Intervista a VALENTINA ROSSINI ROWLAND




1) Come si diventa traduttore? O meglio, come lo sei diventata tu? Quando hai capito che questa era la tua strada? Quali difficoltà hai dovuto superare per riuscire ad affermarti in questo campo?

Durante le mie varie esperienze di vita vissuta in paesi anglo-sassoni, mi è capitato qualche volta di tradurre dall’inglese all’italiano dei piccoli testi per amici e conoscenti, e poi con il tempo sono arrivati dei veri e propri racconti e anche libri. Svolgevo questi lavori e simultaneamente imparavo, dai miei errori, da quelli degli altri, confrontandomi con i più esperti. Non ho avuto una formazione di tipo, diciamo, ortodosso, essendo i miei studi di tutt’altro genere (ecologia!), ma la passione per la letteratura, soprattutto ottocentesca, e l’entusiasmo con cui traducevo storie e testi letterari, uniti alla mia profonda comprensione della lingua e cultura anglo-sassone, mi hanno fatto capire quasi subito che questa era una strada che avrei percorso con piacere. La trovo una strada dall’asfalto vecchio, però, con molte buche, che ti rallentano la corsa. Per essere ‘notata’ dal mondo editoriale, dovevo presentare un CV che provasse la mia capacità di tradurre testi letterari, pur sapendo che questo lo volevano anche migliaia di altri traduttori non affermati, ma che probabilmente partivano più avvantaggiati. A ogni modo, ho continuato per questa strada, cercando di lavorare il più possibile, anche su testi che non sono stati pubblicati, arricchendo la mia esperienza. All’inizio sono perfino scesa a compromessi poco fruttuosi per me, ma con il tempo, una volta acquisita una certa esperienza, e familiarità con questo tipo di lavoro, ho ritenuto di poter svolgerlo senza sminuire il mio valore.
 

 
2) Ti capita di consultarti con gli autori dei libri che traduci, per capire meglio ? Vuoi raccontarci qualche episodio particolare?

In generale, non mi è mai capitato di contattare l’autore del testo che stavo traducendo, perché di solito le cose mi erano abbastanza chiare. Nelle traduzioni dall’italiano all’inglese, qualche volta ho dovuto cercare, insieme all’autore, soluzioni adatte a sostituire espressioni che proprio non avevano equivalente, come per esempio: ‘la Milano da bere’, la famosa frase di uno spot pubblicitario degli anni settanta e usata all’epoca come simbolo di una Milano ‘al top’. Nella mia breve esperienza di traduzioni IT>EN ho incontrato questa frase addirittura due volte in due recenti testi (anche se in uno non ci ho lavorato sopra personalmente) scritti da due autori diversi.
 

 
3) Tra i libri che hai tradotto ci sono fantasy, libri per bambini, gialli. C’è un genere in cui ti ritrovi di più? Un autore con cui ti senti più a tuo agio? Hai un libro che ti ha portato fortuna?

Comincio dalla fine: il libro che mi ha portato fortuna è il romanzo di Helen Hodgman, Blue Skies (Tasmania Blues, Socrates, Roma 2016) il primo vero romanzo che ho tradotto, a cui ho dedicato diversi anni. Dopo la sua pubblicazione, ho cominciato a ricevere più attenzione verso il secondo romanzo di Helen Hodgman che ho tradotto, ‘Jack & Jill’, che è in cerca di editore. Potessi scegliere quali generi tradurre, sceglierei narrative, storie vere e gialli. Non ci sono autori in particolare che mi è piaciuto o meno tradurre o che vorrei tradurre, ma li rispetto sinceramente tutti, perché credo che esprimersi con la parola sia la più grande arte dell’essere umano, a prescindere dall’essere bravi o meno. Certo, un libro scritto bene è molto più piacevole da tradurre.
 

 
4) Sei d’accordo con questa affermazione di Claudio Magris sul lavoro del traduttore “Bisogna essere capaci di piccole infedeltà materiali per raggiungere una fedeltà più profonda”?

