Piero fa la Merica




 PIERO FA LA MERICA

Paolo Malaguti

Einaudi 2023

narrativa contemporanea, pag.208

Sinossi. Quelli come i Gevori li chiamano «i bisnenti»: hanno due volte niente. Per loro partire, piú che una scelta, è un tuffo in un niente diverso, ancora sconosciuto. Anche se dai boschi del Veneto alle foreste del Brasile il viaggio è cosí lungo. Soprattutto in nave, soprattutto alla fine dell’Ottocento. Attraverso gli occhi di Piero, che ha quindici anni e tante cose in testa, Paolo Malaguti racconta l’epopea e la perdita dell’innocenza degli italiani nelle Americhe: il gesto rapinoso di costruire il mondo tra animali mai visti e piante lussureggianti, dove la lotta con la natura è un corpo a corpo quotidiano. E il futuro una scommessa. 


Piero fa la Merica

A cura di Chiara Forlani


 Recensione di Chiara Forlani

È una storia di sopraffazione e di sopraffatti, il bellissimo romanzo “Piero fa la Merica” di Paolo Malaguti. Una storia di povertà e di miseria, quella vera, al punto che i protagonisti, la famiglia dei “Gevori”, in realtà un soprannome che fa riferimento ai conigli, sono “bisnenti”, cioè doppiamente nullatenenti, poveri due volte.

Una storia narrata in un lingua “bastarda”, un misto di italiano, dialetto veneto e storpiature di parole in portoghese che ci rende tanto più vere le avventure che leggiamo, che si svolgono alla fine dell’Ottocento tra poveracci che mettono in atto il sogno di emigrare. È uno di quei piccoli capolavori fatti di semplicità, che riesce a guardare dentro all’essenza della vita umana con lo stesso occhio pieno di stupore e disincanto di un bambino che guarda dentro i nidi, per uccidere i pulli appena nati e consegnarli a sua madre che ne farà il sughetto per la polenta, visto che hanno le ossa tenere e si mangia tutto.

“La fame è una brutta bestia. Ma la fame di terra, se possibile, è ancora più bastarda, perché nella fame di terra ci nasci e ci muori, e non ti molla un giorno, e non c’è modo di sopirla, perché la terra, Dio bello, la terra è sempre poca, o sempre d’altri, e ogni giorno la terra ce l’hai davanti agli occhi, e la sogni, la speri, la preghi, finché la terra stessa, brutta puttana, ti accoglie in quattro assi con una croce sopra.”

La famiglia di Piero vive in una baracca addossata a una grande villa veneta, quella dei Pisani. Sono così poveri e pieni di figliolanza che quando anche la baracca viene a mancare decidono di credere a chi racconta meraviglie di un viaggio oltreoceano, per arrivare in un posto dove finalmente avranno la terra, una terra grassa e ricca, che dà frutti in abbondanza senza fatica per coltivarla.

“Però è vero, conclude Piero sbadigliando, restarsene in gabbia è rassicurante, in fin dei conti piacevole, perché a forza di farti andare bene qualcosa, quel qualcosa diventa parte della tua vita, se non la tua vita stessa.”

I Gevori non si fermano, non si crogiolano autocommiserandosi nella vita di miseria che sono costretti a fare, ma decidono di salpare verso l’ignoto, sobillati da un agente come molti altri. Alla partenza incontrano il primo ostacolo, la famiglia è costretta a dividersi, e in quel momento l’idillio dell’infanzia per Piero si rompe. È solo la prima delle lacerazioni che dovrà subire nella sua nuova, strana, vita.  

“Ma quel mattino Piero ha scoperto come stanno le cose, e cioè che se un adulto non piange, è solo perché guarda da un’altra parte rispetto ai mali che si porta dietro.”

Nella “Merica”, cioè nel mato del Brasile, tutti saranno impegnati a costruire la “linha”, cioè la strada in mezzo alla foresta vergine sulla quale sorgeranno le case, i negozi, la chiesa e tutto ciò che serve alla fazenda. È un tempo di duro lavoro ma anche di cambiamento, e non sempre in meglio. Le tradizioni si rompono, i legami si sfilacciano, Piero cresce e si rende conto che il maggior benessere ha instillato in loro divisioni e infelicità. L’amore, quello vero, è insidiato da interesse e sopraffazioni. Nel mato accadono cose crudeli, che lo segnano per tutta la vita. La sua povertà idilliaca e spensierata è perduta per sempre. 

“Sono arrivati lì perché non avevano niente, e ora che si sono presi la terra, ora che sanno cosa vuol dire avere la roba, sono diventati dei paroni ancora più fetenti di quelli da cui erano scappati di là dall’oceano.”

Ogni capitolo del romanzo è introdotto da una breve frase tratta dalle vere testimonianze dei migranti di fine Ottocento. Questo lo rende più realistico, ci fa capire che quello che viene narrato altro non è che la trasposizione di una ben precisa realtà storica.  

È un libro circolare, quello di Paolo Malaguti, che torna da dove è partito e con la semplicità delle parole di un ragazzo disilluso che si è fatto uomo ci fornisce la sua chiave di lettura della vita, tra predati e predatori, crudamente realistica.

Un libro che mi ha entusiasmata nella sua semplicità e che tutti dovrebbero leggere. Io l’ho appena finito e avrei già voglia di ricominciarlo.

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Paolo Malaguti


Paolo Malaguti è nato a Monselice (Padova) nel 1978. È autore di Sul Grappa dopo la vittoria (Santi Quaranta 2009), Sillabario veneto (Santi Quaranta 2011),I mercanti di stampe proibite (Santi Quaranta 2013), La reliquia di Costantinopoli (Neri Pozza 2015, con cui ha partecipato al Premio Strega), Nuovo sillabario veneto (BEAT 2016), Prima dell’alba (Neri Pozza 2017), Lungo la Pedemontana. In giro lento tra storia, paesaggio veneto e fantasie (Marsilio 2018) e L’ultimo carnevale (Solferino 2019). Per Einaudi ha pubblicato Se l’acqua ride (2020 e 2023, premio Latisana per il Nord-Est ex aequo, premio Biella Letteratura e Industria, e finalista al premio Campiello), Il Moro della cima (2022, premio Mario Rigoni Stern e premio Monte Caio) e Piero fa la Merica (2023).

A cura di Chiara Forlani

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