L’isola dei cacciatori




Recensione di Loredana Cescutti


Autore: Peter May

Editore: Einaudi Stile Libero

Traduzione: Anna Mioni

Genere: Noir britannico

Serie: Trilogia di Lewis # 1

Pagine: 415 p., R

Anno di pubblicazione: 2012

Sinossi. L’ispettore McLeod ha appena perso un figlio, e il suo matrimonio sta andando lentamente alla deriva. Quando per indagare su un omicidio viene spedito sulla sua isola natia, poco più di uno scoglio a largo delle coste scozzesi, che ha abbandonato da più di diciott’anni, non sa ancora in quale inferno privato si troverà a precipitare. Le modalità con cui il delitto è stato commesso sembrano collegarlo a un caso cui McLeod stava già lavorando a Edimburgo, e lo inducono a sospettare che l’omicida sia “uno di fuori”, e non un isolano. Ben presto, però, l’ispettore sarà costretto a constatare che il male affonda le sue radici in un passato di violenza senza redenzione; un passato che ha gli stessi colori dell’isola di Lewis e dei suoi strani abitanti, rimasti su quella terra inospitale, condannati per l’eternità a dare la caccia agli uccelli artici che vi nidificano e a massacrarli di anno in anno, seguendo sempre lo stesso, macabro rituale.

Qualsiasi cosa succeda sulla roccia rimane sulla roccia. È sempre stato così, e lo sarà per sempre.”

Recensione


Leggere, a volte, è come fare un lungo viaggio dove la meta a noi inizialmente sconosciuta si rivela un po’ alla volta, fino a farci rimanere completamente affascinati e a bocca aperta.

Era da molto tempo che rimandavo l’inizio della lettura di questa trilogia (sì, perché questo è solo il primo di tre libri) e giuro, non mi aspettavo una trama di questa profondità.

Quando inizi a leggere un romanzo non sapendo bene cosa aspettarti, perché chi te lo ha caldamente consigliato non ti ha anticipato nulla per non rovinarti il piacere della scoperta e tu, non puoi faraltro che lasciar galoppare la fantasia a briglia sciolta e cieca e poi, dopo aver letto non più di un capitolo ti dimentichi ciò che ti eri immaginata partendo dalla sinossi. Soprattutto, non ti accorgi che manca dell’adrenalina alla quale sei abituata, di quell’alta tensione che sei solita cercare e nonostante tutto prosegui.

Anzi, leggi e te ne infischi non trovando costruzioni elaborate, vedendo l’assenza di minacce e di inseguimenti all’ultimo respiro però, più prosegui e più ti rendi conto che qui dentro una struttura ben definita c’è.

Va bene, passato e presente che si alternano non sono una novità, ma qui a colpire e stupire è sicuramente la semplicità del racconto che però si compone di una profondità impensabile, che finisce per rendere una storia che potrebbe essere una fra le tante come qualcosa di veramente speciale che ti resterà attaccata come una coperta e che, nonostante la crudeltà da cui sarai avvolta, non ti sarà possibile staccartene più.

Appena lo inizi e mano a mano che andrai avanti, ti renderai conto di avere fra le mani un gioiello prezioso che aspetta solo di essere scoperto in tutta la sua brillantezza, in tutte le sue sfumature, in tutte le miriadi di colori che nell’arco dell’anno, ciclicamente, donano all’Isola di Lewis le tonalità indimenticabili che la contraddistinguono.

A lettura ancora in corso ho avvertito il bisogno di andare a cercare informazioni su quest’isola delle Ebridi che risulta essere come la più estesa fra le tante, sia perché ritengo importante il dove ma, in questo caso, sentivo fisicamente la necessità di un riscontro visivo per confermare ciò che mi ero immaginata, in seguito alle descrizioni fatte dal protagonista.

Sono rimasta affascinata dai molteplici colori del cielo, della luce, dei riflessi sull’acqua e nei prati, dalle rocce nere levigate nel corso di milioni di anni dalla foga dall’Oceano Atlantico durante le tempeste, dalla bruma sui frangiflutti. Mi sembrava di sentire l’odore del mare e del pesce, avvertivo il profumo della torba esiccata e bruciata. Ogni cosa, leggendo, mi è apparsa subito reale, come se su quell’isola ci fossi stata anch’io.

