La scienza, la morte




La scienza, la morte, gli spiriti

di Andrea De Luca

Marsilio 2019

Saggio, pag.151

Sinossi. In un mondo trasformato dal progresso tecnologico e dalle rivoluzioni industriali del xix secolo, gli ambienti culturali più diversi sono dominati dal Positivismo e da un forte impulso a estendere le metodologie scientifiche alle scienze dell’uomo: antropologia, sociologia, demografia, politica. Nello stesso periodo, però, alla vasta ricognizione delle tradizioni popolari e dei culti ancestrali si accompagna una crescente curiosità per l’aldilà, per il mistero, per tutto ciò che non può essere spiegato con fredde leggi biologiche o meccaniche. All’ignoto, all’occulto vengono allora applicate nuove metodologie d’indagine: nasce così il romanzo di investigazione che sfrutta entrambe le tendenze, spiegare con la scienza il mistero della morte. La scienza, la morte, gli spiriti si incunea in questa terra di mezzo, dove la letteratura del mistero muove i suoi primi passi all’ombra dei grandi romanzieri tra Otto e Novecento. Descrive quel “filo nero”, di matrice spiritista, che legava Conan Doyle a Francesco Mastriani e che ha attratto scrittori come Pirandello e Capuana. Il lato oscuro della letteratura italiana e la fascinazione per la morte hanno dato vita a un genere, il romanzo poliziesco e d’indagine, che ancora oggi sembra non conoscere crisi.


Recensione di Salvatore Argiolas

Le discussioni sulla paternità del primo “giallo” italiano sono infinite e credo che non si riuscirà mai ad avere un parere condiviso sinché non si riuscirà ad avere un criterio preciso per definire esattamente l’oggetto del contendere in quanto il termine “giallo” in Italia è un insieme che contiene tanti sottogeneri molto eterogenei e che potrebbero far pendere la bilancia a favore oppure contro i principali candidati.

Molti critici definiscono “Il cappello del prete” di Emilio De Marchi del 1887 come capostipite nazionale del genere ma altri esperti danno il primato a “Il mio cadavere” di Francesco Mastriani, pubblicato a puntate dal dicembre 1851 per poi essere raccolto in volume nell’anno seguente.

La scienza, la morte, gli spiriti”, il competente e approfondito saggio di Andrea De Luca, che ha il significativo sottotitolo “Le origini del romanzo noir nell’Italia fra Otto e Novecento”, ci fornisce tanti spunti per una ragionata riflessione sul fertile terreno che funse da incubatrice per tanti generi narrativi che ancora attraggono un numero incredibile di lettori.

Si ritiene che la narrativa “gialla” sia nata nel 1841 con “I delitti della Rue Morgue” di Edgar Allan Poe, che in seguito scrisse altri due racconti, “Il mistero di Maria Roget” e “La lettera rubata” che creano una trilogia seminale da cui il giallo trasse personaggi, temi, topoi e tessiture narrative.

A mio parere anche “Lo scarabeo d’oro” può essere assimilato ad un racconto giallo visto che in seguito lo svelamento di codici segreti diventò un cliché usato (e forse anche abusato nei romanzi polizieschi) ma sono tanti gli spunti che Poe diede ai suoi colleghi che si può ben definire il padre nobile del genere.

I suoi racconti visionari e dall’altissima temperatura emotiva hanno anche oscillato tra horror, gotico, avventura, comico, esplorando in profondità tematiche tipiche dell’ottocento come il Positivismo che ebbe come stella polare il raziocino, l’adorazione per la logica e l’esaltazione della ricerca scientifica ma anche argomenti propri del Romanticismo come l’esaltazione del bizzarro, della parte oscura dell’uomo, dello straordinario che sorprende il lettore.

Marcus Cunnliffe, uno dei maggiori critici della letteratura anglosassone, nel saggio “Storia della letteratura americana” nel capitolo “Un terzetto di gentiluomini” in cui si parla di Irvin, Cooper e Poe scrive:

Questo è quello che innalza Poe sulla folla degli altri scrittori: e cioè la qualità dell’intelligenza e la coscienza che ha di quel che fa. I suoi racconti, osserva Baudelaire, mostrano “l’assurdo che si insedia nell’intelletto, e lo governa con una logica spietata.”

Racconti straordinari” era il titolo della raccolta della Sansoni dove lessi per la prima volta “I delitti della Rue Morgue” e mai titolo fu scelto meglio in quanto furono davvero eccezionali per me giovane lettore. con tanti aspetti intriganti ed emozionanti e ricordo ancora la copertina del volume con l’enigmatico disegno di Paul Klee “Morte e Fuoco” dove il pittore svizzero preannunciava il suo decesso.

