L’ombrello dell’imperatore




Recensione di Loredana Cescutti


Autore: Tommaso Scotti

Editore: Longanesi

Genere: Thriller

Pagine: 320 p., R

Anno di pubblicazione: 2021

Sinossi. 

Un romanzo d’esordio che ci spalanca nuovi orizzonti

Un protagonista destinato a entrare nei cuori dei lettori

Un Giappone spietato e pieno di fascino, raccontato con uno sguardo insolito e struggente

L’ispettore Takeshi Nishida della squadra Omicidi della polizia di Tokyo ha un secondo nome che pochi conoscono, ma che dice molto di lui. All’anagrafe infatti è Takeshi James Nishida. Perché Nishida è un hāfu: un mezzo sangue, padre giapponese e madre americana.

Forse per questo non riesce a essere sempre accomodante e gentile come la cultura e l’educazione giapponese vorrebbero. Forse è per il suo carattere impulsivo, per quel suo modo obliquo e disincantato di vedere le cose e le persone che lo circondano, che non ha mai fatto carriera come avrebbe meritato. O forse è perché lui non vuole fare carriera, se questo significa mettere i piedi sotto la scrivania invece di usarli per battere le strade di Tokyo, città che ama e disprezza con altrettanta visceralità – e che allo stesso modo lo ricambia.

Ma Nishida è eccezionale nel suo lavoro: lo dimostra il numero di indagini che è riuscito a risolvere. Fino al caso dell’ombrello. Un uomo, ritrovato morto. L’arma del delitto? All’apparenza, un comunissimo ombrello di plastica da pochi yen, di quelli che tutti usano, tutti smarriscono e tutti riprendono da qualche parte.

Ma questo ombrello ha qualcosa che lo differenzia dagli altri. Un piccolo cerchio rosso dipinto sul manico e, soprattutto, un’impronta.

E Nishida si troverà di fronte a un incredibile vicolo cieco quando scoprirà a chi appartiene l’impronta digitale del possibile assassino: all’imperatore del Giappone.

“… era cresciuto con il cuore in eterno conflitto. Da sempre diviso a metà fra Oriente e Occidente, c’erano tante cose del Giappone che ancora faticava ad accettare. Tuttavia la quasi totale mancanza di criminalità e l’estrema sicurezza delle strade lo avevano sempre fatto sentire fiero del suo sangue nipponico.”

Recensione

Lo ammetto, sono partita con una buona dose di incoscienza nell’affrontare la lettura de “L’ombrello dell’imperatore”: me ne aveva segnalato l’uscita un’amica e, sull’attimo questo titolo non aveva attirato la mia attenzione particolarmente, tant’è che me ne sono scordata quasi subito.

Poi però ci ha pensato la caporedattrice di Thrillernord a rimettermi la pulce nell’orecchio dopo qualche giorno, inserendolo nella lista di libri da recensire e a quel punto che potevo fare, se non cercare la sinossi (trenta secondi scarsi!), dirmi due o tre volte che non fosse il caso perché avevo già tre libri in lettura e poi, semplicemente,  ho visto la mia buona volontà andare a farsi benedire alla velocità di uno starnuto e così eccomi qua.

Aprire un nuovo libro, iniziare una storia, affrontare un nuovo autore e avvertire da subito un senso di familiarità con le parole, con il modo di scrivere, con i personaggi e, immediatamente provare la forte sensazione di essere incappati in un libro rifugio e riconoscerne il valore: ebbene, “Tutto questo non ha prezzo!”.

Non è cosa da poco, credetemi.

Una scrittura piacevole che segue il ritmo degli eventi e cambia in base alle esigenze della trama, senza sconvolgere il lettore ma bensì, avendone cura, con l’intento di guidarlo in quella che sarà una specie di percorso di Pollicino che, almeno nel mio caso, non ha fatto altro che aumentare la mia curiosità. Per quanto mi riguarda, sono stata combattuta fra il correre e finire oppure il rallentare e risparmiare le pagine che ancora mi separavano dalla conclusione, per non privarmi subito del piacere di questa compagnia.

Ovviamente non ho resistito e il libro, si è auto esaurito alla velocità della luce.

