Intervista ad Andrea Frediani




A tu per tu con l’autore


Andrea Frediani, la tua bibliografia è sterminata, sei uno storico, un polemologo, un saggista e un narratore che si è interessato a moltissimi periodi storici. C’è un’epoca che non hai ancora affrontato e qual è la tua preferita?

In effetti non ho mai scritto di Settecento, anche se l’ho affrontato più volte negli articoli. Non è che non mi interessi, ma non è un’epoca di grande attrattiva per il pubblico, in generale. Ora, per esempio, per il mio prossimo romanzo, in uscita credo ad aprile, sto affrontando un’epoca per me inedita: sarà ambientato nell’antica Grecia – e io di antica Grecia ho già scritto -, ma almeno sette secoli prima degli eventi narrati nei miei primi romanzi. Se dovessi scegliere un’epoca che preferisco approfondire, direi senz’altro la caduta dell’impero romano e la seconda guerra mondiale: sono quelle che mi offrono di gran lunga più suggestioni.

Ho cominciato a leggere i tuoi libri di stampo saggistico, quelli riguardanti le grandi battaglie del medioevo, di Roma antica, di Napoleone ma in seguito hai scritto numerosi romanzi storici. Qual è il tuo personaggio del cuore?

Direi quasi sempre l’ultimo che ho creato! In ambito saggistico, non mi stancherei mai di parlare dei magistri militum, i capi dell’esercito mezzosangue o barbarici che guidarono l’impero nell’ultimo secolo della sua esistenza: personaggi davvero shakaespeariani, per la loro drammaticità. Per quanto riguarda i miei, sono particolarmente affezionato ad Aristodemo, il protagonista di 300 guerrieri, Sesto Martiniano, di Roma Caput Mundi, Isaia de Il bibliotecario di Auschwitz e Ulisse Savino de L’ultimo soldato di Mussolini. Chi più chi meno, hanno parecchio di me…

Col tempo Ulisse elabora un pensiero autonomo e tenta di seguire un comportamento in linea con la sua coscienza. Sono stati tante nella realtà le persone che hanno avuto un’evoluzione come la sua oppure la maggioranza cercava “la bella morte”?

Sì, direi che Ulisse rispecchia il cambio di campo avvenuto nel corso della guerra civile da parte di tanti aderenti alla Repubblica di Salò. Le diserzioni e la renitenza di leva fioccavano, è un dato di fatto. Molti lo hanno fatto per mero opportunismo, certo, man mano che si rendeva più evidente la vittoria alleata. Ma altri hanno dovuto rendersi conto che il loro idolo, Mussolini, non era libero di fare delle scelte autonome ma era del tutto in balia dei tedeschi, e hanno capito di stare operando, di fatto, per un regime di occupazione, e non per la libertà.

Nel romanzo hai ben messo in luce le diverse motivazioni che hanno mosso i seguaci di Mussolini a scegliere di allearsi con i tedeschi ma secondo te qual è stata quella determinante?

Ciascuna categoria aveva la sua: i soldati si vergognavano di farsi guidare da un re, da un primo ministro e da generali che erano scappati; i civili trovavano immorale allearsi con gli anglo-americani che li avevano bombardati fino a poco prima, o gli avevano ucciso qualche parente in guerra; i giovani trovavano naturale assecondare l’esaltazione per il duce con cui erano cresciuti fin dalla nascita.

In un’importante passaggio del tuo libro Ulisse Savino che sta per suicidarsi, cambia idea quando sente alla radio la notizia della liberazione di Benito Mussolini dalla sua prigionia a Campo Imperatore. Questo colpo di scena vuole mettere in evidenza la subalternità della maggior parte del popolo italiano alla figura paterna dell’uomo forte, che in Ulisse è particolarmente evidente?

Ulisse è un fascista; quindi, come per lui era naturale sentirsi senza speranza in assenza di una figura di riferimento come Mussolini, lo è altrettanto recuperare fiducia una volta appreso che è tornato in auge. Il fascismo senza Mussolini, soprattutto per gli italiani, non esisteva proprio; c’era una totale identificazione tra duce e partito e stato: non a caso, all’indomani della sua caduta del 25 luglio i fascisti sono pressoché scomparsi, senza neppure provare a reagire. E sono usciti dalla tana solo dopo la sua ricomparsa…

“L’ultimo soldato di Mussolini” mette anche in grande evidenza il totale sbandamento avvenuto l’8 settembre 1943 quando, dopo l’annuncio dell’armistizio, nessuno sapeva cosa fare e chi doveva dare l’esempio e gli ordini era scappato senza ritegno. Secondo te chi è il maggior responsabile di quella che è stata chiamata “la morte della Patria”?

Io non mi sento di dare troppe colpe al re: se fosse caduto in mano ai tedeschi, si sarebbe dissolta quella parvenza di continuità statale che consentì agli Alleati e a parte degli italiani di rivendicare la legittimità costituzionale dello stato dei Savoia, in contrapposizione a quello posticcio della RSI. Ma accidenti, designiamo come presidente del consiglio un generale, e poi questo generale scappa con tutti i subalterni, invece di guidare un esercito per espellere il nuovo nemico dall’Italia e guadagnarsi la stima dei nuovi alleati?

Il tuo libro ha degli intermezzi che raccontano le ultime ore di Benito Mussolini per creare uno scenario adeguato all’epilogo. Secondo te come sono andate le cose nella realtà, perché il resoconto ufficiale presenta molte incongruenze?

Nel corso dei decenni si è sentito e letto tutto e il contrario di tutto, a proposito della sua morte. I testimoni stessi si sono contraddetti più volte, probabilmente per le pressioni dei partiti coinvolti allora. Ho riportato la versione più recente e più corroborata dai fatti accertati, ma non è detto che non vengano fuori nuove rivelazioni in futuro. Non tutto è stato chiarito e di ombre ce ne sono ancora, considerando anche che oro e documenti che il convoglio fascista trasportava sono scomparsi…

Andrea Frediani 

 

Acquista su Amazon.it: