La valle dei bambini perduti




di Artur Nuraj

Marsilio, 2022

Thriller, pag.464

Sinossi. Tirana, 1985. Nell’Albania comunista, a pochi mesi dalla scomparsa del sanguinario dittatore Enver Hoxha, Albertina Basha, la figlia adolescente di un importante membro del Partito, viene trovata impiccata nel salotto di casa. Sembra un caso di suicidio da manuale, ma Ludovik Lamani, il detective assegnato all’indagine, nota alcune anomalie sulla scena del crimine. Nel frattempo, una coppia di rom denuncia la scomparsa del loro nipote di nove anni, e Lamani scopre che la sparizione del bambino è legata ad altre misteriose scomparse di ragazzini nomadi avvenute a Tirana e in altre città albanesi negli ultimi dieci anni: tutti casi archiviati per mancanza di prove. Ambizioso e tenace, Ludovik è deciso a risolvere entrambi i casi facendosi aiutare da Vasil, una recluta che lo segue come un’ombra, e da Miha, la maestra di danza di Albertina e Brikena, la migliore amica della vittima. L’impresa si rivelerà però molto più ardua di quanto avrebbe mai potuto immaginare, perché Lamani dovrà fare i conti non solo con il Sigurimi – la temibile polizia segreta albanese – ma anche con i fantasmi del suo passato, che riemergono sotto forma di visioni sinistre e sogni agghiaccianti. Come nella migliore tradizione del noir, l’avvincente romanzo di Nuraj si dimostra capace di indagare la realtà politico-sociale di un paese addentrandosi nelle pieghe più oscure della sua storia.


Recensione di Agnese Manzo

Un romanzo che non sarebbe sbagliato definire un giallo storico. “La valle dei bambini perduti” descrive, infatti, un mondo scomparso il cui ricordo si è sbiadito in fretta ed è stato ben presto cancellato dall’incedere veloce del tempo. 

L’Albania comunista descritta da Nuraj appare, nel suo isolamento e nella sua lontananza dal resto dell’Europa, un luogo incantato composto da verdi vallate e brughiere e da scorci di costa dal fascino struggente. Questa terra, in gran parte incontaminata, è popolata da etnie che convivono in un’apparente concordia nella quale anche le comunità nomadi, altrove perseguitate e oppresse, sono accettate senza problemi, quasi considerate parte del paesaggio.

Altro clima a Tirana: la grande città, la capitale, è simile a tutti i luoghi in cui si concentra il potere, con i suoi compromessi e i suoi intrighi, ma anche con le sue mille opportunità. 

Ludovik Lamani, giovane detective dalle idee chiare e dai buoni sentimenti, arriva a Tirana nel 1985, con le migliori intenzioni di restarvi. Ha trascorso gli ultimi sei anni vivendo e mangiando sempre in caserma, e adesso intende rimboccarsi le maniche e iniziare a costruire sul serio il suo futuro. È convinto che a Tirana lo attenda un periodo tranquillo, dato che non vi si sono quasi mai verificati delitti, ma viene subito contraddetto dai fatti: poco dopo il suo arrivo, lo strano omicidio di una ragazzina appartenente alla buona società albanese scuote la città e in particolare il mondo del balletto a cui l’adolescente apparteneva.

Subito sulle indagini cala una fitta nebbia che, per una volta, non è frutto di depistaggi o ostacoli frapposti dalla potente famiglia della vittima, ma da dati di fatto che a Ludovik appaiono inspiegabili: il delitto sembra essere collegato con la sparizione di piccoli nomadi, cosiddetti “zingarelli”, che si sono susseguite per anni, senza che nessuno cercasse di trovare e fermare il responsabile.

Indignato e sorpresa da questa inerzia, Lodovik si appassiona alla vicenda e nella sua ricerca della verità scoperchia uno spaventoso Vaso di Pandora, scoprendo che da anni e anni la polizia, dato che le comunità nomadi non partecipano all’attività produttiva del paese, archivia in fretta i casi relativi alla scomparsa dei loro bambini, senza effettuare vere indagini. Di conseguenza i piccoli nomadi sono ormai diventati le prede perfette, e il loro predatore ha finito col convincersi di essere invincibile.

Nuraj ci offre un giallo adrenalinico da cui non ci si riesce a staccare sino alla fine e grazie al quale possiamo, per un po’, osservare uno scorcio della società di quegli anni con le sue particolarità e le sue contraddizioni: donne che si attengono alle antiche tradizioni popolari per gestire il lutto, ma nel contempo svolgono la professione di docenti universitarie, uomini che si rivolgono l’un l’altro con il titolo di “compagno”, ma senza che questo accorci davvero le distanze.

La natura che viene descritta è di una bellezza struggente che sembra propria delle cose destinate a finire di lì a poco, ma una bellezza ancora maggiore risiede nella psicologia di Ludovik, un uomo che non ha nessuna velleità di essere un eroe ma che, posto di fronte alla tragedia dei piccoli rom, prova l’indignazione e il desiderio di agire che chiunque dovrebbe provare, cosa che invece purtroppo non sempre accade.

Consiglio la lettura di questo romanzo anche a chi non ama i gialli e spero che l’autore ci regali altre storie che ci accompagnino in quel mondo scomparso e quasi sconosciuto. 

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Artur Nuraj


è nato a Valona, in Albania, nel 1968, e vive a Verona, dove lavora come revisore di testi e consulente per alcune agenzie editoriali. Narratore, sceneggiatore e collaboratore di Albania News, è considerato uno dei pionieri del noir albanese moderno. Dopo alcuni romanzi pubblicati sotto lo pseudonimo di Anthony J. Latiffi, con “La valle dei bambini perduti” si presenta per la prima volta ai lettori con il suo vero nome.