La mala erba




 LA MALA ERBA


Autore: Antonio Manzini

Editore: Sellerio Editore Palermo

Collana: La memoria

Anno edizione: 2022

Pagine: 368 p., Brossura

Sinossi.

Un romanzo sul cupio dissolvi di due uomini prepotenti, sulla vendetta che non ripristina giustizia, sul ciclo inesorabile e ripetitivo dell’oppressione di una provincia emarginata che non è altro che l’immensa, isolata provincia in cui tutti viviamo.

«Nel buio non riusciva a vedere buche, radici e rocce che spuntavano dal terreno. Cadde per tre volte con la faccia nel fango, e per tre volte si rialzò per continuare a correre, col vestito lacero e ricoperto di terra, il viso nero e incrostato di fango e sangue.»

Nella cameretta di Samantha spicca appeso al muro il poster di una donna lupo, «capelli lunghi, occhi gialli, un corpo da mozzare il fiato, gli artigli al posto delle unghie», una donna che non si arrende davanti a nulla e sa difendersi e tirare fuori i denti. Samantha invece, a 17 anni, ha raccolto nella vita solo tristezze e non ha un futuro davanti a sé. Non è solo la povertà della famiglia; è che la gente come lei non ha più un posto che possa chiamare suo nell’ordine dell’universo. Lo stesso vale per tutti gli abitanti di Colle San Martino: vite a perdere, individui che, pur gomito a gomito, trascinano le loro esistenze in solitudine totale, ognuno con i suoi sordidi segreti, senza mai un momento di vita collettiva, senza niente che sia una cosa comune. Sul paese dominano, rispettivamente dall’alto del palazzo padronale e dal campanile della chiesa, Cicci Bellè, «proprietario di tutto», e un prete reazionario, padre Graziano. I due si odiano e si combattono; opprimono e sfruttano, impongono ricatti e condizionamenti. Cicci Bellè prova un solo affetto, per il figlio Mariuccio, un ragazzone di 32 anni con il cervello di un bambino di 5; padre Graziano porta sempre con sé il nipote Faustino, bambino viziato, accudito da una russa silenziosa, Ljuba. Samantha non ha conforto nel ragazzo con cui è fidanzata, nemmeno nei conformisti compagni di scuola; riesce a comunicare solo con l’amica Nadia. Tra squallide vicende che si intrecciano dentro le mura delle case, le sfide dei due prepotenti e i capricci di un destino tragico prima abbattono la protagonista, dopo le permettono di vendicarsi della sua vita con un colpo spregiudicato, proprio come una vera donna lupo; un incidente, un grave lutto, un atto di follia, sono le ironie della vita di cui la piccola Samantha riesce ad approfittare. La penna di Antonio Manzini, che ha descritto un personaggio scolpito nella memoria dei lettori come Rocco Schiavone, raffigura individui e storie di vivido e impietoso realismo in un noir senza delitto, un romanzo di una ragazza sola e insieme il racconto corale di un piccolo paese. Una specie di lieto fine trasforma tutto in una fiaba acida. Ma dietro quest’apparenza, il ghigno finale della donna lupo fa capire che La mala erba è anche altro: è un romanzo sul cupio dissolvi di due uomini prepotenti, sulla vendetta che non ripristina giustizia, sul ciclo inesorabile e ripetitivo dell’oppressione di una provincia emarginata che non è altro che l’immensa, isolata provincia in cui tutti viviamo.


La mala erba

A cura di Sabrina De Bastiani


 Recensione di Sabrina De Bastiani


“Il tempo è una questione di avvenimenti. Per te magari sono passati dieci, quindici giorni. Per me dieci o quindici anni.”

La vicenda, meglio ancora le vicende narrate ne “La mala erba” di Antonio Manzini si svolgono nell’arco di circa un mese, tra marzo e aprile del 2009 e praticamente non ci si ‘sposta’  dal  piccolo borgo di Colle San Martino, abitanti trecento.

Eppure la portata e la valenza di questo narrato sono tali da condurci in un viaggio unico,  familiare e sorprendente allo stesso tempo, come solo quello dentro noi stessi può essere.

Non è un noir, sebbene scorrano sangue, fango e pioggia. 

“Colle San Martino è così” fece Primo, “non dà niente gratis. Vuole sempre qualcosa in cambio. E prima o poi se lo prende.”

