Sangue caldo




 Sangue caldo

di Kim Un-Su 

HarperCollins 2022

Kyungran Choi e Lise Charrín dal coreano al francese

Alberto Pezzotta traduzione dal francese

Thriller, pag.448

Sinossi. Dopo il grande successo de “I cospiratori”, il nuovo thriller coreano di Un-Su Kim. Nella città dominata dalle gang, Huisu è il braccio destro di un boss della mafia di Busan. Arrivato a quarant’anni si trova a fare il bilancio della sua vita tra attività illecite, carcere ed esecuzioni per conto di altri, ed è deludente: vive in una stanza squallida, solo, indebitato e nel suo orizzonte esclusivamente notti al casinò a sperperare denaro. Sarà il suo sangue caldo a spingerlo a sconvolgere tutto e le cose andranno fuori controllo.


Recensione di Samanta Sitta

“Sangue caldo” è un thriller ambientato in Corea, a Guam, un quartiere della città portuale di Busan. Siamo nel 1993 e attorno all’albergo Mallijang prolifera una malavita tanto attiva quanto diversificata: Huisu, il protagonista, lavora all’hotel. Dovrebbe essere il direttore, il braccio destro di zio Sohn, il vero proprietario dell’albergo, ma di fatto è una sorta di jolly. Zio Sohn lo considera il più sveglio e capace dei suoi uomini e affida a lui gli incarichi più diversi.

I due si trovano spesso a discordare sulla miglior linea d’azione. Huisu è una testa calda: è un uomo emotivo, irascibile, che talvolta reagisce in modo eccessivo. Zio Sohn invece è anziano e con l’età è diventato un uomo prudente, che preferisce dedicarsi ad affari marginali e schiva quelli più redditizi e rischiosi. La sua prudenza deriva dall’esperienza diretta di tanti affiliati e familiari, incarcerati o uccisi per le loro leggerezze.

E dunque, tra condanne, soggiorni in carcere e affari tanto illeciti quanto incerti, “Sangue caldo” descrive una realtà effimera quanto un fiocco di neve, in perenne mutamento.

È la realtà del crimine, in cui alleanze e faide possono nascere e scomparire con la stessa velocità di un sogno. Questo mondo è descritto attraverso episodi paradossali, che all’inizio non permettono di orientarsi facilmente nella trama e possono dare l’impressione di episodi slegati tra loro. Solo nella seconda metà del libro vedremo i fili riannodarsi.

I traffici di zio Sohn ci permettono di accompagnare Huisu alla scoperta di altri quartieri e luoghi di Busan, teatro di pagine davvero peculiari. Ci viene raccontata la storia di Wollong, il quartiere dei bar, e quella di Wanwol, il distretto dei bordelli. Ci vengono mostrati traffici talmente redditizi che nessun clan ne ha il monopolio, ma di cui tutti beneficiano: malavitosi, ex membri delle forze dell’ordine, o loro familiari, persino il cognato di un importante procuratore. Pensando alla guerra al crimine organizzato iniziata dal governo precedente, questa sorta di non belligeranza fa sorridere e stupisce allo stesso tempo.

Sono inevitabili i dubbi su quanto sia diffuso questo costume. Accade solo in Corea, o questa commistione del mondo legale e ufficiale con quello malavitoso è più diffusa e frequente di quanto crediamo? Qui viene descritto come un fatto totalmente naturale e queste pagine mi hanno suscitato qualche brivido di disagio.

“Sangue caldo” ci guida, una scena dopo l’altra, in un mondo dove l’unico dio è il denaro e tutti sono suoi fedeli e devoti adoratori. È un mondo che rimane a fatica in equilibrio tra ipocrisia e avidità, e lealtà e rispetto, in cui i due estremi si contaminano senza sosta e lottano in ogni momento, persino nello stesso cuore.

«Huisu si alzò, aprì una finestra e si accese una sigaretta. Sulla spiaggia, le donne di un’impresa di pulizie raccoglievano con lunghe pinze i rifiuti sparsi sulla sabbia bianca: bottiglie rotte, lattine, alghe, pezzi di plastica… Una volta pulita, avrebbero fatto venire dei camion di sabbia per rinterrarla. Ogni anno, sicuramente a causa del riscaldamento globale, il mare si mangiava un pezzo di spiaggia. Le onde si portavano via tutta la sabbia e dopo l’estate rimanevano solo i ciottoli. E ogni anno servivano più camion. Un andirivieni insensato che ricordava a Huisu la propria vita.»

