Nella pietra e nel sangue




Recensione di Sara Zanferrari


Autore: Gabriele Dadati

Editore: Baldini+Castoldi

Genere: narrativa

Pagine: 304

Anno di pubblicazione: 2020

Sinossi. Pisa, primavera 1249. Un uomo cammina per le strade della città condotto per mano da un ragazzino. È cieco. Quando capisce di essere di fronte alla chiesa di San Paolo a Ripa d’Arno, inizia a correre a testa bassa. Se la fracassa contro la facciata, sotto lo sguardo atterrito del suo accompagnatore. Muore così, in maniera atroce, Pier delle Vigne, che fino a poche settimane prima era l’uomo più potente della corte di Federico II. Ma l’imperatore ha scoperto il suo tradimento, l’ha spogliato di ogni ricchezza e l’ha condannato.

Roma, oggi. Dario Arata, giovane dantista, si mette sulle tracce di quella vicenda. Perché Pier delle Vigne tradì il suo signore? E soprattutto: se una volta accecato fu lasciato libero, perché si uccise? Forse scappava da qualcosa di ancora peggiore. Anche se è difficile immaginare cosa. Dario ci prova a partire da­gli antichi commenti al XIII Canto dell’Inferno, dove Pier delle Vigne sconta la sua pena tra i suicidi. Inizia così un viaggio attraverso i secoli, con la sensazione che ci sia un segreto spaventoso da svelare.

Nella pietra e nel sangue è insieme romanzo storico e giallo letterario, in cui passato e presente si intrecciano fino al gran finale. Ma è anche una tenera storia d’amore dei nostri tempi. Quella tra Dario e Lucia, che sanno starsi accanto di fronte agli orrori della storia.

Recensione

Storia o finzione? Sogno o realtà?

Tradimento o fedeltà fino all’estremo?

Passato e presente quasi si confondono, danzando in perfetta armonia, senza rallentare mai il corso del romanzo, né tantomeno annoiare il lettore in questo o quel punto, in un romanzo che è storico e al tempo stesso attuale, un giallo, una grande storia d’armi e d’amori, un mistero nel passato, che nemmeno oggi riesce ad essere svelato.

Sono il ministro, logoteta, Pier della Vigna e il re svevo di Sicilia e del Mezzogiorno Federico II i protagonisti di questo mistero che il giovane dantista Dario Arata cerca di risolvere per dare risposte a quelle stesse domande a cui nemmeno Dante è riuscito a rispondere.

Chi ha tradito chi? E ha, poi, davvero tradito?

Perché Pier della Vigna, cieco, si toglie la vita, fracassandosi il cranio contro il muro di una chiesa, quando fino a poco tempo prima era l’uomo di fiducia e più potente della corte dell’imperatore Federico II? Davvero, e in che modo, e, soprattutto, perché ha tradito il suo amatissimo signore?

Sulle tracce di questi quesiti, nella preparazione di un importante convegno, Dario, con l’aiuto della fidanzata Lucia con la quale ha un legame saldo e profondo, che pare echeggiare il rapporto (si potrebbe dire) d’amore fra l’imperatore e il suo luogotenente, riesce fra ipotesi più o meno fantasiose, documenti antichi e il fondamentale aiuto di Madame Legrand, docente illustre al Collège de France a cui lo invia il suo professore di dottorato, a dare buona parte delle risposte.

Molte, ma non tutte. E d’altra parte, chi è che conosce ogni volto che si cela dentro all’animo umano?

Un viaggio nella storia, nello spazio, ma soprattutto nello spirito e nell’anima dei protagonisti, che ci diventano sempre più cari, attraverso il disvelarsi, a latere dei fatti storici, delle loro parti più belle, intime, profonde.

E mentre ci lasciamo inevitabilmente affascinare dalla forza e la saggezza di Federico, dall’esperienza, sapienza ed eloquenza di Pietro (e il fascino di Isabella, e il valore dei compagni d’armi) o al contrario inorridire davanti alla crudeltà di guerre, fame e persino di donne e bambini, ci ritroviamo anche noi perduti nel mistero di quest’uomo politico potente che Dante ha posto nel Canto XIII dell’Inferno, nella selva dei suicidi, condannato per l’eternità trasformato in un albero, i cui rami sanguinano se spezzati.

E’ stato accusato di tradimento e per questo si è tolto la vita (e così sfuggire alla terribile sorte riservata ai traditori). Subito nelle prime pagine, lo troviamo assieme a Federico che lo sta condannamdo:

«Non si tradisce una volta sola. Il pensiero del tradimento accompagna un giorno dopo l’altro il traditore e la sua vita diviene così falsa. Ogni sua parola è cavalcata dalla menzogna e i suoi gestinon valgono quelli di un attore girovago. Così noi, Federico, pur non smettendo di amarti ti condanniamo. A protezione e difesa non della nostra persona, ma dell’impero che Dio ci haconsegnato e di Gerusalemme. Il nostro cuore si fa amaro come un’erba solitaria, ma resta limpido come l’acqua che la sostenta. Dunque tu, Pietro, da questo momento non sei più logoteta e giudice supremo, sei condannato per aver tradito l’imperatore» pag.7

Un dramma si direbbe d’amore, questo, perché il tradimento della fiducia è sempre un tradimento della relazione.

I capitoli si alternano fra il 1200 e l’oggi, fino ad arrivare al gran finale, dove passato e presente si raggiungono, rivelando infine tutto quanto.

Un romanzo avvincente, che è storia, saggio e narrativa pura insieme. Dove godere del piacere di diversi linguaggi, quello odierno, la prosa latina del tardo Medioevo, il francese, del fine lavoro di ricerca sulle fonti storiche, dei sentimenti eterni che muovono gli uomini, nel bene e nel male, con le vette sublimi e gli abissi neri e profondi che convivono nell’animo umano.

 

A cura di Sara Zanferrari

 poesiedisaraz.wordpress

 

Gabriele Dadati


Gabriele Dadati (Piacenza, 1982) ha pubblicato vari libri, tra cui Sorvegliato dai fantasmi (2008), finalista come Libro dell’anno per Fahrenheit di Radio 3 Rai, e Piccolo testamento (2011), presentato al Premio Strega l’anno seguente. Nel 2009 ha rappresentato l’Italia nel progetto «Scritture Giovani» del Festivaletteratura di Mantova.

 

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