Non è un giallo, sebbene il mistero, il taciuto aleggino su ognuna delle figure che animano, nel senso proprio di esserne anima, questo romanzo e sebbene vi siano delle morti.

Sono l’ultima cosa che se ne va, gli occhi, pensava Cicci Bellè, quando spariscono pure quelli, non c’è più niente da salvare. 

Eppure le pagine scorrono con  brama e  intensità  e noi corriamo con loro nella tensione fortissima di andare avanti, come se capitolo dopo capitolo si ingrandisse, si mettesse meglio a fuoco,  la nostra immagine nello specchio della  società nella quale viviamo. Come se, seguendo le vicende di protagonisti meno che mai immacolati, più o meno deboli, vigliacchi, o aggrappati alla vita con il coraggio più forte,  riuscissimo a fronteggiare meglio le nostre imperfezioni, nel tentativo di accettarle o solo ammettendole.

Perchè cosa ci dice “La mala erba?” Ci dice che, in fondo,  l’unico vero delitto della stanza chiusa, si realizza quando in quella stanza ci chiudiamo noi stessi, senza provare a guardare oltre,   ripiegandoci  fino a perdere forma, senso, prospettiva e facendoci grumo di sangue e rabbia.

Ci mostra quanto siano intimamente collegati misticisimo e natura , umana e quella del mondo fisico, quanto siano talvolta contraddittorie e inconciliabili, quanto sia fondamentale interrogarsi e dubitare, indipendendentemente dall’avere o meno risposte. Perché solo così facendo, trovarsi davanti a una montagna potrà essere  stimolo a provare a passare oltre,  aggirandola  oppure scalandola. 

Non  esserne schiacciati.

Come avviene tutto questo? Si realizza  per tramite dei personaggi di questo straordinario presepe vivente laico, che solo e unicamente la penna, sublime e possente, di Antonio Manzini avrebbe potuto raccontare. 

Spaccati di vita e staccati dalla vita, nella riproduzione moderna di una società dove la sudditanza, psicologica, economica, morale è la condizione dei più, mentre unica, o di pochi, lo è la sovranità, infatti propria di chi è solo. E che in questa storia si fa  mala erba, appunto. Quella che non si estirpa mai fino in fondo e che attorno a sé genera il vuoto.

Nella comunità di Colle San Martino, nella quale ciascuno sa tutto di tutti, eppure si è estranei, nella quale debolezze e fianchi scoperti sono il bersaglio sul quale sparare, sul quale fare leva,, due protagonisti, apparentemente agli antipodi su tutto, età, condizione economica, famigliare, morale si affrontano, si confrontano, metaforicamente si sbranano come lupi, d’altronde homo homini lupus, fino ad arrivare a confondersi. 

E li si ama entrambi, Cicci Bellè, il signore del paese, un pugno di vite che stritola tra le sue mani quotidianamente,  che cavalca l’ombra e la calpesta  e Samantha De Santis la diciassettenne che prova ad amarsi, che non ha paura di cercare la sua strada, che mai vorrebbe prescindere dalla luce , antieroi di  queste pagine epiche e contemporanee che tracciano e lasciano un solco, culla per un seme che possa forse fiorire, anche se  chissà in che modo, bagnato da quella pioggia che in apertura fa melma e alla fine lava.

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Antonio Manzini


Attore e sceneggiatore, romano (allievo di Camilleri all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica), ha esordito nella narrativa con il racconto scritto in collaborazione con Niccolò Ammaniti per l’antologia Crimini. Del 2005 il suo primo romanzo, Sangue marcio (Fazi). Con Einaudi Stile libero ha pubblicato La giostra dei criceti (2007). Un suo racconto è uscito nell’antologia Capodanno in giallo (Sellerio 2012). Del 2013, sempre per Sellerio, ha pubblicato il romanzo giallo Pista Nera. Secondo episodio della serie: La costola di Adamo (Sellerio 2014). Nel 2015 pubblica Non è stagione (Sellerio), Era di maggio (Sellerio) e Sull’orlo del precipizio (Sellerio). Del 2016 è Cinque indagini romane per Rocco Schiavone (Sellerio). Altri suoi romanzi pubblicati con Sellerio sono: 7-7-2007 (2016), Pulvis et umbra (2017), La giostra dei criceti (2017), L’ anello mancante. Cinque indagini di Rocco Schiavone (2018), Fate il vostro gioco (2018), Rien ne va plus (2019), Ogni riferimento è puramente casuale