Morfisa




Recensione di Francesca Mogavero


Autore: Antonella Cilento

Editore: Mondadori

Pagine: 408

Genere: Narrativa

Anno di pubblicazione: 2018

RECENSIONE

Da dove incominciare?

Un poeta bizantino privo di ispirazione, una bambina miracolosa e dai piedi deformi, un pistrice immane, monache volanti, baccanali, creature in bottiglia… e poi città che pullulano di vita, prodigi, finzioni e vere disgrazie, leggende, acqua per viaggiare, fuggire e sognare.

Ma soprattutto lui, Costantino/Michele Psello, letterato quasi onnisciente, intellettuale dotato di un carattere e di un’ironia irripetibili, nonché oggetto, soggetto, protagonista e unico sovrano della mia tesi triennale. Non che quest’ultimo dettaglio sia rilevante ai fini della presente recensione, ma immaginate quanto questo romanzo sia fatale – nel senso di predestinato – ed esaltante per la sottoscritta.

Un’opera che non è un libro, ma un itinerario avventuroso in un millennio e più di storia e culture confermate, dettagliate, contraddette e rimodellate grazie alla voce e agli occhi di Teofanès Arghìli, eroe e punto nevralgico inconsapevole, e grazie alla fantasia traboccante dell’autrice Antonella Cilento; un tuffo nel passato e nel presente, forse non così diversi tra loro; un affresco coloratissimo in cui nemmeno un filo sfugge alla trama. Come riassumere tutto questo?

Morfisa rievoca Le mille e una notte e Il Libro di Syntipas e, a partire da una cornice apparentemente semplice – la missione di Teofanès, inviato a Napoli dalle imperatrici di Bisanzio per impalmare per procura la Ducissa Crisorroé – intreccia novelle e sottotrame, divagando, espandendo, dando spazio a nobili e tintori, antichi dei e nuovi dogmi, e ritornando al punto centrale. Anche la lingua si adatta e si trasforma e, dal registro imperiale, scende per i vicoli, si imbratta e si ingioiella di espressioni veraci, si emancipa in un greco antico che è già partenopeo, come a dire che Napoli e il suo vernacolo ci sono da sempre, immutabili e attuali, flessibili eppure incrollabili, sebbene delicatamente in bilico sul guscio di un uovo purpureo.

E Napoli emerge in tutta la sua femminilità prorompente e complessa: è Partenope, sirena protettrice, e Parthenos, vergine pura; è genitrice feroce e fanciulla in boccio, benefattrice e ladra; è strega, Gorgone, malafemmena, santa e Theotokos. “Maledette le donne! Le madri che sanno troppo, le mogli che rubano gli uomini, le madonne nere che hanno il dono di raccontare storie” è infatti il grido del nostro Teofanès, eroe in cerca di una narrazione che lo renda immortale, e forse di un’identità; Teofanès che da questa femminilità terrena e celeste è invaso, soffocato, catturato e incuriosito… come un bambino in attesa di una fiaba prima di dormire, incapace di proseguire il “C’era una volta” con parole proprie, ma impaziente di ascoltare e mai sazio.

Antonella Cilento


Antonella Cilento (Napoli, 1970) scrive e insegna scrittura creativa da venticinque anni. Ha fondato nel 1993 a Napoli Lalineascritta Laboratori di Scrittura (www.lalineascritta.it) e tiene corsi in tutta Italia e all’estero. Da dieci anni ha ideato e coordina la rassegna di letteratura internazionale Strane Coppie. Ha pubblicato oltre tredici libri, fra romanzi, reportage narrativi e raccolte di racconti, premiati e tradotti in molti paesi, fra cui Il cielo capovolto, Una lunga notte, Neronapoletano, L’amore, quello vero, Isole senza mare, Asino chi legge, Napoli sul mare luccica, Bestiario napoletano, La madonna dei mandarini, e con Lisario o il piacere infinito delle donne (Mondadori, 2014) è stata finalista al premio Strega e ha vinto il premio Boccaccio. Collabora con “Grazia” e con “Il Mattino” di Napoli. Ha scritto racconti radiofonici per Rai RadioTre e numerosi testi per il teatro.