Secondo me, l’equilibrio della “fedeltà più profonda” è legato alla quantità di queste “piccole infedeltà materiali” e alla loro collocazione nel testo. Non c’è una regola fissa, l’importante è che la fedeltà non ‘sprofondi’ troppo, altrimenti non la si vede più. E’ semplicemente (anche se non è così semplice) un gioco di equilibrio, tra fedeltà e purezza della lingua d’arrivo.
 

 
5) Difficilmente i lettori leggono un libro in due traduzioni diverse; ti è capitato di leggere altre traduzioni dei libri su cui hai lavorato? Oppure di pensare che una traduzione fosse fatta male (non vogliamo certo i nomi! Vogliamo solo capire se a un ‘orecchio’ allenato saltano agli occhi (perdona il gioco di parole) forzature nella traduzione).

Non ci sono altre traduzioni dei libri che ho tradotto, ma ho letto libri tradotti dall’inglese, dove questa forzatura era molto evidente in parecchi punti. Non mi sembravano belli, come i classici tradotti per esempio, ma d’altro canto, che ci piaccia o no, anche la lingua italiana sta cambiando e forse queste forzature (soprattutto nei testi dall’inglese) fanno parte di questo cambiamento, che molti definiscono, a ragione, abbruttimento. Dei britannici mi hanno detto che la lingua americana, che si sta insidiando senza trovare resistenza nel lessico degli altri paesi anglo-sassoni, è il risultato di ripetute violenze fatte alla lingua inglese. MI sa che siamo tutti nella stessa barca.
 

 
6) C’è qualche autore di lingua inglese non ancora tradotto in Italia che hai letto e che ritieni adatto ai lettori italiani?

Quando vivevo in Australia ho letto ‘For the Term of His Natural Life’ di Marcus Clarke, un libro forte, che porta alla luce una parte oscura della storia australiana, l’epoca in cui in quella terra esistevano le colonie penali. L’autore, dopo un’accurata ricerca sulle condizioni di vita nelle colonie penali dell’Australia, ha scritto questo romanzo, centrato sul personaggio fittizio di Rufus Dawes, un giovane inglese deportato per un delitto che non ha commesso. Questo classico della letteratura inglese-australiana sembra non interessare agli editori italiani, visto che è in giro, ignorato, da più di un secolo, eppure io credo che non abbia niente da invidiare ai moderni thriller, noir o alle storie piene di azione e sentimento.
 

 
7) Quale autore italiano vedresti bene nelle librerie americane/inglesi?

Non sono nella posizione di poter scegliere tra i più popolari, perché non li leggo, ma ho visionato testi di esordienti, anche giovani, che mi sono sembrati molto validi e traducibili. In generale, credo che ci siano parecchi libri di autori italiani che meritano di essere scoperti.
 

 
8) Viaggiare o abitare nei paesi di lingua inglese ti ha aiutato nel tuo lavoro di traduttrice?

Il mio costante contatto diretto con la società anglo-sassone (soprattutto quella australiana e britannica), allena e perfeziona ogni giorno di più il mio modo di tradurre. E’ stato certamente il fulcro della mia formazione.

9) Hai qualche nuovo progetto in ballo (letterario o meno)?

Sono in attesa di una valutazione sulla traduzione del secondo libro di Helen Hodgman, come accennato sopra, e di una proposta per la traduzione di un classico mai tradotto in italiano (ma non è quello di Marcus Clarke).
 

 
10) Ti piacciono gli autori nordici? Hai qualche libro di scrittori italiani sul comodino?

Ho letto forse uno o due autori nordici anni fa, ma poi, essendo una persona che legge prevalentemente libri ‘vecchi’, li ho trascurati del tutto. Nel mio kindle ho la versione in inglese di Elena Ferrante, ma solo perché un giorno vorrei vedere come è stata tradotta.

11) Riesci a leggere un libro senza pensare a come lo avresti tradotto?

Cerco di non deformare troppo un passatempo così importante per il mio spirito, e certamente non sono così esperta, ma ogni tanto, davvero, vedo ‘la forzatura’ e penso subito alla frase in lingua originale.
 

Valentina Rossini Rowland
 

Intervista a cura di Maria Sole Bramanti