La bambina sputafuoco




Recensione di Chiara Forlani


Autore: Giulia Binando Melis

Editore: Garzanti

Genere: Narrativa contemporanea

Pagine: 336

Anno di pubblicazione: 2022

Sinossi. Se ascoltassimo il bambino che è in noi, la sua fantasia ci tirerebbe fuori da tutti i guai. “Io mi chiamo Mina e mi piacciono molte cose: i denti di leone, il tonno in scatola, i libri, la ricotta, le lucciole e soprattutto i draghi, e le fiamme che escono dalla loro bocca. I draghi nessuno li uccide, sono fortissimi, e per questo io mi sento una di loro, infatti la prima volta che ho visto Lorenzo non mi sono neanche spaventata. Lui era infuriato, urlava forte e mi ha lanciato un’occhiataccia. Ma io lo so che era solo molto arrabbiato, come me. Stare qui non ci piace per niente e questo è stato un ottimo motivo per diventare amici. Insieme facciamo sul serio. Siamo davvero due brutti ceffi e di fronte a noi se la danno tutti a gambe, perfino la paura. Contro di lei usiamo l’immaginazione, che ci fa vincere sempre. Che ci fa sentire forti e coraggiosi. E di coraggio ne abbiamo bisogno, per mettere a punto il nostro piano segreto. Un piano di fuga coi fiocchi. Perché io e Lorenzo dobbiamo scappare. Andarcene via dall’ospedale dentro cui viviamo ormai da troppo tempo e raggiungere il mondo fuori. Perché quando rivedremo il cielo ogni cosa cambierà. Perché quando siamo insieme non ci batte nessuno.” Ci sono esordi che risuonano per molto tempo nel cuore di chi li legge. È così per “La bambina sputafuoco”, venduto in tutt’Europa. Noi siamo Mina quando ascoltiamo il bambino che abbiamo dentro. Quando lasciamo che la fantasia ci faccia da guida. Quando ci fidiamo di un’amicizia vera, che non ci fa sentire soli. Tratto dall’esperienza dell’autrice, questo romanzo insegna come il potere dell’immaginazione possa tirarci sempre fuori dai guai.

Recensione

Nonostante la tragicità della situazione venga subito svelata, quella di una bambina affetta dal linfoma di Burkitt e ricoverata a lungo in ospedale insieme ad altri piccoli malati, in questo libro tutto parla del nostro io bambino, l’età nella quale esiste solo il presente e il proprio corpo rappresenta la cosa più importante del mondo. L’età in cui si gioca, in cui l’amicizia costituisce un tesoro, l’età in cui il cibo e il suo sapore sono un’esperienza totalizzante:

Come spiegare la toma? Sono tutti gli odori che uno non dovrebbe mai avere addosso, ma da qualche parte devono stare ed è dentro il formaggio; insieme si trovano a loro agio perché si piacciono a vicenda e per la puzza si lodano particolarmente, soprattutto se è forte e un po’ salatina”.

L’argomento di questo libro, cioè il vissuto in età pediatrica di una giovane affetta da un patologia oncologica per fortuna curabile, mi tocca molto da vicino, perciò mi sono predisposta alla lettura con grandi aspettative. Faccio l’insegnante ospedaliera e opero in contesti simili a quelli descritti nel romanzo. Conosco bene le sale giochi, gli incontri delle mamme sulle porte delle stanze, gli operatori del volontariato, le feste improvvisate per portare un po’ di allegria. Ho trovato giusto che il racconto sia stato fatto direttamente dalla voce della bambina, che si esprime in modo adatto alla sua età e usa i dialoghi liberamente, senza la punteggiatura appropriata.

Cara Olivia, oggi ho conosciuto molte persone, sono tutti carini e simpatici anche se spesso gli manca un pezzo (come i giochi che però funzionano lo stesso). Abbiamo fatto insieme il laboratorio di ritaglio e adesso che so come si fa quando torno a casa ti insegno”.

Tuttavia ho trovato che la narrazione da parte della protagonista bambina, immersa nell’osservazione minuziosa di ciò che la circonda e nella percezione delle esigenze del proriocorpo, in alcuni punti del romanzo appaia un po’ monotona, soffermandosi su dettagli di cui il lettore potrebbe fare a meno. Quello che interessa a mio parere è il vissuto della protagonista, il suo viaggio interiore, la malattia e la rinascita. Le parti del libro meno coinvolgenti vengono riscattate da frasi come questa:

A volte Dio è un po’ cieco dalla fame e le lucciole le scambia per briciole di pane e le ingoia pure, ma di solito se ne accorge e non le manda giù perché gli servono da luci per il paradiso che non va a lampadine siccome lì non hanno le spine dell’elettricità perché non ci sono mica i muri.”

Il cammino di Martina detta Mina, il suo percorso verso la guarigione incontra ostacoli e fallimenti che la fanno crescere e la rafforzano interiormente. Fino a portarla ad esclamare: “Faccio spallucce, su tutto il corpo. Poi torno sulla sedia, annuisco. E adesso sono immortale.”

Solo un’amicizia più forte della morte, che spinge la protagonista a correre dei rischi e a infrangere le regole, farà volare lontano Mina e Lorenzo. Con il corpo ma soprattutto con lo spirito.

A cura di Chiara Forlani

https://www.chiaraforlani.it/

Giulia Binando Melis


Giulia Binando Melis si è laureata in filosofia con una tesi sulla morte, ma giura di essere un tipo allegro. Di giorno realizza progetti narrativi come creativa freelance, di sera è una cantante. Solitamente non fa lo sbaglio di invertire. Nel suo romanzo d’esordio ha raccontato una storia che conosce fin da quando era bambina.

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