Luce in una notte romana




Recensione di Francesca Ruggeri


Autore: Alessandro Pierozzi

Editore: Piemme

Genere: Narrativa

Pagine: 408

Anno di pubblicazione: 2018

Sinossi. 

La storia di un’amicizia indimenticabile, un sodalizio in grado di illuminare il presente più buio.

«Litigiosa. Prepotente. Aggressiva. Così era Giovanna. Sempre pronta a fare a botte.»

Se, nel lotto Sessantanove di via Rossellini al due, Testaccio, si alzano le voci o le mani, tutti pensano si tratti di lei, quella matta di Giovanna. Bella come una dea greca, atleta mancata, che si scatena a giocare a pallone coi ragazzini, generosa con i deboli, spietata con i forti, selvatica e incostante, Giovanna ha sempre accettato con dignità e ostinazione ruoli che non sarebbero nella sua natura, quello di moglie di un marito violento, di madre di due figli e di lavandaia.
Per tutto questo e per la vena di follia di cui spesso si investono le persone troppo autentiche, Giovanna non sta simpatica a nessuno, uomini e donne, seppur per motivi diversi. E non ha amici.
Fino al giorno in cui nella sua vita di grida, astio, botte prese e date arriva Anna. Anna è una madre amorevole, una moglie devota, viene da una famiglia di insegnanti e venera le lettere più di ogni altra cosa. E proprio su queste differenze apparentemente invalicabili si costruisce un legame che più che un’amicizia è un vero e proprio sodalizio. Una crepa di luce in due esistenze diverse, ma entrambe costrette dentro a un carcere domestico in cui ognuna, a modo suo, si sente rinchiusa.
Queste due piccole vite straordinarie si mescolano a quelle di altri indimenticabili inquilini del lotto Sessantanove e ci regalano uno spaccato di storia italiana nel secondo dopoguerra di incredibile fascino e verismo, in un periodo di profondi sconvolgimenti sociali, di repressioni, serrate, fabbriche occupate, ma ancora ricco di speranza nel futuro. Nei frammenti di queste esistenze fatte di violenze e soprusi, si svela un’umanità autentica che amando, soffrendo e lottando sopravvive a tutto.

Recensione

Questo è un romanzo storico e corale.

È lo stesso autore a sottolineare la connotazione storica del suo racconto quando scrive che “serrate e occupazione delle fabbriche non sono invenzioni”.

C’è tutta una generazione ancora vivente che ce lo può testimoniare. Sento ancora nelle mie orecchie i racconti dei miei nonni, di quanto fosse stata dura in un paese ridotto in macerie anche negli animi, anni ben lontani dal famoso “boom” che ancora si racconta.

Il romanzo racconta le storie degli abitanti di un quartiere popolare di Roma, Testaccio; descrizioni che richiamano alla mente i grandi capolavori cinematografici del Neorealismo.

Su questo sfondo si muovono le tante storie dei vari protagonisti, tutti caratterizzati dalla voglia di non arrendersi, perché non si può essere sopravvissuti alla guerra per rimanere in balia del proprio destino.

Tante le esistenze che si intrecciano tra loro. In particolare quelle di Giovanna, Vergilio, Anna e Primo, Rosalba e Ercolino.

Un bel romanzo, ben scritto, dove le pagine scorrono via una dietro l’altra, nonostante si tratti di un libro di 400 pagine,  perché ci racconta un’Italia che non dobbiamo dimenticare.

In fondo, il tempo passa ma certe battaglie in difesa del proprio lavoro e della propria libertà individuale sono ancora oggi pane quotidiano per le nostre vite.

Alessandro Pierozzi


Nato a Roma il 19 gennaio 1941, di famiglia operaia, a ventun anni entra in fabbrica come manovale, fino a raggiungere la qualifica di operaio specializzato. Durante il periodo di cassa integrazione consegue il diploma di Perito Elettronico. Militante della fiom cgil, nel 1974 viene chiamato a far parte della segreteria della fiom provinciale di Roma, per poi passare al Regionale.
Conclude il suo iter sindacale a Pomezia. Nel 2001 va in pensione. Da sempre amante dei libri e lettore accanito, ha deciso di scrivere per i suoi settantacinque anni il suo primo romanzo, Luce in una notte romana, finalista al Premio Calvino.