De Luca pone Poe come diretto ispiratore di due pionieri del giallo italiani come Francesco Mastriani e Carolina Invernizio, “a partire dal titolo, per le loro omonime storie:

La sepolta viva” è il titolo dei loro romanzi, rispettivamente, del 1877 e del 1896. Del resto quello dell’inumazione dei vivi era un tema di grande potenzialità e sicura presa sul pubblico: al confine tra Positivismo e occulto, questa paura arcana depositata dentro ognuno di noi avrebbe dato vita anche alle innumerevoli saghe sui vampiri.”

Alle spalle dei primi giallisti italiani non c’è solo Poe, c’è anche anche la grande tradizione francese dei feuilleton ottocenteschi che miscelano avventura, suspense e denuncia sociale come “Notre Dame de Paris” di Victor Hugo del 1831, “I misteri di Parigi” di Eugene Sue del 1842 e “Il Conte di Montecristo” di Alexandre Dumas Padre, del 1844 che fornì un palinsesto utile per poter creare trame originali adeguate al tessuto sociale del nostro Paese.

Se la struttura interna del giallo enigma classico è quella che stata identificata nella sequenza:

Preludio-> enigma-> inchiesta-> soluzione che è anche quella seguita nei tre racconti fondanti di Poe allora non si possono chiamare gialli quelli di De Marchi e Mastriani che infatti Raffaele Crovi in “Le maschere del mistero” definisce proto-thriller, ritenendo il romanzo del primo “la storia di un’espiazione più che la storia di un delitto” che diventa anche il tentativo di infondere un’identità tricolore al feuilleton francese.

Così infatti De Marchi presentò “Il cappello del prete”:

Due ragioni mossero l’autore a scriverlo. La prima per provare se sia proprio necessario andare in Francia a prendere il romanzo detto d’appendice, con quel beneficio del senso morale e del senso comune che ognuno sa; o se invece, con un poco di buona volontà, non si possa da noi largamente e con più giudizio ai semplici desideri del gran pubblico. La seconda ragione fu sperimentare quanto di vitale e di logico esiste in questo gran pubblico così spesso calunniato…”

Nei romanzi d’appendice nostrani”, scrive De Luca nell’introduzione “in sostanza, confluivano diversi generi degli esploratori d’oltralpe: il giallo, il gotico, il noir. Le varie etichette e le differenze tra generi letterari erano ancora di là da venire e una commistione tra tematiche e stili era quasi inevitabile, ma l’imperativo era quello delle vendite e il pubblico non badava molto alle classificazioni. In Italia si sviluppò un particolare fenomeno di mescolanza tra un romanzo di denuncia sociale e noir”.

In Italia la nascita del romanzo noir e d’indagine è a sua volta un giallo. Una genesi fortemente caratterizzata dal dualismo classico tra scienza e intuito, tra metodo e istinto che si perde in una giungla di etichette: noir, poliziesco, giudiziario, thriller.. (…) Nello stesso periodo, però alla vasta ricognizione delle tradizioni popolari e dei culti ancestrali si accompagna una crescente curiosità per l’aldilà, per il mistero, per tutto ciò che non può essere spiegato con fredde leggi biologiche o meccaniche. All’ignoto, al mistero, all’occulto vengono allora applicate nuove metodologie d’indagine, fondate sulle scienza naturali: nasce così il romanzo d’investigazione o giudiziario che sfrutta entrambe le tendenze, spiegare con la scienza il mistero della morte.”

Scrive ancora Andrea De Luca che nella sua approfondita ricerca sulle origini della narrativa gialla italiana ha inserito un filone di grande interesse riguardante lo spiritismo, argomento poco studiato in questo contesto ma che fu di gran moda coinvolgendo “grandi nomi dell’antropologia e psichiatria come Cesare Lombroso ed Enrico Morselli su tutti ma soprattutto letterati come Antonio Fogazzaro, Luigi Capuana, Luigi Pirandello, Italo Svevo, Francesco Mastriani, Federigo Verdinois, e allargando geograficamente il campo, Alexandre Dumas e Arthur Conan Doyle, che intratterrà interessanti relazioni con il mondo spiritista italiano.” e che fornirà scenari e cliché per molti gialli ambientati durante sedute spiritiche come, tanto per citarne uno, “Uno messaggio dagli spiriti” di Agatha Christie del 1935.

L’aspetto più interessante del saggio di Andrea De Luca è proprio la ricognizione attenta di un crinale oscuro ma ricco di potenzialità nella gestazione della narrativa gialla nella penisola, che getta una luce rivelatrice sul grande fermento che sfociò in romanzi oggi poco letti ma che nella seconda metà dell’Ottocento furono dei veri e proprio bestseller.

In questo campo Napoli fu la culla del noir italiano dove autori come Francesco Mastriani, Edoardo Scarfoglio, Matilde Serao, Salvatore Di Giacomo coniugano verismo, denuncia sociale e tessitura gialla per creare una nuova narrativa che attirò l’interesse anche di De Marchi, inducendolo ad ambientare “Il cappello del prete” proprio nella città partenopea.

Andrea De Luca in “La scienza, la morte, gli spiriti” ci guida in un viaggio estremamente interessante nel tempo per ricercare le radici della narrativa gialla italiana, portandoci a fare i conti con autori e intellettuali che sarebbe utile (ri)leggere per poter avere una visione completa dell’evoluzione della detection story nel nostro Paese sino ad arrivare a Augusto De Angelis, quello che spesso viene considerato il vero “padre” del giallo tricolore per la sua volontà programmatica:

Ho voluto e voglio fare in romanzo poliziesco italiano. Dicono che da noi mancano i detectives, mancano i policeman e mancano i gangsters. Sarà, a ogni modo a me pare che non manchino i delitti. Non si dimentichi che questa è la terra dei Borgia, dei da Romano, dei Papi e della Regina Giovanna…Il romanzo poliziesco è il frutto rosso di sangue della nostra epoca. E’ il frutto, il fiore, la pianta che il terreno poteva dare. Nulla è più vivo e aggressivo della morte oggi. Nel romanzo poliziesco tutto partecipa al movimento, al dinamismo contemporaneo: persino i cadaveri che sono, anzi, i veri protagonisti dell’avventura. Nel romanzo poliziesco ci riconosciamo quali siamo: ognuno può essere l’assassino o l’assassinato.”

Prima di lui in Italia, si erano usati raramente gli stilemi del giallo classico ma solo alcune caratteristiche del genere mentre De Angelis li utilizza in pieno perché, “è un far versi anche questo. Ché a un problema dell’enigma occorrono le rime e non sono facili da trovare” e consente di scoprire “Il mistero del cuore umano”.

L’eroe di De Angelis, il commissario De Vincenzi non vuole giudicare, solo capire e attraverso le sue indagini emergono i vizi della piccola borghesia del ventennio fascista, fornendo il ritratto di una società senza etica civile.

Augusto De Angelis mira proprio a questo nei suoi romanzi, capire non chi è stato l’assassino ma il perché del suo gesto e sin dal romanzo d’esordio della serie De Vincenzi mostra sintonia con il metodo investigativo del grande Maigret, capace di una grande empatia nei confronti sia delle vittime che dei colpevoli.

Ne “Il banchiere assassinato” del 1935 per esempio, De Angelis scrive:

E De Vincenzi era rimasto a fissarlo lungamente, dicendosi che quella immobilità certamente non poteva significare nulla di buono. Immobilità, che produce smarrimento, quando arriva al culmine delle possibilità umane. Perché anche il cervello ha limiti precisi ai quali può giungere e quando le idee sorpassano quei limiti, entrano in una atmosfera nebbiosa, quasi lutulenta. Che è l’atmosfera della pazzia.”

In questo romanzo De Angelis rifiuta la soluzione più logica del caso perché non crede colpevole il suo amico Giannetto Aurigi malgrado tutti gli indizi lo accusino.

Con la lettura di “La scienza, la morte, gli spiriti”, saggio veramente stimolante, si capisce bene la peculiarità e la potenzialità del giallo italiano che è diventato un genere trainante in libreria perché coniuga la tensione narrativa dei proto-thriller di Francesco Mastriani e Matilde Serao con

la vena critica e velenosa votata alla denuncia del degrado e della corruzione”

e consente di tracciare un albero genealogico dove trovano posto i progenitori del noir che hanno superato giudizi lapidari come quello di Alberto Savinio

Il giallo italiano è assurdo per ipotesi. Prima di tutto è un’imitazione e porta addosso tutte le pene di questa condizione infelicissima”

affrontando anche un clima politico che osteggiava il genere, arrivando anche a proibire la pubblicazione dei gialli, accusati di rovinare la gioventù italica.

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Andrea De Luca


é laureato in Lingue, letterature e culture moderne all’Università D’Annunzio di Pescara. Dopo anni di docenza universitaria in Estonia, Francia e slovacchia, vive e insegna in Belgio, dove è membro della Società Dante Alighieri di Anversa. Ha ottenuto un dottorato in Letterature comparate con una ricerca sulle origini del romanzo giallo in Italia. Autore di numerosi articoli pubblicati in Italia e all’estero, I suoi principali interessi di ricerca sono il romanzo d’appendice, I circoli letterari ottocenteschi di Napoli, la moderna ricezione filmica dei classici italiani e il cinema italiano di genere.