La prigioniera




Recensione di Laura Salvadori


Autore: Debra Jo Immergut

Editore: Corbaccio

Traduttore: Valeria Galassi

Genere: thriller

Pagine: 300

Anno di pubblicazione: 2018

Sinossi. Due voci, un uomo e una donna, si alternano nel raccontare la loro storia. La storia che li ha portati dove sono adesso: in carcere. Frank come psicologo, Miranda come detenuta. Si erano già conosciuti ai tempi del liceo, quando Frank si era infatuato di questa ragazza, schiva e misteriosa e che neanche si era accorta di lui. Non è inconsueto incontrare casualmente una persona che ci ha fatto perdere la testa tanti anni prima. Di solito la vecchia passione si ridimensiona, più raramente si riaccende. Qui però la situazione è fortemente anomala. Il luogo, la prigione, è claustrofobico, la realtà che si vive è rarefatta e distorta. La relazione tra Frank e Miranda non può essere normale, eppure non è affatto chiaro chi dei due dipenda dall’altro, chi sia libero e chi non lo sia. E il passato, che si svela a poco a poco coinvolgendo non solo i due protagonisti ma, per cerchi concentrici, le famiglie, i genitori e tutte le persone che fanno parte della loro vita, è un concatenarsi di eventi che ineluttabilmente li portano proprio dove sono adesso. Con un carico di emozioni, di frustrazioni, di passioni che non si sa che strada prenderanno: verso la salvezza? O verso la distruzione? La prigioniera è un romanzo che parla di bene e di male, e di come bene e male siano ripartiti in ugual misura dentro tutti noi. In questo senso è un libro universale: i protagonisti sono persone normali, che vivono, sbagliano e tentano di riscattarsi dagli errori commessi.

Recensione

Provate a calarvi nella quotidianità di un carcere di massima sicurezza americano.

Supponete di aver commesso un crimine tremendo, ma al tempo stesso di sentire dentro di voi la consapevolezza di essere innocente, non perché non avete commesso il reato per cui siete stati condannati, ma perché vi sentite innocenti nell’animo, senza peccato alcuno se non quello di aver avuto un destino ingrato, che vi ha tolto ogni gioia e ogni speranza. Pensate a quale prospettiva può avere davanti a sé questa giovane donna (perché di una donna si tratta), che sente di non aver più nessuno al mondo, completamente sola con i suoi demoni.

Adesso invece siete uno psicologo, di buona famiglia, che porta un nome illustre. Il vostro buon nome non vi ha tuttavia salvato dall’onta di aver commesso un tragico e fatale errore e adesso vi sentite in balia degli eventi, avete perso l’autostima e probabilmente anche l’affetto di vostro padre.

La vostra vita privata è andata in pezzi e vi sentite assolutamente solo, costretto ad accettare di lavorare in un carcere femminile, lontano da tutti e da tutto, senza più speranza di una carriera all’altezza delle aspettative paterne.

Riconoscerete, dunque, che questi due personaggi hanno i numeri giusti per essere potenzialmente gli assoluti catalizzatori del vostro interesse e delle vostre ossessioni.

Siate allora consapevoli che, se aprirete le pagine di questo romanzo, sarete prigionieri anche voi, stretti in una morsa così potente da non avere più la possibilità di smettere di leggere.

In questo romanzo, che definirei tentacolare e ossessivo, il ruolo del protagonista indiscusso è l’ambiente carcerario.

È il carcere il motivo per cui leggendo rimaniamo invischiati nella lettura; perché la curiosità in primo luogo e poi il coinvolgimento che subiamo una volta conosciuta Miranda sono a 360 gradi. Non si può evitare, non si può misurare. È una sorta di destino ineluttabile per il lettore, quello di tentare di calarsi nella mente di un detenuto che deve scontare una pena molto pesante. Conoscere le sue giornate, addentrarsi nei suoi pensieri, osservare le dinamiche dei rapporti con i propri compagni di sventura. Pochi romanzi, secondo me, riescono in questo intento. L’immedesimazione è inevitabile, come lo è, almeno per me, l’empatia che Miranda mi ha trasmesso.

