L’inquisitore di Giava




Recensione di Giulia Manna


Autore: Alfred Birney

Traduzione: Mario Corsi

Editore: Mondadori

Genere: narrativa, romanzo

Pagine: 451

Anno di pubblicazione: 2020

Sinossi. Non è facile per Alan Noland capire chi sia suo padre Arto: un uomo rude, violento con la moglie e con i figli, che passa le serate a battere furiosamente sui tasti di una Remington. Sta scrivendo le sue memorie. Da quei fogli Alan scopre la verità sull’oscuro passato del genitore, figlio illegittimo, mezzo europeo e mezzo indigeno, che lavorava come interprete nelle Indie orientali olandesi – oggi Indonesia – al servizio dei Paesi Bassi, soprattutto contro gli indipendentisti locali. Ma Arto non si limitava a tradurre: conduceva interrogatori, spesso brutali, e il confine tra il ruolo dell’interprete e quello dell’inquisitore, se non del boia, poteva essere molto sottile… Spetterà ad Alan ricostruire insieme la verità storica e la propria identità familiare, arrivando a comprendere come il conflitto possa trasformare un uomo in un mostro e quanto l’ideologico ottimismo del dopoguerra abbia contribuito a nascondere un capitolo terribile e cruciale della storia europea.

Recensione

Romanzo straordinario. Non conoscevo questa parte della storia. Quando mi capitò questo titolo tra le mani, ripensai ad una notizia di non tanto tempo fa letta su qualche giornale,  ovvero  alle scuse del re Willem-Alexander all’Indonesia per le operazioni di “polizia” svolte dall’Olanda durante la guerra di liberazione del 1945-49 e la curiosità ha preso il sopravvento.

Non è una parte della storia europea che si studia nelle scuole, quindi quale modo migliore per iniziare un argomento se non attraverso le pagine di un piccolo capolavoro letterario?

E’ una lettura molto difficile, traumatica e piena di rabbia. Ben strutturata e veloce da leggere, grazie al fatto che la storia viene raccontata tramite le vicissitudini di Arto, quel padre violento sempre attaccato ad una Remingtonimpegnato a scrivere le sue memorie ed il confronto con la rabbia ed i ricordi del figlio Alan.

Arto viveva in Indonesia prima di fuggire in Olanda, dove poi incontrò la madre di Alan. Era figlio illegittimo metà europeo e metà indigeno. Il padre era violento ed anche i fratelli spesso lo picchiavano.

Quando poi il padre muore, la situazione di Arto e della sua famiglia precipita ancora, fino a diventare un agente coloniale al servizio dell’Olanda.

E’in queste vesti che compie omicidi, interrogatori e altri atti di violenza ai danni della popolazione locale a cui lui stesso, seppur parzialmente, apparteneva.

Quando poi fu costretto a fuggire per non essere fucilato come traditore, si ritrova in un’Olanda fredda che non mostra la sperata riconoscenza.

Sarebbe dura per chiunque scoprire che l’uomo in genere è capace di così tanta violenza, figuriamoci per un figlio! Si può scegliere quello che siamo?

E’ questo quello che cerca Alan, cerca di capire se si può essere diversi o se si è predestinati a diventare una copia dei nostri genitori. C’è un detto che dice “la mela non cade mai lontano dall’albero” che usiamo spesso per dire che non si può diventare diversi da chi ci cresce.  

Non importa, non abbiamo il controllo sul tipo di persona che siamo quando veniamo al mondo e sulla strada che seguiremo nella vita”

Davvero molto interessante, su tanti aspetti non solo quello storico. Buona lettura!

 

 

Alfred Birney


(L’Aia 1951) è autore di un vasto corpus di opere di fiction e non-fiction, nel quale le origini indo-olandesi della sua famiglia giocano un ruolo fondamentale. Ha esordito nel 1987 con il romanzo Tamara’s Lunapark, cui sono seguiti, tra gli altri, Vogels rond een vrouw (1991) e De onschuld vaneen vis (1995), tradotti anche in Indonesia. L’inquisitore di Giava (2016), il suo capolavoro, ha vinto i prestigiosi premi Libris Literatuur e HenriëtteRoland Holst.

 

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