Questo è uno dei momenti di “Sangue caldo” che ho trovato più rappresentativi dei conflitti interiori di Huisu, ma anche di un’intera generazione, se non forse di tutta l’umanità. Dopo tanto duro lavoro e sacrifici, cosa rimane? Una spiaggia sporca da pulire continuamente, in un ciclo tanto eterno quanto snervante.

Ci fa intuire l’assurdità del nostro affannarci in cerca di un risultato, che sia una promozione, un buon matrimonio, un affare redditizio o qualsiasi altra cosa. Una volta soddisfatto il desiderio, la marea riporterà gli stessi identici bisogni, sempre più forti, e la frustrazione, come fa il mare,  eroderà le nostre belle spiagge, proprio come la nostra serenità.

Il “Sangue caldo” di Huisu lo porta a vivere situazioni difficili, tra risse e regolamenti di conti, l’onore e la lealtà non gli hanno mai permesso di avere una vita soddisfacente e avverte il peso di quarant’anni passati da orfano, a tentare di arrabattarsi in ogni modo legale e non, senza prospettive, ma un tradimento ai danni di zio Sohn potrebbe metterlo al centro di una faida pericolosa. Qual è la scelta migliore?

Cambierà davvero vita? È l’occasione che aspettava per smettere di essere un balordo dal sangue caldo e diventare un’altra persona, o continuerà a portarsi sempre nel cuore quella natura e quel vissuto? Viviamo con lui questa angoscia, il dibattersi tra le possibilità che sembrano allo stesso tempo giuste e sbagliate, e finiamo per riconoscerci in entrambi i punti di vista. Possiamo solo seguire i colpi di scena,  che seguiranno senza respiro, con le dita incrociate.

Morire insieme o vivere insieme: in fondo tutto si riduceva a questo.”

Sangue caldo” descrive la parabola che ognuno di noi affronta nella propria vita: iniziamo tutti con grandi sogni, tanto entusiasmo e voglia di fare, ma crescendo li (ci) ridimensioniamo sempre di più, fino ad accontentarci dello stretto indispensabile.

Io come lettrice posso solo ammirare la maestria di Un-Su Kim, che ci ha trascinati in questo mondo senza permetterci di intuire, nella prima metà della narrazione, dove ci avrebbe condotti.

Inizialmente non sono riuscita a vedere i nessi più profondi della narrazione. 

Il lettore viene sviato dall’alternanza di aneddoti, a volte cupi, a volte quasi comici, e fatica fino all’ultimo a intuire la portata di quanto viene narrato.

Sangue caldo” è una lettura godibile, seppur con momenti di crudezza e violenza che la rendono non adatta a tutti. Mi sono immersa in questa realtà coreana, tanto lontana dalla nostra per alcuni dettagli, ma incredibilmente vicina per altri aspetti. Qui non abbiamo jjajangmyeon o soju, né bistecche di balena, ma anche qui conosciamo le vendette trasversali, i ricatti, la corruzione e tanti mali che affliggono ogni luogo del mondo, perché sono i mali connaturati all’essere umano, quando è mosso unicamente dall’avidità.

Chi ama le descrizioni essenziali apprezzerà la prosa di Un-Su Kim, che indugia su pochi tratti, soprattutto se sono utili a caratterizzare un personaggio o un luogo importante per la storia, ma la narrazione non cincischia con mille aggettivi e dettagli. Scrive come se stesse raccontando qualcosa a un amico, con tono colloquiale e franco che si adatta al contesto povero descritto, come se fosse la voce di tutti gli spiantati di Guam.

“Sangue caldo” è un thriller che sa indurre riflessioni interessanti, a tratti scomode.

Lo consiglio a chi vuole conoscere meglio la realtà della Corea del Sud,  trovandosi  coinvolto in intrighi e conflitti di potere, insieme a un protagonista diviso tra la sua natura ribelle e la prudenza che ha imparato a sviluppare con l’età, tra le grandi ambizioni e il bisogno di una vita normale. Immedesimarsi in lui, nelle sue frustrazioni e nei suoi desideri, è terribilmente facile.

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Kim Un-Su


Un-Su Kim è nato nel 1972 a Busan, nella Corea del Sud, ed è autore di numerosi romanzi di successo, tra cui “I cospiratori”. Ha vinto il Munhakdongne Novel Prize, il premio letterario più prestigioso della Corea, ed è stato nominato per il Grand Prix de Littérature Policière nel 2016.

A cura di Samanta Sitta

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