Intervista a Stefania Viti




A tu per tu con l’autore


Prima di tutto grazie per l’intervista e l’interesse verso il mio libro.

Il personaggio di Nora risulta sopra le righe, fresco fuori e terribilmente sciupato all’interno. È un personaggio ricco di contraddizioni, che sgomita ogni singolo giorno, per lo più con sé stessa, per regalarsi uno spazio di calma e serenità pur convivendo con un’anima che ribolle da vent’anni. Si nasconde dietro un abbigliamento all’ultima moda, trucco perfetto e smalto rigorosamente Rouge Noir sulle unghie delle sue mani che sono sempre curatissime. Puoi raccontarci come vi siete incontrate? E poi, ma non è che un pochino vi assomigliate? 

Io non trovo Nora un personaggio sopra le righe, trovo piuttosto che sia un tipo di donna italiana che si racconta poco, ed è proprio per questo che l’ho pensata così. È una donna bella, colta e intelligente che vive in un ambiente internazionale ed è anche poliglotta. Nonostante questo, è molto umana, fragile. Ha molte debolezze, nevrosi, e contraddizioni. È un personaggio che sfida un certo tipo di stereotipo femminile che identifica la donna curata con la donna frivola. Io credo che noi donne dovremmo sentirci libere di poter esprimere la nostra femminilità e non per questo essere penalizzare o non “prese sul serio”.  

In più Nora vive a Milano, lavora nella moda, ama la cultura giapponese che conosce molto bene: non può che essere sofisticata e curata una donna con questa formazione. Nonostante questo, Nora sa da dove viene e lo smalto rosso è un segno di queste radici mai dimenticate. In più, questo personaggio ci ricorda che noi italiani abbiamo fatto dell’estetica la base sulla quale abbiamo costruito la nostra immagine, il nostro linguaggio per parlare al mondo. Non siamo forse il paese della bellezza? E l’estetica non è forse anche una branca della filosofia? Sull’estetica si può creare un sistema di pensiero e sempre l’estetica, la forma, è un aspetto molto importante della cultura giapponese: ho preso questo elemento come base per sviluppare il dialogo tra queste due culture. Credo dunque che non dovremmo stupirci se a rappresentarci come eroina di un libro sia una donna così sofisticata, intelligente e cosmopolita. Inoltre, vorrei sottolineare il valore positivo di Nora e di tutti gli altri personaggi, che hanno la caratteristica di impegnarsi molto per raggiungere i loro obiettivi: basti pensare a Jasmine, che fa la modella ma è anche studentessa universitaria al Politecnico.  Anche Nora cerca di migliorare sempre. Forse mi assomiglia un po’ ma mi assomigliano anche gli altri personaggi. Come dire: sono tutti figli miei, compresa la vittima e l’assassino.

Anche il commissario ha un bagaglio molto pesante sulle spalle, che lo accompagna e non gli concede tregua alcuna. Al contrario di Nora, lui copre il vero sé con un’aria da duro, dal carattere insopportabile, con vestiti trasandati e un’aria raffazzonata e da perenne arrabbiato. Perché hai scelto di introdurre un personaggio così diverso, per stile, rispetto agli altri personaggi nella storia?

Malacarne è un poliziotto, non appartiene al mondo di Nora, per questo è diverso dagli altri personaggi che la circondano. La sua figura, però, è necessaria all’economia della storia. Malacarne ha avuto una gestazione un po’ lunga nel senso che all’inizio l’avevo pensato molto diverso, anche fisicamente, poi si è preso il suo spazio indipendentemente dalla mia volontà. È un personaggio bellissimo, duro ma sensibile. Riflessivo. Mi piace molto avere la possibilità di creare e raccontare anche personaggi maschili. Credo che i personaggi maschili siano importantissimi perché in questo periodo storico di grande confusione è necessaria una nuova visione del maschile, che si crea anche attraverso il racconto e la creazione di nuovi personaggi maschili dei romanzi.

Il tema della morte, all’interno del tuo libro è centrale, nono solo perché stiamo parlando di un giallo, ma perché i trascorsi dei personaggi sono stati toccati e segnati profondamente da questo avvenimento. “Nora aveva bisogno di fare i conti con la morte per fare i conti con sé stessa e con tutto il mondo che si portava dentro.”. Hai decisamente toccato corde profonde, comprese le mie, anche perché non c’è un’età definita oltre la quale si risulta immuni dal dolore per una perdita. Perché hai deciso di dare ai tuoi personaggi un’eredità così pesante dalla quale ripartire, nel tentativo di sopravvivere al meglio nascondendosi dietro abiti griffati e ruvida trasandatezza, invece di vivere veramente dandosi la leggera possibilità di ricominciare in leggerezza?

Ho scelto di misurarmi col genere del giallo proprio perché volevo parlare della morte, che è il grande tabù del nostro tempo. E di conseguenza mi interessa parlare della fine, del limite, del cambiamento. Che avviene quando qualcuno se ne va dalla nostra vita, oppure quando qualcuno entra nella nostra vita, quando ci innamoriamo. Amore e morte sono gli elementi fondamentali della nostra esistenza e volevo affrontare questi temi universali: nel mio romanzo, infatti, c’è anche tanto amore. Sviluppato in modi diversi: amore passionale, amicizia… Per quanto riguarda la leggerezza intesa come spicchio di felicità, mi pare che sia un tema che non si addice molto al romanzo, ma sia più adatto alle favole: ma non dico niente di nuovo, dato l’hanno già detto molti grandi scrittori prima di me!

Ad un certo punto del romanzo, Nora riflettendo afferma: “… aveva imparato a rimanere in disparte, a tacere e a osservare. A sostituire il profluvio della spiegazione con lo spessore del silenzio e infine, a comprendere il dirompente potere della lentezza.”. Inutile dire che il “tuo sentire” il Giappone in questo libro arriva prepotente attraverso le parole d’amore e rispetto del tuo personaggio. Se ci fosse tempo ci sarebbero tantissime domande a riguardo che vorrei porti, ma è meglio lasciare ai lettori l’opportunità di introdursi a questo mondo leggendo il romanzo, però a te chiedo: qual è la cosa più importante che ti porti dentro del tuo periodo in Giappone?

Il Giappone è importantissimo perché mi ha dato gli strumenti per leggere il mondo che mi circonda in modo diverso. Oggi provo a fare tesoro di ciò che ho imparato per arricchire la mia cultura proprio scrivendo e creando un mondo dove riescono a convivere e a fondersi varie culture. D’altronde, il Giappone per me non è mai stato un fine, ma un mezzo, una Via, e in questo sono molto giapponese! Il fine, per me, è sempre stata la scrittura: sono andata in Giappone per raccontare e per anni ho scritto per giornali e riviste: questo è il mio modo di vivere il Giappone.

E poi si legge: “Per lei il Giappone era stato un destino, non solo una scelta.” Anche per te ha rappresentato questo il periodo trascorso in oriente?

Forse anche per me, come per Nora, il Giappone è stato un destino, e visto che lo pratico da decenni è certamente così. Da piccola, però, non avrei mai immaginato che un giorno sarei andata a vivere a Tokyo e che Tokyo (e dunque il Giappone) sarebbe stata una parte così importante della mia vita. Ma sono sempre stata molto curiosa e alla fine ho scelto di studiare Lingua e Cultura giapponese a Ca’ Foscari proprio per questo: per sfida, curiosità, ricerca. Oggi il Giappone fa parte di me in modo naturale: lavoro con i giapponesi, parlo in giapponese. Il mio libro è ambientato a Milano ma è “contaminato” da tanti aspetti della cultura giapponese che fanno ormai parte del nostro quotidiano: volevo raccontare questa nuova dimensione inclusiva, dove non esiste più alcuna frattura. Ed è proprio questo arricchimento prodotto dall’incrocio di culture che cerca di rappresentare il personaggio di Nora. 

