L’uomo che suonava




L’uomo che suonava Beethoven


Autore: Jean-Baptiste Andrea 

Traduzione: Simona Mambrini

Editore: Einaudi

Collana: Stile Libero big

Genere: Narrativa

Pagine: 248

Anno di pubblicazione: 2022

Sinossi. Joseph suona il pianoforte nelle stazioni e negli aeroporti. Suona e aspetta. Finché un giorno Rose, il suo primo amore, non scenderà per caso da un treno o da un aereo riaffiorando dal passato. Quasi nessuno si accorge di lui. I piú attenti apprezzano il tocco delle sue dita esperte ma la maggior parte attraversa veloce i grandi atrii. A quei pochi che gli chiedono di lui, Joseph racconta della propria vita. La morte dei genitori quando aveva quindici anni, l’orfanotrofio sui Pirenei, la crudeltà dell’abate. Joseph è sopravvissuto solo grazie a una strana società segreta e all’incontro con Rose. E adesso non può che aspettare ciò che gli è stato promesso.

 Recensione di Laura Bambini

Nessuno ha mai pensato che forse, molto semplicemente, Dio è sordo come una campana?”

Ormai sempre più di raro avverto il bisogno di parlare, riflettere, scrivere di un libro subito dopo averne terminato la lettura. Questo romanzo mi stuzzicava per il titolo, per Beethoven (uno dei miei compositori preferiti), per il pianoforte, per la promessa di un amore mancato.

Ecco, non sono mai stata una che crede che l’amore inciampi, semplicemente non è quello tra due persone la questione cruciale.

Joseph suona il pianoforte alle stazioni e agli aeroporti, in attesa che spunti Rose, una donna che sembra il fulcro del romanzo ma per fortuna non è così (badate, ho aperto il libro per leggere di una storia d’amore, ma grazie agli déi ho trovato qualcosa di molto più bello).

Joseph suona solo Beethoven, perché “in Ludwig c’è tutto. Il prima e il dopo. C’è Bach e c’è Schubert. C’è Gabrieli, Mozart, Bruckner e quasi quasi anche Varèse” come diceva il suo maestro di piano.

E racconta.

A chiunque voglia ascoltarlo, narra la sua storia, che non è solo quella di un pianista strambo, ma è quella di un ragazzo la cui adolescenza si è interrotta bruscamente con un incidente aereo, che gli ha portato via i genitori e la sorella.

È la storia di un adolescente sbattuto per un motivo inspiegabile (non ce n’è mai uno valido, in realtà) in orfanotrofio. Non in uno qualunque, ma in uno di quelli che, oggi, chissà come mai, hanno chiuso. Gestito ovviamente da un istituto religioso, con un reverendo per cui l’educazione fa rima con la violenza e ci ricorda con raccapriccio che oggi i due termini non sono ancora stati scissi e riportati ognuno alla propria definizione, al proprio polo positivo e negativo.

L’aggravante, è che la violenza-educazione viene giustificata con la fede.

Così, la storia dell’amore mancato, della donna che il narratore aspetta da cinquant’anni, diventa quella di Momo, ragazzo con problemi cognitivi che tiene sempre stretto il suo peluche a forma di asino, che non parla perché non riesce, perché qualcosa che ha visto gli impedisce di esprimersi. Soffre di crisi epilettiche, ma questo non gli risparmia derisioni e maltrattamenti.

Diventa la storia di Faina, capo della Vedetta, società segreta dell’orfanotrofio con uno scopo talmente umano da mettere in ridicolo tutti i nostri problemi quotidiani; di Sinatra, il braccio destro di tutti; di Edison, il genio della comitiva; di Danny, che si dice morto e invece viene rinchiuso per quasi un anno dal reverendo nelle segrete dell’orfanotrofio, l’Oblio, per dargli un’educazione migliore.

Soprattutto, diventa la storia del piccolo Enen, figlio di NN e per questo chiamato con la pronuncia di un nome anagrafico inesistente. Vero motore della storia, ne racchiude la condensa e il messaggio.

Ha solo nove anni e sta lì da più tempo di tutti, fa ancora la pipì a letto (non me la sento di mettere per iscritto le conseguenze, ci ha pensato l’autore), crede di essere nella condizione migliore e chiede a tutti se hanno visto Mary Poppins. Sostiene di non aver nulla di triste di raccontare, perché in fondo lui è nato lì, i genitori affidatari l’hanno portato a vedere Mary Poppins ma la madre putativa ha imbracciato un fucile a metà proiezione e lui non ha mai potuto scoprire la fine del film.

Nulla di rilevante, dice, e non capisce i giochi

“da grandi” degli altri ragazzi che si intristiscono a sentire la sua storia e che cercano di proteggerlo.

La Vedetta esiste per Enen, per dargli l’illusione di una favola, di una “mamma”.

Il piccolo continuava a fissare il cielo con la testa rovesciata all’indietro, un cielo trapunto di stelle che gli colava sulle guance. Ai missili non ci credeva nessuno, tranne lui. Gli altri tre alimentavano quella fragile ingenuità. La Vedetta non era un gioco, ma una cospirazione. Un trucco da illusionisti, un coniglio spellato tirato fuori da un cilindro da una banda di prestigiatori dilettanti a beneficio di un bambino di nove anni. E come qualsiasi musicista vi confermerà, è più difficile esibirsi per una persona che per mille. Raramente puoi deludere mille persone.”

Alla fine, ho letto la storia dell’Amicizia, di un gruppo di ragazzi che si prendono la colpa a vicenda senza lasciare indietro nessuno, nemmeno Momo ed Enen. E questo sì che è un amore mancato.

 

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Jean-Baptiste Andrea


Jean-Baptiste Andrea è nato nel 1971. È regista e sceneggiatore. Per Einaudi ha pubblicato Mia regina, il suo primo romanzo (2018), che ha vinto il Prix Femina deslycéens e il Prix du premier roman, e L’uomo che suonava Beethoven (2022), che si è aggiudicato il Grand Prix RTL-Lire, il premio Relay des Voyageurs Lecteurs e il Prix Ouest-France ÉtonnantsVoyageurs.

 

A cura di Laura Bambini

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