CANDIDATO PREMIO STREGA. A. BERTANTE con MORDI E FUGGI




A cura di di Sara Zanferrari


 

Autore: Alessandro Bertante

Editore: Baldini e Castoldi

Genere: narrativa

Pagine: 208

Anno di pubblicazione: 20 gennaio 2022

 

 

 

 

Sinossi. Milano, 1969. Università occupate, cortei, tensioni nelle fabbriche. Il 12 dicembre la strage di piazza Fontana. Alberto Boscolo ha vent’anni, viene da una famiglia normale, né ricca né povera, è iscritto alla Statale ma vuole di più. Vuole realizzare un proprio progetto politico. Deluso dall’inconcludenza del Movimento Studentesco, si avvicina a quello che di lì a poco sarà il nucleo delle Brigate Rosse. I mesi passano, Alberto partecipa alle azioni dimostrative, alle rapine di autofinanziamento e al primo attentato incendiario, ma il suo senso di insoddisfazione non si placa. Vuole agire sul serio. Il gruppo organizza il sequestro lampo di Idalgo Macchiarini, un dirigente della Sit-Siemens, e lo sottopone al primo processo proletario. «Mordi e fuggi», scrivono i brigatisti. La stampa batte la notizia; nei bar degli operai non si parla d’altro, le Brigate Rosse sono pronte ad alzare il livello dello scontro. In una metropoli nebbiosa, violenta e indimenticabile, Alessandro Bertante dà vita a una vicenda umana tumultuosa e vibrante, nella quale, intrecciando fiction e cronaca, vediamo scorrere i fatti cruciali che innescheranno la tragica stagione degli anni di piombo. Un romanzo duro e avvincente, dal ritmo serrato e incalzante, che non cerca facili risposte ma che apre nuove domande su uno dei periodi più drammatici della recente storia italiana.

 

Recensione

Poco si è scritto sulle origini delle Brigate Rosse e sulle motivazioni che hanno portato alla loro nascita: cosa spinse dei giovani alla lotta armata? Perché rischiare tutto, in nome di cosa?

Milano, 1969, c’è appena stata la strage di Piazza Fontana e alcuni di questi giovani ventenni si rendono conto che lo Stato può uccidere impunemente i propri cittadini, mentre il popolo sgobba nelle fabbriche per arricchire i padroni, e fioriscono i movimenti politici, sia (soprattutto) a sinistra sia a destra.

Le Brigate Rosse sono allora niente più che un gruppo extraparlamentare che si limita a qualche atto dimostrativo di difesa del proletariato, mischiati (e addirittura protetti) da coloro dei quali rivendicano i diritti. Quando è che tutto si radicalizza e da ideale diventa violenza? E come mai anche chi non appartiene alla categoria, bensì alla piccola borghesia milanese, si fa prendere nel vortice, nel crescendo di prepotenza e brutalità?

Alberto Boscolo, protagonista e personaggio di finzione inserito in un contesto storico reale, narra in prima persona le riflessioni, le pene, gli slanci ideali, una certa qual attitudine alla violenza, tutti quei sentimenti che gli sono necessari per passare dal pensiero all’azione (a lui e agli altri). Un personaggio tormentato, strumento che alla penna di Bertante serve ad indagare, scandagliare questa parte di storia del gruppo finora poco presa in esame, a differenza dei più famosi “Anni di piombo”, il periodo più violento delle Brigate Rosse, quelli del sequestro e omicidio di Aldo Moro, il sequestro del Generale americano Dozier, fino allo sfaldamento e alla scomparsa anche delle ultime cellule brigatiste.

Siamo agli esordi del gruppo e con Alberto incontriamo quelli che furono i veri protagonisti di quei primi anni: Renato Curcio, Mara Cagol, Alberto Franceschini (il Mega), nomi mitici, ovviamente in negativo, nell’immaginario di chi come Bertante (e come me, ambedue siamo nati proprio nel 1969) ha vissuto bambino e ragazzino quei tempi bui, tempi che hanno continuato evidentemente a lavorare dentro di noi e a interrogarci tutti quanti negli anni che seguirono. Bertante si documenta attraverso gli scritti di questi protagonisti reali e ci offre attraverso un romanzo (non un saggio, attenzione!) uno spaccato di quello che è stato il pensiero del primo nucleo brigatista, i tormenti, i dubbi, e come già detto, gli ideali.