Era un contrasto di emozioni. Parlava come se nulla potesse più stupirla. Ecco cos’era: Nora non credeva più in niente.” Quanto è dura, secondo te, vivere quando ormai senti di aver perso ogni illusione, ogni visone positiva, ogni speranza?

Nora ha sofferto molto ed ha capito che la felicità sta nelle piccole cose: per lei sono un tacco, uno smalto. Essere circondati da un po’ di bellezza è una grande consolazione. È per questo che si dice che la bellezza salverà il mondo: Nora ne è profondamente convinta e parte da sé stessa per proporre questo cambiamento.

Nora ad un certo punto dice: “Non si può smettere di amare chi si è amato, neanche quando finisce l’amore. Neanche quando una persona non c’è più.”. È una frase che mi ha colpita molto, ma che conoscendo la storia della giovane giornalista ha un suo perché ma chiedo: anche per Stefania donna è così o ne ha un’opinione diversa o aggiustata?

Ho voluto che la storia tra Nora e Yūki fosse finita ma positiva perché oggi sembra sempre più difficile accettare la fine: c’è molta rabbia, violenza nei rapporti e spesso gli uomini fanno del male alle donne che rivendicano la propria libertà di scelta anche nei rapporti sentimentali. Io propongo un modello diverso e metto in campo uomini che possono amarci e proteggerci: nel mio privato sono stata molto amata ed ho un ottimo rapporto coi miei ex. Non ho mai rinnegato nulla delle mie storie. Continuo ad amare i miei ex anche se la nostra storia è finita. Amo quello che siamo stati insieme e che nessuno potrà mai toglierci o cancellare. Inoltre, nel caso della frase citata, Nora pensa non solo all’amore per qualcuno in vita, ma anche per chi non c’è più. Io amo ancora le persone care che sono scomparse: la loro scomparsa non ha cambiato il mio amore per loro. 

Ad un certo punto del tuo romanzo, Nora incontra il suo opposto, c’è, come dici nel libro, “uno scontro di occhi” e i due si riconoscono come sopravvissuti, riescono a leggersi dentro, ma… e qui mi fermo. Ho apprezzato moltissimo questi momenti, per nulla scontati, anzi molto delicati. Secondo te, chiedo alla persona, non solo all’autrice, è possibile riconoscersi così in profondità senza mai essersi incontrati o parlati prima?

Oh, sì certamente. Ci sono studi che affermano che è nella prima manciata di secondi in cui incontriamo qualcuno che ci facciamo un’idea dell’altro e che questa idea, anche se inconscia, influenza il nostro rapporto con la persona che abbiamo difronte. Parlarsi non è così necessario: la comunicazione verbale è sovrastimata: oltre il 70% della comunicazione è non verbale. Ecco l’importanza della semiotica che tanto piace a Nora. 

Inutile dire, che io al termine della lettura sono rimasta di sale, anche se ho compreso come Nora i perché di ciò che qui non dirò. Per cui ti chiedo, c’è già un progetto nel cassetto per un seguito di questa intrigante storia, e soprattutto, detto a quattrocchi, se risentiremo parlare di Nora, quanto intendi tirare la corda prima che vengano prese le decisioni veramente importanti?

Mi piacerebbe continuare a raccontare la storia di Nora e dei suoi amici: ho in mente qualcosa ma non ha ancora la forma di una trama… ci sto pensando. Vediamo…

Poiché siamo a Thrillernord, puoi dirci quali sono i tuoi autori di riferimento e se, fra loro hai lasciato uno spazietto anche per i nordici?

In generale tendo a leggere cose completamente diverse da quelle che scrivo. Sul mio comodino adesso ci sono: due libri di Yasunari Kawabata, un giallo di Enrico Vanzina, un saggio su Liala e, ovviamente, La Recherche di Proust. 

A cura di Loredana Cescutti

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