Una lieve foschia nel cielo d’agosto nasconde le stelle, ma tre quarti di luna gettano la loro luce pallida ed esangue lungo la sabbia compatta, residuo della marea calante. Il mare respira delicato sulla riva, mentre la schiuma fosforescente fa scoppiare bolle argentee sul fondo dorato. “

Peter May ci ha regalato un quadro di questo luogo così particolare ritornandoci un’immagine a tratti dai colori pastello e in certi punti con tinte a olio molto forti, pennellate su pennellate con l’intento di restituirci il ritratto di uno dei territori più difficili da domare. Ora nella stagione calda e festosa, ora fredda e al limite della vivibilità.

Seguendo le parole di Fin McLeod a me è sembrato di trovarmi esattamente lì sull’isola, trascinata dentro il libro per poter guardare con i suoi occhi i ricordi che lo hanno accompagnato durante tutta questa difficile indagine e, attraverso le sue parole l’intensità dei pensieri e delle parole mi sono arrivate addosso e mi hanno fatto male, come un pugno in pieno stomaco.

“Si sentiva come un fantasma che perseguitava il proprio passato, percorrendo le strade della sua infanzia.”

Può un’indagine rivelarsi un mezzo per trovare una pace a lungo cercata?

A volte ci sono argomenti di cui non si vuole parlare.

  Perché?

  Perché parlarne te li fa venire in mente, e pensarci fa male.”

È questo che cercherà di scoprire Fin McLeod, trovandosi costretto a fare ritorno dopo 18 anni sull’isola che lo ha visto nascere e crescere e che, ne ha osservato e in qualche modo accettato successivamente il suo abbandono.

Una malinconia schiacciante ricoprirà questa storia e finirà per avvolgerti a tal punto che, durante il racconto avrai l’impressione di essere tu l’interlocutore a cui McLeod si starà rivolgendo.

Rimpianti, amicizie, legami, ansie, paure, gioie, dolore immenso e profondo, crudeltà, tutto sapientemente amplificato da una scrittura che rapisce come solo un bravo oratore è in grado di fare e come se, tutto, fosse il frutto di qualcosa di realmente accaduto. Un fatto privato, qualcosa che senti il bisogno di far emergere per ritrovare una pace perduta, una calma dimenticata.

Faccio i complimenti a Peter May per essere riuscito a costruire una storia così maledettamente appassionante, unica, forte, ricca di sentimenti e di realismo che al termine della lettura, nonostante tutto, ti fa venire voglia di partire per capire, per vedere come quello che dovrebbe essere un gioiello naturale, sia in grado, in stagioni e mesi avversi, di trasformarsi in un nemico da combatteree soprattutto da temere.

Trovo incredibile come alcune letture finiscano per coinvolgerti e allo stesso tempo sconvolgerti, finendo per lasciarti addosso un senso di scombussolamento tale senza capirne la ragione.

Insomma, lasciatevi circondare da questo ambiente così ostico ma al contempo magico e spettacolare, fatevi guidare dai tempi dell’isola, permettete alla natura e ai suoi colori di farvi innamorare senza resistenze e, accogliete tutto il racconto come se a parlare fosse un vecchio amico. Vedrete che giunti alla fine, l’unica cosa che sentirete naturale sarà allargare le braccia in un caloroso abbraccio a quest’isola, ovviamente virtuale, dimentichi di tutto il resto ma completamente paghi e soddisfatti.

Buona lettura!

 

Peter May


Peter May: nato a Glasgow nel 1951, vive in Francia. Giornalista e autore di innumerevoli serie televisive, ha scritto una quindicina di romanzi. L’isola dei cacciatori di uccelli (Einaudi Stile Libero 2012) è il primo volume di una trilogia ambientata sull’isola di Lewis, e ha ottenuto uno straordinario successo di critica e pubblico in Gran Bretagna e in Francia, dove è stato insignito del prestigioso Prix Les Ancres Noir. Nel 2013 Einaudi Stile Libero ha pubblicato il secondo volume della trilogia, L’uomo di Lewis, e nel 2015 il terzo e conclusivo, L’uomo degli scacchi. Sempre per Einaudi, ha pubblicato, nel 2017, Il sentiero.

 

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