo di oggi è migliore di quello di due secoli fa. La vita media si è allungata tantissimo, ci sono meno guerre e si possono curare malattie che un tempo erano mortali. Però il rischio di autoestinzione è sempre presente. Ad esempio, se oggi siamo ancora qui lo dobbiamo a un signore di nome Stanislav Petrov, tenente colonnello dell’esercito sovietico, che il 26 settembre 1983 ricevette sul suo monitor la segnalazione che cinque missili balistici, partiti da una base del Montana, erano diretti verso l’URSS. Avrebbe dovuto premere il pulsante che avrebbe scatenato la ritorsione, ma non lo fece. In effetti si trattava di un falso allarme, generato dal riflesso dei raggi solari su un satellite. Usò l’intuito e il buon senso e salvò il mondo. Oggi quei sistemi sono controllati da computer: che decisione prenderà l’Intelligenza Artificiale quando ci sarà il prossimo falso allarme? In ogni caso mai come oggi è impossibile fare previsioni sul futuro e, paradossalmente, neppure sul presente!

Qual è il prossimo progetto letterario, se c’è?

Scrivo semplicemente quello che vorrei leggere. Nel mio cassetto c’è un libro, già pronto, che è frutto di anni di ricerche. Ho ricostruito pazientemente e minuziosamente le vicende dei miei antenati. Quello che è venuto fuori è una saga familiare ma anche una storia del teatro itinerante, per secoli la più importante forma di arte popolare e oggi del tutto dimenticata. Dalle vicissitudini della Compagnia De Rosa ho potuto anche capire la storia d’Italia negli ultimi due secoli, esaminandola dal punto di vista della gente e non da quanto è raccontato nei libri. Si tratta però di un’opera che difficilmente vedrà le stampe, perché troppo lontana dai canoni dell’editoria tradizionale. Un altro progetto a cui sto lavorando è una strana e curiosa storia, le cui vicende si svolgono nella linea grigia che separa il confine tra il vero e il falso. Ma adesso… parliamo di Osvaldo!

Quali sono i generi narrativi che preferisci e nell’ambito del giallo/noir quali autori ti attirano maggiormente?

Può sembrare una frase fatta, ma è la verità: non bado assolutamente alle classificazioni, leggo i libri che mi incuriosiscono e che mi possono sorprendere. Nell’ambito del giallo il mio mito è Rex Stout. Sto rileggendo per l’ennesima volta i romanzi di Nero Wolfe: ogni rilettura è un piacere inenarrabile e una nuova scoperta. Stout è stato uno scrittore fantastico, che senso ha relegarlo al genere giallo? I generi sono scuse per i lettori di poca fantasia.

Ti ringrazio per la disponibilità e ti auguro un meritato successo per il tuo romanzo Osvaldo, l’algoritmo di Dio.

Grazie a te, per la gentilezza, la disponibilità e anche per avere colto e messo in evidenza alcuni aspetti non scontati di Osvaldo. Ho cercato di spargere tra le sue pagine molti semi e mi fa molto piacere vederli sbocciare nei pensieri di chi legge. Sai, i luoghi comuni sono spesso veri: uno di questi è che un libro, una volta pubblicato, diventa qualcosa di diverso da quello che l’autore aveva concepito e immaginato. Come aveva intuito Borges: poco importa chi di noi sia l’autore e chi il lettore.

Renato De Rosa

A cura di Salvatore Argiolas

 

Acquista su Amazon.it: