L’immortale Bartfuss




Recensione di Elvio Mac


Autore: Aharon Appelfeld

Traduzione: Elena Loewenthal

Editore: Guanda

Genere: Narrativa

Pagine: 160

Anno di pubblicazione: 2021

Sinossi. Bartfuss è immortale. Nessuno, infatti, sarebbe riuscito come lui a sopravvivere con più di cinquanta pallottole in corpo. Evaso da un campo di sterminio, rifugiatosi nella foresta vicina, è stato contrabbandiere sulla costa italiana, da dove si è poi imbarcato per Israele. Oggi, a cinquantasette anni, vive a Giaffa insieme a una famiglia da cui si sente perseguitato. Si tiene isolato nella sua stanza per non rischiare di incontrare la moglie Rosa e le due figlie. Impaziente di lasciare quella casa, per lui covo di nemici, Bartfuss passa le giornate muovendosi tra la riva del mare e i bar della città, dove a ogni angolo incrocia i volti di chi come lui ha attraversato l’esperienza dei campi e gli anni in Italia. Ma Bartfuss è davvero immortale? Ormai vera e propria leggenda vivente, ma solo e lontano da tutti, inizia a provare un bisogno di comunicare, di condividere i ricordi che si scontra con la sua radicale ricerca di solitudine… Aharon Appelfeldritrae in queste pagine una nuova figura di sopravvissuto alla Shoah, quella dell’antieroe che, nostalgico di un passato che è stato anche la sua tragedia, è ormai incapace di costruirsi una nuova esistenza.

Recensione


Questa storia può essere una chiave di lettura per riflettere su ciò che subentra a livello mentale in una persona che scampata a pericoli indicibili, non riesce ad accettare la realtà che sembra più opprimente di una prigionia.

Un superstite della Shoah dovrebbe andare incontro a una vita serena nelle sua terra. Israele lo riaccoglie dopo la guerra, ma lui si sente tormentato e devastato dal ricordo eppure lo vorrebbe quasi ritoccare con mano.

Bartfuss si barcamena tra la solitudine che esige e la voglia di gridare il suo dolore che forse la condivisione renderebbe meno reale. Questa doppia identita è il suo modo per smarrirsi nella vita, in un mondo che è diventato un non luogo. Non si può comprendere chi ha dovuto affrontare la morte più volte ed ha così elaborato l’incomprensibilità della vita perchè ormai non crede piùnell’umanità. Bartfuss in ebraico significafiglio della non morte“.

Il nucleo famigliare raccontato è tormento e distacco. Non ci sono descrizioni fisiche delle personeche fanno parte della famiglia, per la scarsissima considerazione che Bartfuss prova nei loroconfronti, solo Brigitte, la figlia minore che ha dei problemi, gode di qualche attenzione.

Lo scontro tra la voglia di restare solo e il bisogno di comunicare è evidente, non si capisce da cosasia regolato l’umore di Bartfuss che passa dalla socievolezza all’auto emarginazione. Svela poco di se e quel poco riguarda sempre il passato che a volte sembra nostalgico altre volte finalmentedistaccato.

Ci sono romanzi che iniziano fragorosi, altri con un crescendo, altri ancora che dicono pochissimoed è il caso di questa storia dove il protagonista non vuole parlare perchè le parole non servono più, le ha già usate tutte quando gli servivano per farsi forza ed ora non hanno più la capacità di dare forma e significato alle cose.

L’orrore vissuto non si può descrivere e dopo che ha perso la presenza, lascia la disintegrazionedell’individuo con un vuoto incolmabile. La vita quotidiana è un battito rallentato rispetto allatensione vissuta per sopravvivere. In tempo di guerra non era la voce a parlare, ma i volti, le mani. Dal viso si poteva comprendere se l’uomo che ti stava vicino era disposto ad aiutarti o se stavamacchinando contro di te, per questo le parole non aiutavano a capire.

I rapporti famigliari sono così esigui che “Lui” è il nome che moglie e figlie riservano a Bartfuss. Egli non ha mai rivelato alla moglie Rosa i segreti dei suoi traffici, quando scortava clandestini, commerciava beni e si nascondeva.

Molti anni prima per tranquillizzarla, le aveva fatto capire chenon erano poveri, ma non aveva mai parlato di somme precise. Oggi sembra che il motivo di tensione sia proprio il denaro che lui non ha mai nascosto di avere, ma che ha nascosto a tutti perchè «Non ci si può fidare nemmeno di se stessi.

Ogni incontro di Bartfuss, che sia a Giaffa, Tel Aviv o Netanya, è regolato dal fastidio o dalladisponibilità non ricambiata. Infatti, data la sua fama, molti lo riconoscono e vorrebbero parlargli. Proprio in queste occasioni lui evita il contatto e il dialogo perchè il riconoscimento implica il ricordo. Quando invece è lui a voler parlare o passare del tempo con qualcuno, viene sempre respinto. Della deportazione e dei campi di concentramento non viene fatta parola, eppure sono li, si sentono in ogni pagina Il finale, nonostante tutto, lascia una sensazione di speranza.

 

A cura di Elvio Mac

https://m.facebook.com

 

Aharon Appelfeld


è nato nel 1932 a Czernowitz, Bucovina, ed è morto in Israele nel 2018. Di famiglia ebraica, fu deportato insieme al padre in un campo di concentramento in Transnistria, dal quale fuggì, nascondendosi per i successivi tre anni nelle foreste. Alla fine della guerra raggiunse l’Italia e da qui si imbarcò nel 1946, per approdare in Palestina. Ha insegnato letteratura ebraica all’università Ben Gurion a Be’er Sheva’ e ha fatto parte dell’American Academy of Arts and Sciences. I suoi libri sono tradotti in tutto il mondo. Guanda ha pubblicato Badenheim 1939, Storia di una vita, Paesaggio con bambina, Un’intera vita, L’amore, d’improvviso, Il ragazzo che voleva dormire, Fiori nelle tenebre, Una bambina da un altro mondo, Oltre la disperazione, Il partigiano Edmond e Giorni luminosi.

 

Acquista su Amazon.it: