Intervista a Sonia Sacrato




A tu per tu con l’autore


Innanzitutto ciao e complimenti per il tuo lavoro, che nel rievocare l’incendio del Cinema Statuto di Torino ha riacceso per un attimo i riflettori su questa triste pagina della Storia ormai dimenticata.

Ciao Agnese, grazie per il tuo tempo e la tua attenzione. L’idea era proprio quella, riportare alla memoria un fatto che per Torino è ancora una ferita aperta ma il resto del Paese ne conserva una memoria molto sfumata, purtroppo. Ma la verità è che a quelle vittime noi tutti dobbiamo davvero tanto. 

Cloe, la protagonista del tuo romanzo, viene al corrente di questo lontano fatto di cronaca per caso, e, dal momento che sta attraversando un periodo un po’ statico, si appassiona alla storia  di una delle vittime dell’incendio. Cloe rappresenta una figura femminile non proprio vincente, sempre alle prese con le proprie insicurezze irrisolte, ancora segnata dalle ferite di una  sconfitta sentimentale che non cessa di bruciare,  e  da ultimo afflitta , per giunta, da dubbi riguardo alla propria esteriorità. Ciò nonostante la grinta non l’abbandona mai e riesce a fare di lei una figura seducente. Molte lettrici che attraversano una fase non proprio felice potrebbero facilmente identificarsi in lei e farsi contagiare dalla sua capacità di resistere a testa alta alle contrarietà. Ti sei ispirata a qualcuno in particolare nella costruzione di questo personaggio? Per alcuni aspetti ti ci identifichi anche tu?

Per certi versi sì, mi somiglia, non posso negartelo: le ho dato i miei capelli con libertà di espressione, i tatuaggi e la passione per il chiodo. Ma ho proprio voluto disegnare la figura di una donna “normale”, non la classica protagonista che quando cammina per strada si voltano a guardarla, non gli occhioni da cerbiatto e il passo volitivo… quante di noi, la mattina andando al lavoro si sentono così? In alcuni giorni è già una vittoria uscire dal pigiama. Ma non significa che siano vite meno speciali. La capacità di resistere alle avversità, di cadere, soffrire e trovare il modo di rialzarsi anche attraverso l’abuso della pizza, per esempio, è propria di molte di noi, delle mie amiche. Tutte noi siamo più forti di quello che pensiamo, ma spesso non c’è chi che lo ricordi. 

Alex, il giovane protagonista che affianca Cloe in questa vicenda, è entusiasta e propositivo, totalmente assorbito dai propri programmi di realizzazione personale. Alex è l’esatto opposto dello stereotipo del giovane “sdraiato” e bamboccione che si incontra di frequente. Cosa ne pensi dei pregiudizi che circondano la gioventù di oggi e della tendenza a inglobare tutti i ragazzi in un unico giudizio negativo secondo il quale si tratta di una generazione priva di valori?

Dovremmo ricordare innanzi tutto che i ragazzi non li troviamo sotto al cavolo, e di conseguenza i valori vanno trasmessi, non li apprendono per opera del Santo Spirito. Quindi dovrebbe essere proprio la generazione giudicante a farsi un bell’esame di coscienza, prima di tutto. Io non ho figli, ma ho due nipoti quasi coetanei di Alex e non sono dei bamboccioni, non lo sono nemmeno i loro amici, anzi. Anche grazie alle presentazioni incontro davvero tanti ragazzi che hanno voglia di mettersi in discussione e reinventarsi, certo, magari con un linguaggio o una musica diversa, ma forse dovremmo dar loro anche un po’ di fiducia:  io sono cresciuta con “gli adulti” che mi dicevano “ io alla tua età saltavo i fossi per lungo” e come da tradizione, anche la mia generazione oggi va ripetendolo ai giovani d’oggi… 

Il gatto citato nel titolo, Pablo, aiuterà involontariamente Cloe a stabilire un rapporto personale con una persona che non le è indifferente. Quanto contano i rapporti con gli animali domestici, secondo te? Possono davvero “salvare la vita”, almeno in senso metaforico?

Melli, che ha ispirato Pablo, è stata con me per 19 anni. Dopo di lei sono arrivati i Kiss, tre gattoni che mi hanno demolito casa e abitudini. Ma pensa anche solo i periodi di zona rossa e lockdown che abbiamo dovuto affrontare, tutti spiazzati e increduli… se non avessi avuto loro sarei stata davvero sola. Quindi sì, posso dirti che sono stati davvero una salvezza. 

Nel tuo romanzo c’è un altro protagonista importante, che è la città di Torino, da cui ti sei fatta “adottare”. Vuoi raccontarci com’è nato questo amore?

L’amore per Torino è nata quando avevo circa quindici anni. O meglio, dovrei dire per un torinese per cui avevo una cotta come solo quelle adolescenziali sanno essere. E già allora sospiravo i treni tra una parte e l’altra della pianura. Quando quella fantasia si è sciolta mi sono rimasti i viali e i romanzi di Cesare Pavese. Ora a Torino ho tantissime amiche e amici. È la città in cui vado a ricaricare le pile, a farmi coccolare da Cristina quando sono giù (anche lei esiste ed è proprio come la Cristina del libro), e a schiarirmi le idee davanti a delle decisioni importanti. 

Per un esordiente è sempre arduo ottenere la pubblicazione con una casa editrice di rilievo nazionale, tu sei riuscita a centrare questo obiettivo che per molti è un sogno. Vuoi raccontarci la tua esperienza, in particolare le emozioni che hai provato quando hai saputo che i tuoi personaggi avrebbero avuto modo di essere conosciuti da un vasto pubblico grazie alla Newton Compton? È stato difficile il percorso che hai dovuto compiere per giungere a loro?

Io in Newton Compton ci sono arrivata “a sorpresa”. Una cosa da film: in un periodo piuttosto nero in cui avevo perso il lavoro in conseguenza al Covid, avevo una visione del futuro era piuttosto cupa e per certi versi la scrittura era stata accantonata a fronte di altre priorità. Invece, in un pomeriggio di gennaio, mi è arrivato un messaggio in cui un Angelo Custode: mi avvertiva che la Newton Compton voleva contattarmi. La prima versione de La mossa del gatto era arrivata nelle mani di Alessandra Penna e le era piaciuto molto. Insomma: mi hanno cercata loro. Un’emozione fortissima. 

E la verità è che ci sono giorni in cui sono ancora incredula.

Grazie e buon lavoro.

Grazie a te! 

Agnese Manzo

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