Intervista a Fabio Bacà




Recensione di Maria Antonella Saia


Autore: Fabio Bacà

Editore: Adelphi

Genere: Thriller Psicologico

Pagine: 279

Anno di pubblicazione: 2021

Sinossi. Del cervello umano, Davide sa quanto ha imparato all’università, e usa nel suo mestiere di neurochirurgo. Finora gli è bastato a neutralizzare i fastidiosi rumori di fondo e le modeste minacce della vita non elettrizzante che conduce nella Lucca suburbana: l’estremismo vegano di sua moglie, ad esempio, o l’inspiegabile atterraggio in giardino di un boomerang aborigeno in arrivo dal nulla. Ma in quei suoni familiari e sedati si nasconde una vibrazione più sinistra, che all’improvviso un pretesto qualsiasi – una discussione al semaforo, una bega di decibel con un vicino di casa – rischia di rendere insopportabile. È quello che tenta di far capire a Davide il suo nuovo, enigmatico maestro, Diego: a contare, e spesso a esplodere nel modo più feroce, è quanto del cervello, qualunque cosa sia, non si sa. O si preferisce non sapere.

Recensione

Dal caos e dalla violenza nasce il bene.

Sta tutto in questo concetto il messaggio contenuto nel romanzo di Fabio Bacà.

Un messaggio che seppure alquanto criticabile e rasenti la blasfemia, affonda le sue radici nella storia dell’uomo: si pensi al fratricidio tra Caino e Abele, all’Unita’ d’Italia o ancora alla Rivoluzione Francese.


Fin dove si può spingere l’uomo per salvare la sua tranquillità familiare?


È questo il potente interrogativo che dà il via alla trama.

Davide Ricci, neurochirurgo di chiara fama è, da sempre, fiero assertore della non violenza fino a quando la sua famiglia non viene messa in pericolo.

Da questo momento in poi inizia per il protagonista una lunga riflessione sull’uso della violenza che lo fa entrare in contatto con la parte più oscura di sé: una parte che abita in ognuno di noi e che determina il carattere dell’individuo.

Conoscerla in tutta la sua potenza vuol dire dominarla. A fargli da Caronte in questo lungo viaggio, sarà  Diego, un’alter ego che come un grillo parlante lo guiderà tra i meandri del suo io nascosto.

Tramite una storia caratterizzata da un’escalation di colpi di scena e da un ritmo serrato oltre ogni misura, il lettore, attraverso il viaggio introspettivo del protagonista, si troverà a fare, suo malgrado, chiarezza dentro di sé e prendere coscienza della propria natura e dei propri limiti.  riconoscente di poter sempre scegliere da che parte stare.

 

INTERVISTA

 


Nova, thriller psicologico di ampio respiro, si presenta al lettore come una profonda riflessione sulla violenza, latente in ognuno di noi. Ma è davvero così semplice far prevalere l’una o l’altra parte di noi a seconda delle circostanze?

Non credo sia semplice, soprattutto perché non siamo stati educati, in un certo senso, a capire quando far prevalere l’uno o l’altro. La religione e la civilizzazione ci hanno inculcato  un principio secondo cui non bisogna mai reagire con la violenza. Questo ci ha disabituato all’esercizio di una dose di aggressività adeguata quando è il momento. Di contro questo potrebbe aver avuto come conseguenza il fatto che reagiamo in maniera spropositata perché non sappiamo adoperare le nostre risorse emotive, oppure nei casi estremi di mascolinità tossica siamo sempre stati abituati a reagire in maniera aggressiva ma questo ovviamente è l’altro lato della medaglia. Credo, dunque che una via di mezzo sarebbe proprio quella di imparare a gestire questa nostra  emotività eccessiva prendendone coscienza senza cercare  di seppellirle o negarle come sbagliate a priori…

Nel suo romanzo utilizza un registro molto ricercato. Nel farlo ha valutato in qualche misura la risposta del pubblico oppure la sua è stata una scelta puramente stilistica?

Quando scrivo non penso mai alla risposta del pubblico ma non è nemmeno una mia intenzione specifica.  Io scrivo così e non posso scrivere altrimenti. Mi piace scrivere in questa maniera. per me scrivere è un gioco. È e deve continuare a restare un divertimento, non nel senso infantile. Lo considero un gioco in quanto deve divertirmi. così come un calciatore deve far vincere la sua squadra ma nel frattempo deve anche divertirsi, anche perché se si diverte diventa tutto più produttivo.  Per quanto mi riguarda dunque, se dovessi scrivere con uno stile diverso probabilmente scriverei cose banali e quindi non mi faccio condizionare né dalla risposta del pubblico né tantomeno è qualcosa di forzato. Semplicemente mi piace scrivere così.

Nova affronta un argomento molto particolare, da cosa trae ispirazione?

Traggo  ispirazione  da ciò che mi succede intorno.  Il tema della violenza ha cominciato ad ossessionarmi fin da quando ho avuto le capacità intellettive di capire quali sono le conseguenze,  non solo a breve termine, o magari quelle più banali di aggressività che si consuma a scuola ma anche capire il significato delle guerre, Cosa significa essere un essere umano ed esercitare violenza su delle violenze; questo e un tema  che mi ha sempre ossessionato perché mi sembra inconcepibile la dicotomia tra i poteri,  le potenzialità pazzesche del cervello umano  e la rozzezza della violenza che un qualunque animale, anche il meno evoluto può esercitare per ottenere qualcosa. Questa  dicotomia mi ha sempre affascinato e il privilegio dello scrittore è quello di poter ricamare sopra le sue  ossessioni.