Miranda è una ragazza sensibile ed eticamente irreprensibile. Ha avuto una vita complicata, ha subito un lutto devastante e forti abusi psicologici. È bella, possiede grazia e intelligenza. È decisamente fuori posto in carcere. È anche scaltra e possiede la capacità di ammaliare chi le si avvicina attraverso il suo candore, manipolando senza sforzo il prossimo, quale che sia il suo ruolo o la sua condizione.

Non si può non provare empatia per Miranda come non si può non comprendere la sudditanza psicologica che suscita da subito in Frank, un giovane uomo al quale la vita ha concesso molte più possibilità ma che lo stesso ha in qualche modo sprecato. Durante la sua breve carriera di psicologo ha dovuto affrontare alcuni momenti critici che hanno minato la sua autostima e lo hanno allontanato dalla figura paterna, che sente di aver tradito e deluso.

I due giovani sono destinati a condividere una fetta di esistenza e a subire in qualche modo la pressione che un ambiente come il carcere suscita nelle loro menti. Un ambiente in cui la speranza latita, da cui non si può fuggire se non con la morte.

Frank idealizza la figura di Miranda al punto da compiere delle scelte davvero incredibili. Queste scelte sono definite inevitabili da Frank, che idealizza fino al parossismo un amore adolescenziale senza speranza.

Mentre le decisioni di Miranda sono almeno per me comprensibili, se contestualizzate, quelle di Frank sono vere e proprie follie. La figura di Frank in effetti è molto complessa e solo alla fine l’autore fornisce al lettore una chiave di lettura condivisibile, che possiamo riassumere nel desiderio di redenzione. Frank è in effetti il vero prigioniero, perché sente di poter vivere solo attraverso Miranda, con la stesso infantile coinvolgimento, la stessa cieca infatuazione dei tempi del liceo.

Inoltre, Frank parla in prima persona: le sue elucubrazioni possono risultare difficili da condividere dato che Frank non si preoccupa di giustificarle agli occhi del lettore, si limita a comunicarle.

Miranda invece è raccontata in terza persona: i suoi pensieri e le sue azioni sono filtrati ottimamente dalla penna esperta dell’autore, che in qualche modo giustifica le sue azioni e le rende facilmente fruibili dal pubblico.

Questa scelta naturalmente produce un consenso e un’empatia maggiore per Miranda rispetto a Frank. Credo che questo effetto non sia causale ma voluto dall’autore, che forse desidera mettere un riflettore su Frank, poiché alla fine sono le sue scelte che sono alla base di tutta la costruzione narrativa e il pretesto per riflettere sulla sua condizione interiore.

Quel che è certo è che questo romanzo crea nel lettore una vera e propria dipendenza. La particolare trama, l’ambiente claustrofobico del carcere, i frequenti passaggi introspettivi, lo studio minuzioso della psiche umana, il coraggio di certe scelte, la crudeltà, la solidarietà, la follia che trasuda dai rapporti personali tra carcerati sono gli ingredienti che fanno del romanzo un’opera davvero inconsueta e grandiosa.

Da leggere dunque tutto d’un fiato, con la mente sgombra da preconcetti.

Debra Jo Immergut


Debra Jo Immergut è una scrittrice e giornalista. Nel 1992 ha pubblicato con Random House la raccolta di racconti Private Property e ha poi lavorato come redattrice e giornalista per testate come il “Wall Street Journal” e il “Boston Globe”. Insegna scrittura creativa in diverse istituzioni pubbliche, tra cui biblioteche, basi militari e prigioni. Nel 2018 Corbaccio ha pubblicato in Italia La prigioniera, suo primo romanzo.