Intervista a Sara Bilotti




A tu per tu con l’autore


Quando ci si appassiona molto ad un Autore, leggere il più possibile dei suoi scritti è logica conseguenza. Quando poi la produzione è variegata nei temi e nei generi, tanto più è stimolante addentrarvisi. Questo è ciò che mi è accaduto approcciandomi a Sara Bilotti, che ringrazio per la squisita gentilezza e la disponibilità a rispondere a qualche domanda ….

Sara, dopo aver letto i tuoi libri, e mi riferisco in particolare alla trilogia composta dai volumi L’oltraggio, La colpa, Il perdono per arrivare all’ultimo tuo uscito I giorni dell’ombra, sono rimasta molto colpita per quanto ci sia di te nei tuoi libri, senza che ciò risulti invasivo. Mi spiego meglio, è potente e forte la tua cifra, eppure non sovrasta in alcun modo i personaggi e le situazioni che brillano per “autonomia” ed individualità. Come riesci ad essere così addentro, trasmettendo ai lettori calore e forte empatia, ed allo stesso tempo così oggettivamente rispettosa dell’ “autonomia” dei personaggi?

Cara Sabrina, ti ringrazio per ogni parola bella spesa per me. Non so spiegare con precisione i meccanismi della mia scrittura, anche se mi piacerebbe tantissimo dichiararmi padrona del mezzo. So di certo che, anche descrivo personaggi molto lontani dall’idea che ho di me stessa, provo sempre una profonda empatia, in particolare nella fragilità. Come se trovassi, nell’umano, un nucleo originario che appartiene a tutti, ed è quasi sempre la sua parte più fragile, sperduta, quella che ci fa chiedere, a volte, tra le mille attività del quotidiano, “chi sono io, perché sono qui?” È una sorta di tenerezza. Forse è per questo che racconto tanti personaggi diversi e allo stesso tempo racconto me.

Trovo tu sia una delle scrittrici contemporanee più talentuose che abbia letto, e mi riferisco a stile, modernità, originalità e versatilità. Vorrei soffermarmi proprio su quest’ultima caratteristica. Cavalchi i generi letterari con naturalezza e credibilità, passando dalla trilogia che abbiamo ricordato poc’anzi, virante al noir sfumato di eros, al thriller psicologico, che reinterpreti con freschezza, de I giorni dell’ombra. Da dove arriva la tua ispirazione in riferimento alle storie che decidi di scrivere, qual è la molla che ti fa scegliere cosa raccontare in un dato momento?

L’ispirazione è una bestia selvatica, almeno la mia. Arriva all’improvviso, mi confonde i pensieri. È prepotente: non posso decidere cosa scrivere. Non posso prevedere generi, etichette, strutture dei miei romanzi. È per questo motivo che, dopo la trilogia, ho fatto la difficile scelta di uscire dai binari dove sembrava dovessi correre per forza. È stato complicato, ma inevitabile: dentro i confini stretti di un genere preciso, la mia parola muore. Senza libertà non esiste. Questo naturalmente mi espone al rischio della “non riconoscibilità”, ma confido nel fatto che la mia lingua risulti “personale”, che sia lei a rendermi riconoscibile sempre, a prescindere dal genere dei miei romanzi.

L’oltraggio, La colpa, Il perdono. Tre titoli molto forti ed incisivi. Cosa ritieni nella realtà di oggi oltraggioso, colpevole e quando e cosa vale la pena perdonare?

Il rancore è una catena, dunque pratico il perdono in nome della libertà che tanto amo. Ma c’è un limite a tutto. Trovo veramente imperdonabile l’ignoranza colpevole dei razzisti, per esempio: con i mezzi che abbiamo oggi a disposizione, informarsi non è complicato, basta selezionare le fonti delle notizie. Oltraggiosa è questa lenta alienazione che ci sta trasformando, che cala davanti ai nostri occhi una specie di schermo, dietro il quale giudichiamo gli altri come se fossero sagome di cartone, avatar. Rinchiusi nell’algoritmo dei social, finiamo per circondarci solo di chi ci assomiglia, cloni di noi stessi, in fondo, non più interlocutori. È la morte della dialettica, del riconoscimento dell’Altro e, in senso più ampio, dell’evoluzione.

Ho letto recentemente,ed apprezzato,La bastarda della Carolina di Dorothy Allison, da te tradotto. Mi hanno scosso profondamente la materia trattata, soprattutto in certi passaggi, e la sottile linea che dal maltrattamento sfocia nella violenza. Quel tipo di violenza che non sempre fa notizia, ma che sempre fa male. Come ti sei rapportata a questo libro nel tradurlo, cosa ti ha lasciato? In che cosa si lega, se si lega, alla tua voglia di affrontare, seppur sotto altri aspetti ed in tutt’altra chiave, questa tematica ne I giorni dell’ombra?

