Intervista a Silena Santoni




A tu per tu con l’autore


 

La ringrazio a nome anche di ThrillerNord per aver accettato di rispondere a qualche domanda sul suo romanzo “Volver”.

Qual è stata la molla che l’ha spinta a scrivere “Volver”, un romanzo ambientato nell’Argentina oppressa dalla dittatura militare?

Volver nasce da un racconto brevissimo che avevo scritto qualche anno fa sulla suggestione di un viaggio in Argentina. In realtà avrei potuto ambientare il mio romanzo in qualunque luogo e in qualunque tempo perché i temi trattati sono universali. Allora perché l’Argentina? Perché, anche se lontana geograficamente, è culturalmente vicina a noi -non a caso quasi tutti i personaggi sono di origine italiana-  e perché il fenomeno dei desaparecidos, tipico della dittatura di Videla, è funzionale alla componente noir della vicenda. Infine perché è la terra del tango, che scandisce ogni passaggio della storia e che con le sue note piene di passioni forti e contrapposte ne riflette la sostanza.

Il romanzo racconta la traiettoria di vita di diverse persone che hanno un punto in comune con la scomparsa di Martina, una studentessa che si oppone al regime, ma ogni personaggio ha un suo spessore narrativo ben calibrato e penso soprattutto alle due madri che credono di essere imparentate con Jorge, il ragazzo rapito in fasce. Sono le donne, mamme o nonne le protagoniste dolenti di “Volver”?

Come appena detto, in Volver trovano posto sentimenti molteplici, dall’amore e alla passione all’odio, alla nostalgia, alla paura, ma il dolore vi occupa sicuramente un posto importante. In una dittatura come quella che l’Argentina subì dal 1976 al 1983 molte persone ebbero motivo di soffrire. Naturalmente la sofferenza colpì in particolar modo coloro che subirono in prima persona le violenze del regime: i giovani arrestati e torturati nei centri di detenzione clandestina e i loro familiari che a lungo li cercarono senza trovare risposta. In questo senso le donne che si organizzarono nei movimenti delle Madri e delle Nonne di Plaza de Mayo e che per decenni marciarono, prima per avere notizie dei loro figli, poi per ottenere giustizia, possono essere definite a diritto le protagoniste dolenti.

Martina non è certo una pericolosa sovversiva ma suscita l’attenzione degli apparati di sicurezza malgrado provenga da un ceto borghese. Bastava così poco per mettere in pericolo la propria vita?

 Martina prende coscienza in ritardo di quanto sta accadendo nel suo Paese e il suo contributo alla lotta clandestina è marginale e di breve durata. Tuttavia a quel tempo bastava anche un lieve sospetto per diventare una vittima del regime, venire torturato e finire nel Rio della Plata con i voli della morte. Dalle testimonianze sulle quali mi sono documentata risulta che si poteva essere arrestati anche perché semplici conoscenti di oppositori o addirittura per errore.

Il console italiano del romanzo è stato ispirato da un coraggioso console realmente esistito. Ci può raccontare il suo eroismo?

Enrico Calamai, all’epoca viceconsole italiano a Buenos Aires, ha messo in salvo, a rischio della propria vita, fra le trecento e le quattrocento persone ricercate dalla Polizia. Agì da solo, spesso in contrasto con l’Ambasciata e con le istituzioni del suo Paese. Il golpe argentino si inserisce in un contesto internazionale dove, per motivi che sarebbe lungo spiegare in questa sede, pochi avevano interesse a far luce sulle nefandezze di quel regime; in particolare in Italia dove si stava vivendo un periodo segnato dalla cosiddetta strategia della tensione, non molto dissimile da quello attraversato dall’Argentina subito prima del colpo di Stato. Sono rimasta folgorata dalla statura morale del console e ho cercato di raccontarne l’eroismo. Naturalmente la mia intenzione era quella di farne un personaggio e non un manifesto, per questo gli ho attribuito caratteristiche che, tengo a sottolineare, sono di mia esclusiva invenzione e che lo avvicinano a ciascuno di noi.

In Italia, scrive nel libro, non credevano al golpe argentino perché non c’erano state le violenze del golpe cileno e mi ha fatto pensare al principio della rana bollita di Noam Chomsky. Successe effettivamente così?

In Argentina furono perpetrate violenze inaudite, non certo minori di quelle di altri regimi. Però, a differenza di quanto avvenne per il Cile, qui almeno in un primo momento non ci fu diffusione di notizie. I militari, anche facendo tesoro dell’esperienza del Paese vicino, si posero come i restauratori e i garanti temporanei dell’ordine, rifuggirono da esibizioni di forza e mantennero segrete le loro nefandezze. Fu il grado di informazione e non quello di violenza a marcare la differenza e a mantenere basso il livello dell’attenzione all’interno e all’esterno. Detto questo, ogni popolo ed ogni individuo tende purtroppo, in condizioni disperate, alla assuefazione passiva. Fino a quando non trova la forza di ribellarsi. Le Madri di Plaza de Mayo ne sono l’esempio.

Volver” mette in evidenza il tragico destino dei bambini fatti nascere per essere adottati dai fiancheggiatori del regime o dagli stessi militari. Furono molti quelli che riuscirono a conoscere le proprie origini?

Le Nonne di Plaza de Mayo hanno svolto un lavoro instancabile per rintracciare i bambini sottratti alle madri naturali. Hanno dato un impulso decisivo alla ricerca sul DNA, hanno scovato i registri della Polizia e dei centri di detenzione e portato avanti un’attività investigativa capillare. In questo modo sono riuscite a risalire alla vera identità di molti di questi bambini, ma il fenomeno fu così nascosto da rendere impossibile il ripristino totale della verità.

Qual è stata la difficoltà maggiore nell’ intrecciare le storie dei protagonisti che si sviluppano anche in piani narrativi diversi ma che poi raggiungono lo scopo di creare un romanzo teso e convincente?

Ho voluto articolare il romanzo in sei lunghi capitoli, scegliendo un protagonista diverso per ognuno di essi e alternando vari piani temporali. Il rischio era quello di perdere il filo rosso che li collegava. Per questo ho fatto in modo che ogni personaggio nel raccontare la sua storia aggiungesse un tassello alla vicenda principale. Spesso lo stesso episodio è narrato da diversi punti di vista e frequenti sono i rimandi. Inoltre ho adottato una struttura circolare per cui la fine del romanzo si riallaccia all’inizio.

Quali sono i suoi autori preferiti nella narrativa gialla e noir?

Sono una lettrice onnivora e non particolarmente concentrata sul genere giallo o noir. Amo gli autori, Poe in primo luogo, che tengono il lettore in uno stato continuo di tensione e quelli, come Simenon, che indagano sulla psicologia dei personaggi. Fra gli scrittori recenti amo i giallisti scandinavi di atmosfera come Mankell e Nesser. 

Silena Santoni

A cura di Salvatore Argiolas 

 

Acquista su Amazon.it: