La straniera




Recensione di Nunzia Esposito


Autore: Claudia Durastanti

Editore: La nave di Teseo

Genere: Narrativa

Pagine: 285

Anno di pubblicazione: 2019

Sinossi. “La storia di una famiglia somiglia più a una cartina topografica che a un romanzo, e una biografia è la somma di tutte le ere geologiche che hai attraversato”. Come si racconta una vita se non esplorandone i luoghi simbolici e geografici, ricostruendo una mappa di sé e del mondo vissuto? Tra la Basilicata e Brooklyn, da Roma a Londra, dall’infanzia al futuro, il nuovo libro dell’autrice di “Cleopatra va in prigione” è un’avventura che unisce vecchie e nuove migrazioni. Figlia di due genitori sordi che al senso di isolamento oppongono un rapporto passionale e iroso, emigrata in un paesino lucano da New York ancora bambina per farvi ritorno periodicamente, la protagonista della “Straniera” vive un’infanzia febbrile, fragile eppure capace, come una pianta ostinata, di generare radici ovunque. La bambina divenuta adulta non smette di disegnare ancora nuove rotte migratorie: per studio, per emancipazione, per irrimediabile amore. Per intenzione o per destino, perlustra la memoria e ne asseconda gli smottamenti e le oscurità. Non solo memoir, non solo romanzo, in questo libro dalla definizione mobile come un paesaggio e con un linguaggio così ampio da contenere la geografia e il tempo, Claudia Durastanti indaga il sentirsi sempre stranieri e ubiqui. “La straniera” è il racconto di un’educazione sentimentale contemporanea, disorientata da un passato magnetico e incontenibile, dalla cognizione della diversità fisica e di distinzioni sociali irriducibili, e dimostra che la storia di una famiglia, delle sue voci e delle sue traiettorie, è prima di tutto una storia del corpo e delle parole, in cui, a un certo punto, misurare la distanza da casa diventa impossibile.

Recensione

Una mattina nella città più bella del mondo. Una mattina fra gli scorci storici e le spoglie del passato. Una bellissima fanciulla esce dal collegio. E lo trova lì. Appoggiato alla sua auto, con le braccia incrociate sul petto. Come quei divi di Hollywood dei quali si legge sui rotocalchi. Trova in lui quel fare sicuro.

Quell’uomo che sembra essere la sua copia esatta, eppure il suo opposto. Quell’uomo che l’attrae e al contempo condivide con lei la sua “particolarità” alla quale nessuno dei due vuole davvero arrendersi “e guardarlo era quasi uno shock”.

Prendiamo un libro. Togliamogli il solito vestitino da romanzo. Piuttosto, decidiamo di vestirlo di bende, lembi separati di tessuto, cosparsi di ricordi (veri o immaginari) di “una volta” o “c’era una serie TV”, arduo sarà per chi legge comprendere il reale protagonista della storia. Anzi, delle storie.

Dorate linee tratteggiate disegnate nel cielo blu notte, percorrono le strade della narrazione. Saltando dall’Italia all’America o Londra. Nel tentativo frenetico di dire tutto pur circondandolo di quell’alone di enfasi. Spogliare eventi importanti di significato e cercare di riavvolgerli con lo stesso spessore emotivo. Siamo rapiti da piani sequenza e personaggi caleidoscopici, che scompaiono e ricompaiono tra le pagine.

Frammenti di una piccola Claudia, di suo fratello ma prima di lei, le luci su sua madre, su suo padre e i ricordi. Ricordi reali vissuti, ricordi di cugini d’ America, ricordi riflessi, riportati da sua madre sull’incontro con suo padre. L’inestinguibile sete di capire e comunicare. La speranza di traslare i sentimenti. “I bambini non nascono con il libretto di istruzioni” ma dalle pagine si evince che neanche i genitori ne sono provvisti. L’imprevedibilità delle loro azioni, il volerli immortalare tra le pagine nei loro corpi bellissimi, liberi e alla strenua ricerca della normalità. Strenui combattenti della propria diversità.

Pur lottando l’autrice attraverso l’uso dei ricordi, degli aneddoti, delle brave persone che hanno incrociato la sua strada, dell’amore o del mentore che ha vestito i panni di una figura fondamentale a lei negata, è la solitudine a prendere il sopravvento. La reale protagonista. Emerge fin dall’ infanzia, ricoperta da un velo cupo di malinconia.

La narrazione non concede il tempo necessario ad avvicinarsi e poi affezionarsi a un personaggio o ad un altro. Vuole convincer(si) che non si è soli. Il legame di sangue che ci lega alla famiglia ci impedisce pragmaticamente di reputarci soli o anche di percepire quell’amara sensazione della solitudine.

Stranieri. Straniera per un padre, straniera per il tuo paese, straniera per il paese che ti dà un lavoro e ti vede ogni giorno, straniera per la famiglia in America. E quel senso di solitudine riveste non solo il ruolo di protagonista, ma sembra essere il fine ultimo.

Altri caratteri che emergono dalle pagine, come jolly che spuntano qua e là, in realtà sembrano solo voler rimandare il momento in cui quella solitudine invaderà anche il lettore. Da quella sembra non esserci scampo.

Claudia Durastanti


Claudia Durastanti: Nasce a Brooklyn nel 1984 e tornata in Italia all’età di sei anni. In realtà visiterà gli Stati Uniti a periodi irregolari. Attualmente vive e lavora a Londra. Ha esordito nel 2010 con il romanzo Un giorno verrò a lanciare sassi alla tua finestra vincendo il Premio Mondello Giovani, il Premio Castiglioncello Opera Prima ed arrivando in finale al Premio John Fante. Ha lavorato come traduttrice presso Marsilio e Minimum fax, nel 2013 è uscito il romanzo A Chloe, per le ragioni sbagliate e tre anni dopo Cleopatra va in prigione che parte da un suo racconto precedentemente contenuto nell’antologia L’età della febbre. Ha scritto diversi articoli per periodici come Il mucchio selvaggio e Il Venerdì di Repubblica. Nel 2019 esce il memoir famigliare dedicato alla figura materna La straniera.

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