Sono stata scelta come traduttrice di questo libro magnifico anche per la mia esperienza con le vittime di violenza e abuso familiare. Le caratteristiche principali de La Bastarda sono una lingua asciutta, senza fronzoli, e il racconto mai patetico, mai urlato, della violenza. Il vero orrore non è solo la violenza in sé, ma l’abitudine alla violenza. Quell’abitudine che rovina intere vite, che fa dimenticare di essere vittime. Tradurlo è stata un’esperienza terribile e bellissima, mi ha cambiata come donna e come scrittrice, dunque in questo senso i Giorni dell’Ombra è anche un po’ figlio della Allison.

Arriviamo appunto nello specifico a I giorni dell’ombra. Come è nata la tua idea di raccontare questa storia, che percorso ha avuto la tua scrittura durante la stesura del libro? Avevi la storia in mente dall’inizio alla fine o si è sviluppata via via nel tuo scrivere?

L’idea è nata quando ho deciso di affrontare i fantasmi della mia infanzia. C’è stato un periodo in cui ho vissuto in un isolamento quasi totale: guardavo il mondo attraverso una finestra, e ciò che non vedevo lo inventavo. Inoltre, sulla mia scrittura ha avuto una grande influenza l’esperienza che ho fatto -come raccontavo prima- accanto a bambini e ragazzi vittime di abuso familiare. Si parla molto poco, secondo me, di amore per il carnefice, eppure io non ho mai incontrato un bambino che non conservasse intatto, nel profondo del suo cuore, un amore invincibile per il proprio genitore/boia. L’odio e l’amore mischiati sono il danno più grande che un essere umano possa subire. Ho provato a raccontare questo danno, spero di esserci riuscita almeno in parte.

Davvero notevole il talento che hai nel generare inquietudine e far stare il lettore costantemente in tensione, il che nella lettura di un thriller è elemento fondamentale ma in realtà molto difficile da ritrovare. Leggere I giorni dell’ombra significa salivazione azzerata e sensazione di allerta continuata. Come sei riuscita a ricreare queste atmosfere senza rendere la storia claustrofobica ed opprimente?

Credo di esserci riuscita grazie al punto di vista di Vittoria, che è l’unico del libro. Per lei la condizione di prigionia è talmente naturale da risultare in certi momenti persino accettabile. È naturalmente un’illusione, ma il suo racconto non è quasi mai un urlo di disperazione, di prigionia e claustrofobia. Almeno all’apparenza. Poi, come sai, man mano che si va avanti nella lettura, l’urlo diventa sempre più forte, fino a frantumare i vetri delle finestre.

Ho amato moltissimo il personaggio della protagonista,Vittoria Morra. Credibile in ogni sua azione e reazione, pur in un contesto di vita in un certo senso paradossale, ma che, purtroppo, per alcuni è nei fatti realtà. A chi o a cosa hai guardato per tratteggiare sfumature comportamentali così profonde e vere?

L’isolamento subito durante la mia infanzia mi ha regalato in un certo senso una percezione della realtà un po’ particolare. I confini tra ciò che è vero e ciò che è costruito dalla mente sono labili per tutti, secondo me: chi non ha mai “inventato” una persona pur di giustificare il suo amore per lei? Nel caso di Vittoria, questo atteggiamento viene portato all’estremo: del mondo conosce così poco che decodificarlo diventa un’impresa quasi impossibile.

Trovo sia un elemento chiave del libro, peraltro da te trattato e reso magistralmente, comune a tutti i personaggi, il vivere la sessualità in maniera, se così si può dire, distorta. Ecco come il sesso diventi per taluni rabbia da sfogare, possesso da affermare, autodeterminazione di se stessi. E’ forse nella sfera intima che risultiamo quello che davvero siamo. In quest’ottica e sede, è più da temere chi perde il controllo, o chi non lo perde mai?

Ovviamente in questo caso non parliamo di violenza, altrimenti ci dovremmo addentrare in ben altri discorsi. Diciamo che, entro certi limiti, temo più chi il controllo non lo perde mai. Chi lascia spazi agli istinti, invece, impara a controllarli. Chi li comprime costantemente in qualche luogo oscuro in realtà nutre una parte di sé che farebbe invece meglio a conoscere, a studiare. Perché può prendere il sopravvento da un momento all’altro, ingigantita e maligna.

L’ingordigia di leggerti presto ancora mi invoglia a farti questa domanda, hai già un’idea per il tuo prossimo libro? L’attesa dei lettori è già alta…

Ho scritto un nuovo romanzo, a cui lavorerò quest’estate insieme al mio editor Luca Briasco, e ne sto scrivendo un altro ancora. In realtà non c’è mai stato un momento della vita in cui non ho scritto storie, sin da quando, da bambina, a nove anni, scrissi il mio primo racconto davanti alla finestra che era il mio mondo. A differenza del corpo, la mente è sempre libera. E la mia racconta storie, all’infinito, senza tregua.

Ti saluto con un pensiero alle tue letture… su che generi ti orienti preferibilmente? Che spazio ha, se ne ha, il genere thriller nordico?

Amo tutti i generi, in particolare il thriller psicologico, come si può facilmente intuire! Ma ogni thriller mi appassiona a modo suo. Ho bisogno di essere ingannata, e poi stupirmi con la risoluzione di un enigma. Se questo enigma riguarda la mente umana, beh, allora il libro mi conquista, sono sua. Sara Bilotti

Sabrina De Bastiani

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