La lettera di Gertrud




Recensione di Marina Morassut


Autore: Björn Larsson

Traduzione: Katia De Marco

Editore: Iperborea

Genere: Narrativa

Pagine: 465

Pubblicazione: 2019

Sinossi. È spargendo al vento le ceneri della madre che Martin Brenner, genetista all’apice di una brillante carriera, marito e padre felice, comincia a interrogarsi sul suo rapporto con lei: perché non prova un vero dolore, perché ha sempre sentito che un velo si frapponeva tra loro? Scoprirà il motivo in una lettera che lei gli ha lasciato: quello che li divideva era un segreto. Sua madre non si chiamava Maria, ma Gertrud, ed era un’ebrea sopravvissuta ai lager. Glielo aveva nascosto per proteggerlo, ma anche per lasciarlo libero di scegliere, da adulto consapevole, la propria identità e la propria vita. Ma qual è la scelta davanti a una rivelazione così scioccante? E cosa vuol dire poi essere ebreo? Con il razionalismo dello scienziato, Martin si getta in ogni genere di letture, ricerche, discussioni con l’amico Simon e il rabbino Golder, per poter decidere: tenere il segreto o accettare la sua ebraicità, sconvolgendo non solo la propria esistenza, ma anche quella della sua famiglia, nonché quel quieto rapporto di «reciproca indifferenza» che ha sempre avuto con Dio? Ed è davvero libero di scegliere o è in realtà costretto ad accettare una definizione che per un genetista, e ateo, non ha alcun significato, e un’appartenenza che non sente? Con la sua capacità rabdomantica di captare i grandi temi del presente e trasformarli in storie da leggere d’un fiato, Björn Larsson affronta uno dei grandi equivoci di oggi – l’identità levata a vessillo di divergenza e inconciliabilità e l’appartenenza come bisogno primordiale eretto a muro divisorio – per rivendicare il diritto di ognuno di essere guardato e giudicato per l’unica vera identità che abbiamo: quella di singole persone.

Recensione

Come ha tenuto a precisare l’autore stesso durante l’incontro che si è tenuto a Pordenone lo scorso 16 Maggio 2019, il libro è stato scritto ben prima che l’argomento di cui tratta diventasse di così scottante attualità, pur se il tema di ebraismo, Israele, Palestina, nazismo e Olocausto sono sempre di attualità.

Anche come struttura – oltre che per la trama – questo libro è particolare e rompe con le convenzioni per essere un intenso ibrido: parte come un romanzo classico basato sul principio flaubertiano del narratore impersonale ed assente. Continua con una seconda parte, ancora romanzata, pur se a raccontarla inizialmente sono figure chiave per alcune dinamiche di accadimenti, ma al contempo non costanti nella presenza del racconto stesso – e la terza parte è la voce narrante dell’autore, che ci racconta del suo incontro con il protagonista Martin Brenner, degli accordi presi per la stesura del romanzo e la parte che riprende la critica filosofica, in parte in accordo con il protagonista del libro. Si conclude infine come una biografia, con inserti autobiografici, a disposizione per chi intenda approfondire l’argomento.

Dicevamo romanzo particolare, perché alla parte romanzata della famiglia di Martin Brenner, sposato con Cristina e con una figlia adolescente, Sara, l’autore contrappone in un certo senso la parte filosofica, dove cerca di capire se un singolo individuo ha il diritto di decidere da solo se vuole o no appartenere ad un gruppo religioso – in questo caso specifico se vuole o meno essere un ebreo – pur avendone le caratteristiche di discendenza che gli permetterebbero di esserlo in automatico. Tutto questo in aggiunta o forse, in alcuni casi, forse anche in contrapposizione al desiderio recondito in ogni essere umano di appartenenza ad un gruppo, sia esso religioso, sociale o di qualsiasi altra natura, sì che ci si possa sentire protetti ed aiutati in situazioni di pericolo.

Björn Larsson ci racconta la storia di una famiglia normale e al contempo normalmente felice, di media borghesia, che va in pezzi alla notizia che Martin, marito e padre, è ebreo. Inizialmente più per il modo in cui la famiglia lo viene a scoprire e poi per come la notizia viene accolta da amici, colleghi di lavoro, mondo politico, religioso e sociale che ci circonda.

Martin scopre la sua appartenenza al popolo ebraico alla morte della madre, che in vita aveva preferito tenerglielo nascosto, avendo vissuto sulla sua pelle la persecuzione razziale e l’internamento in un lager. E temendo che quanto già accaduto potesse ripetersi.

L’autore decide anche di non rendere nota la nazione nella quale vive la famiglia Brenner, perché quanto avviene potrebbe accadere in uno qualsiasi dei Paesi europei, tranne forse che in Germania. Questo per farci capire che nessuno dei Paesi civilizzati è scevro da atti insensati e disumani.

Da questo momento in poi assistiamo rattristati allo smantellamento del puzzle delle vite costruite sotto l’egida della menzogna della madre. Una volta appreso questo segreto, il figlio Martin non può che agire come lo scienziato che è, ribellandosi all’odio gratuito delle persone – inizialmente alzando la testa alle ingiurie mantenendo sempre la gentilezza e la voglia di capire gli altri, che non lo abbandoneranno mai, neppure nei momenti più bui che arriveranno.

Un romanzo filosofico che rende conto di “un’indignazione repressa, un dolore e una delusione per lo stato del mondo, per la malevolenza e la malvagità dell’uomo, per i pedofili, gli stupratori, i violenti, gli hater e i razzisti, i fanatici che uccidono e spargono il terrore in nome del proprio Dio, i cinici capitalisti che spingono a fare le stesse cose nel nome del denaro, i politici privilegiati che dai loro pulpiti sbraitano di ricacciare i profughi in mare aperto, i grandi sacerdoti ed i banditi che obbligano i bambini a diventare soldati…”

Una malinconia che morde la coscienza, il pensiero di essere stati protetti dai nostri genitori, in qualsiasi modo l’abbiano potuto fare e la paura di non riuscire a fare altrettanto con i propri figli, con la continua tensione e scelta tra profilo basso e lotta civile – e la domanda che quando abbiamo il coraggio di guardare dentro noi stessi, siamo portati a farci: cosa ho fatto per contribuire ad un mondo migliore?

A cura di Marina Morassut

libroperamico.blogspot.it

Björn Larsson


Docente di francese all’Università di Lund, ha pubblicato varie opere di critica filologica e ha tradotto dal danese, dall’inglese e dal francese. Appassionato navigatore sulla sua barca a vela “Rustica”, a bordo della quale ha scritto “La vera storia del pirata Long John Silver”, ha esordito nel 1980 con la raccolta di racconti “Splitter” (Frammenti), ma solo nel 1992 ha raggiunto la fama internazionale con il secondo romanzo, “Il Cerchio Celtico”, Premio Boccaccio Europa 2000, un thriller ispirato da un suo viaggio nelle acque della Scozia e dell’Inghilterra. Con “Il porto dei sogni incrociati”, del 1997, si è aggiudicato in Francia il Prix Médicis. Nel 2011 è uscito il suo primo libro giallo: “I poeti morti non scrivono gialli”, sempre edito in Italia da Iperborea. Ha scritto inoltre: “Diario di bordo di uno scrittore” (Iperborea 2014), “Raccontare il mare” (Iperborea 2015) ed ora “La lettera di Gertrud” (Iperborea 2019).

 

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