Mary




 MARY

di Anne Eekhout

Neri Pozza, 2022

Laura Pignatti ( traduttrice )

Narrativa, Pagine 366

Sinossi. Ginevra, maggio 1816. Una giovane donna si sveglia nel cuore della notte, assediata dagli incubi del suo passato e dalla gelosia per la sorellastra, Claire, che sembra cogliere qualsiasi occasione per insidiare suo marito Percy. Lei è Mary Shelley, née Wollstonecraft, e suo marito è Percy Shelley, poeta inglese celebrato e amatissimo, che Mary ha seguito per tutta Europa fino a giungere, insieme a Claire, in quel luogo di villeggiatura sulle sponde del lago di Ginevra. Sono in cinque in vacanza a Villa Diodati, compresi John Polidori e Lord Byron detto Albe, e il 1816 è l’«anno senza estate», quando l’eruzione di un vulcano in Indonesia ha oscurato il cielo in tutto il mondo e impedito al calore del sole di allietare le loro giornate. Così, la compagnia trascorre tutte le sere di pioggia di fronte al fuoco, a bere vino e laudano e a raccontarsi storie di fantasmi. Ma i fantasmi dei racconti non sono gli unici ad abitare quella grande casa. Mary ha solo diciannove anni ma alle spalle tutta una vita vissuta, di sentimenti e avventure. E, nonostante il piccolo William sia la sua gioia, non riesce a dimenticare la figlioletta morta che ogni notte, all’ora delle streghe, la sveglia con l’eco remota di un pianto disperato. Ma soprattutto Mary non riesce a dimenticare gli eventi di quattro anni prima, in Scozia, quando a Dundee ha conosciuto Isabella Baxter e l’affascinante ma sinistro Mr Booth. Isabella, riccioli scuri e pelle chiarissima, un’adorabile fossetta sul mento, è per Mary una creatura di irresistibile fascino; Mr Booth è untuoso, e dei pomeriggi passati in casa sua con Isabella spesso Mary non ha alcuna memoria. Quegli enigmatici eventi monteranno nell’immaginazione della futura scrittrice, fino a esplodere in un vortice in cui verità e finzione si mescolano senza soluzione di continuità. Ed è da quei ricordi misteriosi che, nelle lunghe sere ginevrine, Mary partorisce un incubo che abiterà le notti del mondo per i secoli a venire: il mostro di Frankenstein. Con un romanzo capace di illuminare gli abissi dell’inconscio come le vette della creatività, Anne Eekhout, autrice pluripremiata, ridà voce a una grande donna della letteratura e al suo tormento artistico e umano.

 Recensione Francesca Mogavero

Ogni libro è un mostro.

Ogni storia è un portento che si compie, un essere colossale che scava, scalcia e morde nel ventre, nell’intimità e nel cervello di chi lo ha concepito e poi viene finalmente alla luce… si mostra.

Cosa succeda con precisione in quei giorni, mesi, anni di incubazione non ci è dato saperlo, è un segreto profondo tra creatura e forza creatrice, è un patto tra sodali, più spesso un’associazione a delinquere: chissà quali oscure fantasie, quanti desideri pericolosi e proibiti si raccontano e sperimentano nel buio, prima di trovare un compromesso, di plasmare una forma che sarà toccata, assaporata, letta da chi sta fuori.

Il mostro talvolta dorme (poco), talvolta reclama attenzioni e pulsa, invia messaggi alla madre – ogni scrittrice, ogni scrittore lo è – attraverso i nervi e le ossa, le provoca emorragie di immagini e parole e lei, di conseguenza, reagisce. Vegliando, non pensando ad altro che non sia quel cumulo che le si annida dentro, nutrendosi di ciò che potrebbe servirgli per rafforzarsi, svilupparsi.

Inutile sperare in un parto rapido, in un cesareo che di netto tagli il cordone che li lega: ci vorrà il suo tempo, e, quando sarà ora, il prodigio che ne uscirà, sotto la superficie ancora lucida e pulita della pagina nuova, avrà un aspetto bitorzoluto e strano, memento di una gestazione e di una nascita faticose.

