Intervista a Viola Ardone




A tu per tu con l’autore


 

In questo tuo nuovo libro racconti la storia di una giovane ragazza 15enne in un paesino della Sicilia, Oliva Denaro, che si trova protagonista suo malgrado di una (passami il termine) violenza legalizzata, il matrimonio riparatore. Una storia difficile, a tratti cruda, dura, se vogliamo rischiosa, visto che tratti un tema ancora vicinissimo a noi in termini temporali (solo 40 anni fa). Come hai scelto di parlarne e come hai scelto la (ma direi anche al plurale, le) voci narranti?

“Violenza legalizzata”: mi piace moltissimo questa definizione, perché era proprio così. In più, all’epoca non esisteva nemmeno il reato di violenza sessuale inteso come crimine contro la persona, che è entrato nel nostro Codice penale solo nel 1996, e dopo un iter parlamentare lungo e complicato, così come oggi avviene per altri Disegni di legge che vertono sempre sul tema dei diritti e che risultano particolarmente divisivi nelle aule della politica. 

Quando ho pensato di raccontare questa storia mi sono detta: “ecco, mi sto infilando in un pasticcio. La tematica è spinosa, la Sicilia è complicata da narrare senza cadere negli stereotipi e mi tirerò addosso critiche da ogni dove, sarà un casino”. E poi… mi sono messa a scrivere! Ho voluto far parlare la protagonista, Oliva, ma attraverso la sua voce ho cercato di far sentire anche quelle degli altri, della sua famiglia, in primis, delle amiche, delle comari, di tutto il paese. Infatti, pur essendo un romanzo in prima persona, è in qualche modo “corale”.

Un no, da solo, può cambiare una vita, e tanti no messi insieme possono cambiare il mondo”. Il no di Oliva è solo il primo di altri no che verranno dopo di lei e porteranno alla modifica di una legge iniqua. Ci aspetteremmo forse un personaggio più ribelle, di rottura, una sorta di eroina, invece Oliva è una ragazza semplice, senza grilli per la testa, a parte lo studio e i libri, che obbedisce alla madre e al contesto in cui vive, che la vuole silenziosa, quasi invisibile, rispettosa di un codice di comportamento ben preciso dove la donna deve tenere la testa bassa e dire sempre sì. Quali messaggi hai voluto dare con questa scelta?

A me la retorica delle “donne/ragazze/bambine ribelli” ha un po’ stancato. Insomma, non bisogna essere mica delle ninja urbane per poter camminare in strada senza essere importunate? Pe aver diritto a usufruire del congedo per maternità senza rischiare di perdere il posto di lavoro? Per avere un trattamento salariale paritario rispetto a quello degli uomini? Per partecipare alla vita lavorativa, politica, culturale di questo Paese anche in posizioni apicali senza essere “aggressive e sfacciate”? I diritti sono belli per questo: perché valgono anche per chi non ha voglia di combattere o non può farlo. Oliva è una ragazza come tante, non è una ribelle e non avrebbe potuto esserlo, in quell’epoca e in quel contesto. Il suo “no”, nasce come un fiore che ha radici molto fragili eppure non conta meno dei grandi “no” delle donne che hanno lottato in prima linea.

Tu affianchi ad Oliva un’altra ragazza, Liliana, che viene additata come “figlia di comunisti”, quindi diversa, controcorrente, che si comporta in modo troppo libero per una femmina, mentre anche lei non è poi così diversa da tutte le giovani di oggi che si permettono di vivere e sognare come è giusto alla loro età. Liliana offre a Oliva uno sguardo nuovo su di lei e sulla femminilità in più momenti e in più modi diversi, la fotografia, le riviste, le discussioni e l’aiuto, determinante, perché Oliva porti il suo stupratore in tribunale. Come hai scelto un’altra giovane donna coetanea come “aiutante” nella crescita della tua protagonista? 

Nell’adolescenza l’amicizia è fondamentale. L’amica o l’amico del cuore è un rispecchiamento, un confronto, un sostegno e uno stimolo a crescere. Si creano a quell’età rapporti fortissimi, esclusivi che a volte durano per sempre, altre volte si dissolvono entrando nell’età adulta. Oliva guarda a Liliana con ammirazione ma anche con sospetto, perché è così diversa da lei, con rivalità, in alcuni casi, con l’intento di scoprire attraverso di lei una propria idea di femminilità, un proprio modo di stare al mondo. Ed è proprio questa diversità a renderle così unite e solidali.

C’è un altro personaggio importantissimo per Oliva, coprotagonista, altrettanto indimenticabile come lei: il padre Salvo. È lui una sorta di seconda voce narrante, fondamentale nella vita e nelle scelte della figlia, una figura maschile così profondamente diversa dalle altre, presenza silenziosa (“Se tu inciampi, io ti sorreggo”), un debole invece fortissimo. Ti sei ispirata a qualcuno in particolare?

Un po’ a mio padre, perché non mi ha mai imposto né vietato nulla nella vita. Da lui non mi sono mai sentita giudicata, ma accettata e amata così come sono. Salvo Denaro però è diverso nel carattere: è mite fino a risultare snervante, è silenzioso fino a sembrare apatico. Agli occhi del paese e forse anche della moglie è un perdente, ma nel corso della storia mostrerà una psicologia molto più complicata e qualche risvolto nascosto. È l’uomo dei dubbi, uno che coltiva il dubbio come forma di conoscenza. Questo mi piace molto perché io invece sono molto impulsiva e raramente riesco a nascondere quello che penso.

Anche la madre Amalia è fondamentale sia nella vita e nella crescita della figlia, sia come personaggio che a sua volta cresce e si modifica nel corso degli eventi. Se prima di fatto contribuisce nel portare avanti uno schema di comportamenti stereotipati, dopo lo stupro cambierà anche lei. Una sorta di parallelo con la figlia e in che modo?

Per Amalia, che è imbevuta di tradizioni e di regole, la vicenda della figlia è perturbante: mette in crisi tutto il suo sistema di valori. Quella figlia, tutto sommato, le ha dato sempre ascolto, ha seguito le sue indicazioni, non è una “brocca rotta”, come direbbe lei… Eppure si trova in una situazione in cui l’unica via d’uscita sembra essere il matrimonio con la persona che l’ha presa con la forza. E Amalia è convinta in buona fede che non ci sia altra strada. Il suo è un difetto di conoscenza, non un difetto di intelligenza o di amore. Crede che il bene della figlia possa risiedere in quest’unica soluzione: le nozze “riparatrici” con il violentatore. Sua figlia le insegna che c’è anche un’altra strada, fatta di sofferenza, certo, di difficoltà, una strada in salita, che passa per un tribunale e porta chissà dove. Ma che alla fine riconduce a casa. È lì che Oliva vuole tornare.

Ci sono anche in questo romanzo degli echi de “Il treno dei bambini”, ci racconti come li hai collegati idealmente? 

Sì, il collegamento idealmente è nel ruolo delle donne nella seconda metà del Novecento. Nel 1945 (quando è ambientato Il treno dei bambini) le donne vanno per la prima volta al voto, escono dall’invisibilità, diventano soggetto di diritti. Con questo romanzo ho voluto affacciarmi negli anni Settanta per vedere a che punto era il loro cammino, e ho trovato Oliva. 

Dal punto di vista narrativo i due romanzi sono collegati da un personaggio-ponte, che è Maddalena Criscuolo, la partigiana che accompagnava i bambini sul treno che li avrebbe condotti al Nord. In Oliva Denaro ricompare in un ruolo molto significativo

Viola Ardone

A cura di Sara Zanferrari

 

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