L’assassino che è in me




Recensione di Salvatore Argiolas


Autore: Jim Thompson

Traduzione: Anna Martini

Editore: HarperCollins

Genere: Noir

Pagine: 302

Anno di pubblicazione: 2020

Sinossi. Per sondare gli abissi della psiche di un assassino serve un valente strizzacervelli? Macché, basta cercarne le radici in una sonnolenta cittadina del Texas, dove il vicesceriffo locale, l’insondabile Lou Ford, sente che sta riprendendo vigore nel suo intimo la malattia, una follia incontrollabile che sfocia in reazioni inconsulte. Incaricato di cacciare dai confini urbani una sciantosa che adesca clienti, tra cui il figlio del ricco petroliere del luogo, finisce per seminare una lunga scia di violenza dietro di sé, tappando una falla da una parte e aprendone una nuova da un’altra. Malefatte che è lo stesso protagonista a raccontare al lettore, in una sorta di confessione fiume, in tempo reale, come se non fosse Jim Thompson bensì Lou Ford stesso a prenderlo per mano e a trascinarlo nell’insensato vortice della sua violenza cieca. Scritto nel 1952, in una fase di sfrenato boom petrolifero, L’assassino che è in me è una delle opere più straordinarie di Jim Thompson e viene universalmente collocato tra i classici dell’hard boiled come pure del romanzo di provincia americano. Non a caso Hollywood, che ha sempre saccheggiato la produzione letteraria di Thompson, nel 2010 ne ha tratto l’omonima, fortunata pellicola, con un incredibile Casey Affleck nel ruolo dell’antieroe Lou Ford, per la regia di Michael Winterbottom.

Recensione

Jim Thompson è l’autore di noir che più di tutti ha saputo raffigurare nei suoi libri le vibrazioni oscure dell’animo umano. Tra i giallisti solo Cornell Woolrich e Joe R. Lansdale si avvicinano al suo sguardo allucinato sull’uomo americano contemporaneo.

Thompson ha scritto diversi noir di assoluto valore come “Getaway” e “Colpo di spugna” ma è proprio “L’assassino che é in me” il suo libro più noto e quello che l’ha issato tra gli scrittori di culto, capaci di descrivere l’abiezione e lo sradicamento dalla civiltà di tanti personaggi che a prima vista sembrano perfettamente normali.

Sembra normale infatti Lou Ford, vicesceriffo di Central City cittadina texana che il boom del petrolio ha rapidamente fatto crescere in poco tempo sino a raggiungere i 48.000 abitanti in un panorama “diventato tutto un macello di petrolio, acqua sulfurea e fango di perforazione rosso cotto dal sole.”

Lou Ford narra in prima persona i fatti che lo rendono protagonista in un crescendo di violenze e agghiaccianti pestaggi che presenta come fatti assolutamente ordinari e dovuti a provocazioni.
Il suo viaggio nel tunnel dell’orrore comincia quando dei predicatori protestano con lo sceriffo a causa di una pubblica meretrice, Joyce Lakeland che in seguito diventerà l’amante del vicesceriffo.

Joyce smuove nel suo cervello bacato ricordi rimossi che hanno a che fare con la governante che l’ha iniziato al sesso e che lo ossessiona al punto di vederla in ogni donna che frequenta.
Come scrive Stephen King nella sua illuminante prefazione “Attraverso Lou Ford, Jim Thompson disegnò per la prima volta un ritratto del Grande Sociopatico Americano (…) e non è che Thompson ci accordi la consolazione di credere che il vicesceriffo si un mutante, un’aberrazione isolata. Anzi in uno dei passi classici del romanzo lascia intendere l’esatto opposto, ovvero che esistano dei Lou Ford ovunque.”

Infatti nella sua deriva psicopatica Lou Ford uccide con ferocia e si cura poco di coprire le tracce dei suoi misfatti perché la carica e il fatto che sia benvoluto rendono incredibili i suoi misfatti.

E che il vicesceriffo sia un folle se ne accorge ben presto anche la sua promessa sposa ma l’amore le rende cieca sulle sue perversioni e sino alla fine crederà di avere accanto un normale uomo del suo tempo.

Scritto con linguaggio turgido e talvolta disturbante “L’assassino che è in me” è un indimenticabile ritratto di un periodo storico e un luogo geografico ben definito che diventa un quadro metaforico sulla condizione umana che oscilla senza tregua tra sanità e pazzia. “Viviamo in un mondo strambo, ragazzo mio, una civiltà bizzarra. Dove la polizia fa la parte dei lestofanti e i lestofanti fanno le veci della polizia. I politici sono predicatori e i predicatori sono politici.”

In filigrana però si leggono altri temi come quello della lotta contro l’onnipotente padrone della città che comanda e che Ford colpisce per vendicare vecchi torti, “era l’unico modo possibile, e così doveva essere. Avrei fatto a lui quello che aveva fatto a papà.”

Jim Thompson era cosciente del valore universale della sua narrativa visto che in punto di morte, nel 1977, disse alla moglie Alberta: “Abbi pazienza, dieci anni dopo la mia morte sarò famoso” e in effetti il suo successo fu postumo e per capire la grandezza di questo scrittore che mise in discussione la via americana al successo è utile leggere “Jim Thompson. Una biografia selvaggia” di Robert Polito che racconta lo strano senso di Thompson per i fallimenti.

L’assassino che è in me”, scritto nel 1952, riesce a comunicare anche dopo quasi 70 anni la sua enorme carica dissacrante sulla società americana che dopo la seconda guerra mondiale pensava di avere sedato gli istinti malati che in alcuni periodi della sua storia l’avevano attraversata.
L’autore

 

 

Jim Thompson


Jim Thompson: nato Anadarko nel 1906 e morto a Hollywood nel 1977, è stato scrittore e sceneggiatore di genere noir. Ha pubblicato diversi racconti, molti dei quali tradotti in film (fra cui Getaway di Sam Peckinpah e Colpo di spugna di Bertrand Tavernier). È stato sceneggiatore per Stanley Kubrick (Rapina a mano armata e Orizzonti di gloria).
Tra le sue opere: Bad Boy (Einaudi 2001), Colpo di spugna (Fanucci 2005), Diavoli di donne (Fanucci 2007), Vita da niente (Fanucci 2009), Una spaventosa faccenda e altri racconti (Fanucci 2006) e L’assassino che è in me (Fanucci 2010).

 

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