Ma il carattere stampato, il primo sorriso di una lettrice o di un lettore, il senso di liberazione, di pace e spossatezza che di solito segue un esorcismo ben riuscito valgono ogni singolo istante… come il pianto selvaggio e primigenio di un neonato voluto e già amato.

Mary è già madre, prima ancora della venuta al mondo della fragile, pallida Clara e dell’allegro Willmouse, che trilla, gorgoglia e respira anche quando il temporale mozza il fiato. Mary porta da anni dentro di sé, dentro il suo corpo ancora adolescente, proteso e curioso, un grumo che ancora non ha definizione, ma c’è e si fa sentire costantemente. Come quando entri in una stanza che dovresti conoscere bene, eppure la senti estranea: un singolo, minimo dettaglio è stato cambiato, con gli occhi non riesci a individuarlo, ma lo sguardo interiore, l’inconscio, lo coglie e ne è quasi ferito, turbato. Inquietato.

Quella massa allo stesso tempo scura e trasparente, densa e invisibile, ha messo radici, vuole un corpo, rivendica il suo diritto di esistere… e Mary lo sa e non può far altro che accarezzarla, portarla con sé, chiederle di viaggiare insieme, di non abbandonarla, specialmente nelle notti più difficili, di lenzuola fredde e tradimenti più o meno consumati – forse solo nell’immaginazione, ma fanno male lo stesso – nell’ora delle streghe in cui anche i piccoli morti tornano a piangere per il latte o un bacio della buonanotte.

E lui – il mostro, la presenza – è ubbidiente: l’accompagna, cresce con lei, forse ancora indeciso se restare al caldo, nel liquido amniotico della fase creativa, o esplodere nel mondo urlando, dirompente come un’eruzione vulcanica, come una cometa, come una gigantesca creatura marina che occupa un porto intero e oscura il sole.

Ha bisogno di una spinta. E cosa c’è di meglio di una sfida?

«Potremmo scrivere una storia di fantasmi ciascuno» propone Albe, Lord Byron, con il suo solito sguardo acceso dal vino e dal laudano, ma anche così facile a estinguersi, alla strenua ricerca di una nuova passione, a un nuovo passatempo che scacci il tedio.

Mary è l’unica a prenderlo sul serio, a coltivare il progetto, a sfamarlo… perché i fantasmi, i cavalli mostruosi, gli uomini-pesce, il Draulameth e le donne mandate sul rogo la abitano già dai tempi del suo soggiorno a Dundee, forse da sempre, perché forse certe persone, infestate, lo sono da quando aprono gli occhi. Perché la realtà non basta e oltre il velo sanno, vogliono scorgere altro, magari illudendosi, a costo di essere considerate visionarie e originali. E poi c’è lui, il mostro che non ha ancora un nome e non lo avrà mai – il futuro mostro di Frankenstein – il bambino eterno, terribile e innocente, in paziente attesa. Fino all’estate del 1816, a Villa Diodati.

Anne Eekhout dà voce e spessore a una scrittrice geniale, che definire “gotica” è riduttivo: Mary è favolosa, dirompente, squisitamente umana. E dopo esserci infilati nella sua prima giovinezza, tra braccia arrossate, sguardi confusi dalla luce, memoria che gioca scherzi crudeli, sensi accesi, tesi all’inverosimile, allo spasmo… la amiamo ancora di più.

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Anne Eekhout


è nata a Hilversum nel 1981. Ha studiato legge ad Amsterdam, dove è nata l’idea del suo primo romanzo Dogma, pubblicato nel 2014, nominato per il Bronzen Uil e selezionato per il premio letterario AKO. Il suo secondo romanzo, Op Een Nacht, è stato pubblicato all’inizio del 2016 ed è stato nominato per il BNG Bank Literature Prize. Il terzo romanzo, Nicolas e la scomparsa del mondo, è stato pubblicato nel 2019 ed è stato insignito del titolo Miglior libro per giovani. Mary, il suo quarto romanzo, è basato sull’adolescenza di Mary Shelley, l’autrice di Frankenstein.