In un genere particolare come il thriller psicologico c’è sempre una connotazione sociologica e da qui scatta la domanda. Se la violenza si  può dominare come spiega i fatti cruenti che si  verificano ogni giorno in ogni parte del mondo?

Ciò che dico nel romanzo è una tesi utilizzata a meri scopi narrativi. il mio protagonista e che il mondo è così violento proprio perché la violenza non è stata circoscritta. oggi Sulla scorta della civilizzazione l’uomo potrebbe benissimo farne a meno. Attraverso il buddismo il cristianesimo e tutte le religioni più pacifiste al mondo abbiamo semplicemente detto che doveva  essere negata, che l’uomo doveva  evolvere sotto questo punto di vista ma abbiamo cercato di evolverci seppellendo i nostri istinti, non cercando di capire che senso abbiano,  perché ci sono,  e come poterli usare al meglio.

Si dice che in ogni romanzo, indipendentemente dal genere a cui appartiene, sia presente un aspetto autobiografico. A tal riguardo in quale dei personaggi del suo romanzo si sente più rappresentato?

Premesso che non ho nessuna smania di protagonismo ma in questo caso mi sento molto più rappresentato da Davide che da Diego. Dedico  molte pagine a Davide perché mi sento una persona  assolutamente pacifica, mite, e credo che per certi aspetti io assomiglio parecchio, per altri no.   Ho cercato di esprimere tramite lui certe mie perplessità sulla violenza epidemica della nostra civiltà ma in realtà della razza umana. Quindi non mi sento un guerriero zen come Diego, ne  presento caratteristiche di Tommaso o di Barbara. In definitiva mi sento molto Davide.

Ci parli delle emozioni che ha provato quando le hanno comunicato che il romanzo era candidato al Premio Strega. 

Partecipare al Premio Strega è il sogno di ogni scrittore. Vabbè, iniziamo col dire che il sogno di ogni scrittore che comincia è quello di pubblicare. Dopodiché  pubblicato e riscosso successo si punta oltre. L’emozione è stata molto forte perché comunque  stentavo a crederci io per primo. Adelphi tornava al Premio dopo molti anni. tanti scrittori ne sono rimasti fuori. È evidente che capisco pure gli organizzatori. È stato talmente grande l’afflusso che qualcuno doveva pur restare fuori. Sono contento di non essere stato tra quelli.  L’emozione è fortissima.  È  da circa un mese che avverto una sensazione interna molto piacevole che è quella di poter partecipare.

In questi anni c’è stato un fiorente crescendo di Scuole di Scrittura che forma nuove voci narrative. Lei cosa ne pensa, com’è cambiato il mondo dell’Editoria rispetto al passato? 

Io non so bene come sia cambiato il mondo dell’editoria, perché per me fino a prima di pubblicare il mondo dell’editoria era semplicemente legato alla lettura. Ho  cominciato tardi a scrivere. Ho pubblicato il primo racconto a 33 anni e per il primo romanzo avevo già passato i 40.  Non mi sono mai molto interessato a questo mondo anche perché pensavo che non sarebbe mai stato il mio mondo.

Per quanto riguarda le scuole di scrittura ho qualche dubbio. ho letto dei manuali di scrittura che mi sono stato molto utili. Le  scuole di scrittura creativa credo che possano trasformare uno scrittore sufficiente in uno scrittore poco più che discreto ma non credo  possano  fare il miracolo Quindi io credo sempre che la prima cosa da fare per chi vuole  lo scrittore sia chiedersi se abbia o meno i mezzi per farlo. Io non credo tanto al talento, credo all’inclinazione e credo ad un duro durissimo lavoro quotidiano: leggere, scrivere appassionarsi e trasformare qualunque storia in letteratura.  credo che le scuole di scrittura possano essere utili solo se sono pronte a darti tanti ulteriori stimoli e mettere le persone di fronte ai propri limiti.se poi  abbia la voglia è la capacità di superarli o meno questo è un altro discorso. Confrontarsi fa sempre bene. Per quanto riguarda il mondo editoriale non lo conosco abbastanza per dire come è cambiato. Ovviamente  l’avvento dei social l’ha cambiato quantomeno nelle modalità di promozione dei libri, nella modalità di avvicinamento dei lettori agli scrittori tra i quali adesso c’è un vero contatto,  e questo rende tutto molto più divertente.

Fabio Bacà


Fabio Bacà è nato nel 1972 a San Benedetto del Tronto, dove vive e lavora. Si è occupato di giornalismo per qualche anno prima di approdare all’insegnamento delle ginnastiche dolci. Ha scritto alcuni racconti brevi e un romanzo inedito. Nel 2019 Adelphi ha pubblicato il suo esordio, Benevolenza cosmica, finalista al premio opera prima al premio The Bridge, al premio Megamark. Vincitore del 40 premio città di Moncalieri, lo scorso ottobre ha vinto anche il prestigioso premio Severino Cesari di Umbria Libri.

 

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