Negli ultimi vent’anni si era fatto un nome risolvendo casi complicati e mettendo dentro non pochi delinquenti, nonostante a volte per ottenere risultati avesse dovuto usare metodi poco ortodossi. Il che purtroppo, unito alla sua abitudine estremamente non giapponese di dire in faccia alla gente come la pensava, non andava molto a genio ai suoi superiori. Anzi, ai suoi superiori non andava a genio per niente.”

Takeshi James Nishida è sicuramente un personaggio singolare, che ho iniziato a conoscere ma del quale ancora tanto ci sarà da scoprire, secondo me.

So che è molto più alto della media giapponese, che dovrebbe essere un bell’uomo dai tratti molto particolari, e che dai più è stato accostato a Tommy Lee Jones e conosco il suo soprannome, Boss, che è quello dell’unica marca di caffè di cui lui si serve abbondantemente.

Non ama le storpiature linguistiche, forse proprio perché lui è un perfetto bilingue e ha solo due amici a cui è molto legato, il suo collega Joe e l’enigmatico e imprevedibile Edgar.

Un uomo a metà in una terra dove apparire tali agli occhi degli altri è quasi peggio che essere uno straniero.

Le “bizzarrie irriverenti” che lo contraddistinguono e che sono considerate tali dalla cultura del Sol Levante, lo rendono particolarmente interessante e carismatico, per lettori come me che cercano sempre personaggi sopra le righe ma di un certo spessore.

“Il sarcasmo non era certo un tratto tipico del giapponese medio:”

Una storia nella storia, quella di Nishida e quella dell’indagine, in una caccia particolare, sulle orme di un ombrello, che da principio non sembra portare a nulla se non tanto mal di piedi, nel tentativo di ripercorrere a ritroso la storia di un comune oggetto la cui importanza potrebbe sembrare minima se non fosse che:

a) è l’arma del delitto
b) l’unica impronta identificabile sull’ombrello è quella appartenente all’Imperatore del Giappone.

A quanto detto un attimo fa, aggiungo un tema di fondo terribilmente vero e tremendamente attuale (che scoprirete leggendo), e che si paleserà portando luce all’intera storia verso la fine del libro e, finirà per andare a fornire ancora maggiore pregio all’intero romanzo, come se ce ne fosse stato bisogno. Una vicenda che fino alla fine, avrà il merito di incuriosire il lettore con l’intento di procrastinare all’infinito il momento della rivelazione.

Un esordio con il botto per Tommaso Scotti, che è riuscito a introdurre in modo decisamente meritevole un nuovo e curioso ispettore di estremo valore nel panorama letterario e, ci ha mostrato il Sol Levante da un altro punto di vista, fra luci e ombre di una città, come quella di Tokyo, che non dorme mai, che prosegue la sua vita in modo inarrestabile fra leggi e tradizioni radicate, e che non si muove di un passo da quelle che sono le sue convinzioni.

Fortunatamente, però, ci penserà l’ispettore ad aprire un varco qua e là, grazie anche al suo sangue misto che in qualche modo, pur non avendo mai vissuto in America, si farà sentire in ogni sfumatura, dandogli così la possibilità di osservare le cose sempre da prospettive diverse, consentendogli così anche una visuale più ampia e più aperta sulle diverse possibilità.

La struttura del romanzo, presenta dei piccoli salti temporali nell’arco delle giornate che occuperanno quest’indagine e, darà la possibilità senza alcuno stress, di mettere ordine, di avere ben chiara ogni cosa e di concludere con un bel punto l’intera storia, che dalle premesse, nel finale, mi auguro non si chiuda veramente così. Ma questo per ora, è un segreto fra me e l’autore, oltre alle persone che già avranno letto il libro.

 i miei complimenti a Scotti e mi auguro di trovarlo nuovamente in libreria, possibilmente con l’ispettore Nishida, sperando che sia presto.

Buona lettura!

 

 

Tommaso Scotti


è nato nel 1984, laureato in matematica, seguendo una passione per le arti marziali si è trasferito in Oriente nel 2010. Ha poi conseguito un dottorato di ricerca a Tokyo, dove adesso vive e lavora. Nel tempo libero si dedica al pianoforte e alla calligrafia. “L’ombrello dell’imperatore” (edito da Longanesi – 2021) è il suo primo romanzo, che racconta con sguardo curioso e disincantato le mille solitudini, i sorprendenti codici di comportamento e la disarmante bellezza del Giappone, introducendoci alla comprensione di una cultura tanto ammirata quanto fraintesa come quella del Sol Levante.

 

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