Un romanzo che, muovendosi fra cronaca vera e realtà romanzata, accende i riflettori sulla fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta in Italia,

sul brulicare di movimenti giovanili, politici, la crescita dell’industrializzazione in una Milano grigia, sempre più spersonalizzata, distopica, destinata a diventare negli anni Ottanta la “Milano da bere” delle pubblicità, dei paninari, del consumismo. Chissà che cosa avrebbero fatto Renato, Mara, Alberto e i loro compagni se fossero nati solo dieci anni più tardi? E se Alberto Boscolo, si fosse fatto rapire dall’alcol o dall’eroina, magari, piuttosto che da un ideale di impegno sfociato nella lotta armata?

Gli anni Sessanta ci avevano raccontato che potevamo avere tutto, che il mondo stava cambiando e che saremmo stati proprio noi la generazione motore del cambiamento. A quella promessa ci credevamo, eravamo certi che stesse accadendo qualcosa, era nell’aria ed era ovunque ti girassi, potevi sentirla sulla pelle. Dovevamo essere pronti a coglierla.”

Io, uno studentame qualsiasi, un aspirante intellettuale piccolo borghese, grazie all’enormità della loro violenza ero diventato un combattente pronto alla lotta. Il campo di battaglia sarebbe stata la metropoli. Milano, la capitale morale, il cuore industriale e finanziario del Paese, dove c’erano le fabbriche e gli operai comunisti organizzati. Come i compagni uruguaiani Tupamaros avremmo combattuto la nostra guerra nel cemento e nell’acciaio, nascosti dalla folla, protetti dalla fabbrica, avanguardie di un partito armato sempre più forte e diffuso. Noi eravamo nel giusto, rivoluzionari comunisti dalla parte giusta della Storia. Noi saremmo diventati la Storia.”

Questi sono solo alcuni dei pensieri di Alberto, animo inquieto, protagonista complesso in un’epoca che lo è stata ancora di più. Un romanzo da leggere per riflettere, per capire, per non dimenticare chi eravamo, cosa siamo diventati o avremmo potuto diventare, se solo avessimo vissuto in quel tempo in cui sembrava ancora possibile poter vivere (o morire) per un ideale. Noi che ora viviamo un’epoca di disillusione e disimpegno.

Perché questa gente dovrebbe imbracciare le armi, che motivo hanno per una scelta così estrema?

Che motivo ho io, alla fine?

Forse ci siamo sbagliati, la nostra illusione è stata credere nella possibilità di una rivoluzione armata che non scaturisse dalla cruda realtà dei bisogni. Ci siamo fatti sedurre dall’immenso fascino di una lotta solo intellettuale, virtuosa e sacrosanta eppure fuggevole.


A cura di Sara Zanferrari

 poesiedisaraz.wordpress

 

INTERVISTA

 


Sei un ragazzo del ’69, come me, e come me hai assistito a cambiamenti epocali: gli anni ’70 con le loro lotte politiche e sociali (e la crisi petrolifera del ’73), gli anni ’80 con il boom economico e l’avvento del consumismo, il nuovo secolo con la fine delle illusioni e le sue piccole e grandi crisi economiche, il 2001 e le torri gemelle, il 2008 e la crisi dei subprime, ora la pandemia e la guerra in Ucraina. E tu decidi di scrivere, a 50 anni dalla loro nascita, delle Brigate Rosse. Perché loro e perché, a differenza di molti, tu esamini proprio la parte iniziale del movimento, la scintilla che gli ha dato vita?

La scelta del movimento fondativo non è assolutamente casuale. Delle Brigate Rosse si è parlato molto soprattutto a livello saggistico, però si è parlato sempre della seconda parte, dal ‘75 in poi, il caso Moro e così via. A me interessava interrogare sulle motivazioni: perché un ragazzo di 20 anni deve rovinarsi la vita mettendosi in clandestinità e passando alla lotta armata? Quali motivazioni potevano esserci state alla base di una scelta così radicale? E questa è anche la ragione per la quale uso la prima persona, perché indaga di più l’animo del protagonista. E quindi ovviamente all’interno delle motivazioni io individuo come quella principale la strategia della tensione ovvero Piazza Fontana. “Mordi e fuggi”, infatti, è una storia milanese, la storia di tre anni tutti milanesi, e va detto che la Milano di allora non è la Milano di adesso, la smart metropoli è tutta diversa. Un esempio pratico della differenza è che all’interno della cerchia della linea 9091, che separa il centro dalla periferia, c’erano tre grandi fabbriche solo nel mio quartiere: la SIT-Siemens, l’Alfa Romeo e l’Alemagna, in città. Adesso è impossibile pensare agli operai in città. Le BR nascono come movimento di fabbrica in città come emanazione di un sindacato autonomo.

 

Alberto, il protagonista, non è un proletario, bensì uno studente della piccola borghesia, che però è inserito nel contesto delle fabbriche, degli operai, della lotta per i diritti. Come hai scelto le caratteristiche del personaggio di finzione che hai piazzato in questo contesto storico reale e preciso? 

Innanzitutto, nella storia delle BR due persone del nucleo fondatore non sono mai state identificate, perché né Curcio né Franceschini ne hanno mai fatto il nome, e io immagino che una sia Alberto. Mi serviva uno sguardo interno al movimento studentesco: erano tutti borghesi, mi serviva che avesse quell’estrazione sociale e si confrontasse da borghese con gli operai delle BR. Questo anche per avere un personaggio con più sfumature, più complesso: lui rifiuta la sua classe sociale e si dà alla lotta armata.

 

Ad Alberto affianchi i fondatori, quelli veri, Renato Curcio, Mara Cagol, solo per citare i due più famosi. Quanto hai dovuto documentarti e come hai utilizzato poi quello che hai appreso? 

È una domanda importante. Mi sono approcciato con molto pudore ai membri fondatori delle BR, ho usato solo frasi che loro hanno messo nei loro libri autobiografici, primo per una forma di rispetto, secondo per non prendere querele. Io sono un romanziere però: se per esempio nella scena fondamentale della creazione del nome Brigate Rosse, Curcio scrive quattro righe, io ci faccio un intero capitolo, perché mi serve per la narrazione. In questo contesto inserisco una funzione completamente di finzione, che è quella di Alberto, che è romanzesca.

 

Mordi e fuggi è anche un po’ un romanzo di formazione: Alberto dovrà crescere, comprendere che significati e conseguenze ha il passare dalle parole ai fatti. Un personaggio, di fatto, anche piuttosto tormentato. Quali sono stati i tuoi modelli, se ce ne sono stati? E quanto di Alessandro hai messo in Alberto?

I miei modelli sono: per i suoi momenti di prostrazione psicologica, Raskolnikov di Delitto e castigo, e un certo romanzo francese, il Camus de La peste. C’è molto dello scrittore nel protagonista, caratteristiche mie, fisicamente e caratterialmente, come una certa irascibilità, un sangue freddo quando serve.

 

Possiamo dire che, anche guardando indietro nella tua produzione, un tuo tema portante sia “la resistenza”?

Più che la resistenza direi la rivolta. Sia in “Al diavul”, sia in “Ultimi ragazzi del secolo”, sia in questo romanzo il protagonista è una persona inquieta e rivoltosa. Per una scelta radicale così ci vuole anche una sorta di arroganza ed egocentrismo.

 

Come hai appreso la notizia prima della candidatura allo Strega e poi dell’essere uno dei prescelti nella dozzina? Che aspettative hai per questo tuo libro (non lo voglio chiamare romanzo di proposito)? Cosa vorresti che pensasse o provasse chi lo legge?

Con grande gioia, sicuramente, anche se al di là di ogni tipo di ipocrisia ci speravo. 

Io lo chiamo romanzo, ho voluto il sottotitolo “romanzo delle Brigate Rosse” perché non ci fosse alcun tipo di ambiguità. Ovviamente è un romanzo storico perché si basa su fatti storici accertati, ma è assolutamente un romanzo, e romanzo di formazione. Vorrei che il lettore provasse una sensazione di immedesimazione nel momento storico e con le pulsioni del protagonista, spero di aver ricreato un clima politico e umano, una temperie.

Alessandro Bertante

 

 

Alessandro Bertante


Alessandro Bertante è nato ad Alessandria nel 1969, vive da sempre a Milano. È autore dei saggi Re Nudo (2005) e Contro il ’68 (2007). Fra i suoi romanzi ricordiamo Al Diavul (2008), vincitore del Premio Chianti, Nina dei lupi (2011, 2019), finalista Premio Strega e vincitore del Premio Rieti, Estate crudele (2013), vincitore del Premio Margherita Hack e Gli ultimi ragazzi del secolo (2016), vincitore del Premio Selezione Campiello, giuria dei letterati. È Course Leader Senior del Triennodi Cinema e Animazione presso NABA, Nuova Accademia di Belle Arti.

 

Acquista su Amazon.it: