Speciale. Ricordo Sergio Altieri




16 Giugno 2020

Speciale Ricordo Sergio Altieri

A cura di Sabrina De Bastiani


Sergio Altieri L’uomo e(s)terno.  Non ho conosciuto Sergio Altieri. Eppure sì. Per via di una di quelle rare combinazioni di incontri, passioni comuni, scambi che, ti rendi conto poi, tassello dopo tassello, ti portano e convergono in un’unica direzione. Che in questo caso indossa il nome ed il cognome dell’autore, nel senso più ampio del termine, che oggi andiamo a raccontare. Non dico ricordare, perché il dato principale, l’elemento forte e primo è che nessuno che lo abbia conosciuto lo ha dimenticato. Le combinazioni di cui accennavo sopra hanno invece i volti e le pagine belle di tanti autori che ho avuto  ed ho il grande piacere di frequentare nei loro scritti e di conoscere. Hanno il sapore degli scambi di opinioni, delle conversazioni sulla scrittura, sulle storie. Hanno il trait d’union, in questo caso,  della figura di Altieri. Gli saranno senz’altro fischiate le orecchie, con il volume degli effetti speciali che sapeva creare nei suoi libri, perché il suo nome è sempre saltato fuori  senza essere indotto da alcuna domanda specifica, tranne in un caso ma solo a causa di una dedica che avevo letto e che mi aveva particolarmente toccato.  Mi si è parlato di Sergio Altieri con spontaneità, affetto, commozione, sorrisi belli, stima professionale e umana. Sempre al presente, come se fosse presente. Lui che tanto ha immaginato e anticipato del futuro. Ecco, la cosa più bella che mi hanno regalato gli amici di Sergio Altieri, è la sua presenza. E la voglia di avvicinarmi al suo mondo, attirata da un grandissimo profumo di pulito, mi si passi il termine  e lo si legga nel più alto dei suoi significati.  Dietro consiglio di un autore e grande amico mi sono trovata a divorare in particolare un libro firmato Altieri, “L’uomo esterno”(Alan D. Altieri, TEA). Le prime pagine mi hanno presa per le spalle e scossa fortemente, direi shakerata,poi sono stata immediatamente catturata da una cifra davvero unica, da uno stile impattante, preciso, meticoloso, allo stesso modo avvolgente. Immaginifico, ma così reale nei presupposti alla base. Altieri mi ha lasciato attraverso il suo scrivere, la sensazione forte di un autore che osservando un bruco sapeva vedere la farfalla, prima ancora che essa fosse. In principio avevo pensato di recensire il romanzo, e ne avevo anche scritto, salvo poi cestinare tutto e scrivere di impulso queste righe.  Mi sono resa conto che L’uomo esterno”,  colui che arriva da fuori ed entra nella vita delle persone, per chi ha avuto il piacere, la fortuna di incontrarlo, di averlo accanto, è proprio lui, Altieri stesso, al netto delle implicazioni etiche e morali del personaggio inventato e protagonista del romanzo.  Mi sono resa conto che, in quest’ottica, nel titolo “L’uomo esterno”, ci balli una s di troppo, perché il segno che Sergio ha lasciato, e che andiamo ora a ritrovare nelle parole che gli hanno dedicato questi amici, è umanamente ed artisticamente indelebile. Ringrazio dal cuore Marina Di Guardo, Danilo Arona, Daniele Cambiaso, Andrea Carlo Cappi, Luca Crovi, Romano De Marco, Andrea Novelli e Gianpaolo Zarini per  questo dono prezioso, le loro emozioni.

Roger, that.

Sabrina De Bastiani  

 

 

 

 

Sergio

Ricordo ancora la telefonata di Giulia, nostra comune amica ed editor di Feltrinelli. Paralizzata, incapace persino di ribattere, ero venuta a sapere che te n’eri andato. Ci ho messo mesi a rendermi conto che era vero. Tu, sempre così presente, avvolgente. Pronto ad ascoltare, incoraggiare, aiutare.

Una persona come te, quando non c’è, manca più di altri. Lascia un baratro che rimane vuoto e gronda sangue. Terra desolata che, come nei tuoi geniali romanzi, è stata oltraggiata dalla furia dirompente dell’Apocalisse. A distanza di tre anni faccio ancora fatica a credere che non potrò più ascoltare la tua voce. Ti racconto del mio ultimo romanzo, ricordo i tuoi preziosi suggerimenti, i tuoi editing, più efficaci di mille scuole di scrittura.

Mi parlavi spesso della tua infanzia e mi sembrava di vederti, bambino più maturo della tua reale età anagrafica, assumerti compiti e responsabilità più grandi di te. Hai sempre pensato agli altri e poco a te stesso. Eri geniale, ma dentro, nel nucleo più profondo e nascosto, eri ancora quel bambino che si dava da fare per aiutare, che aveva disperatamente bisogno di sentirsi apprezzato e amato.

Non ho mai visto una tua foto di quando eri piccolo, ma ti immagino con lo stesso sguardo profondo, dolente che avevi da adulto. Non smetterò mai di parlarti e di riferirti i miei traguardi e le mie sconfitte, non smetterò mai di essere grata per i tuoi insegnamenti, la tua comprensione, il tuo affetto.

Sei stato un grande scrittore, sceneggiatore, traduttore, editor, ma soprattutto un impareggiabile essere umano.

Marina Di Guardo

 

 

Sergione in Zona Zero

Nell’estate del ’98 ho conosciuto Sergio di persona. Come autore lo seguivo sin dagli anni ’80, da quando un libro dal titolo Città oscura mi conquistò, perfetto equivalente letterario del noir metropolitano, screziato di fantastico e horror, e del miglior Carpenter, quello di 1997 Fuga da New York e Distretto 13 le brigate della morte. Rimandi che erano e restano puramente casuali perché Sergio non copiava nessuno ma qualcuno ha copiato lui.

Da quel momento non mi feci mancare nulla e i successivi Alla fine della notte, L’occhio sotterraneo, Corridore nella pioggia, Scarecrow mi confermarono che quello scrittore stava diventando un mito personale perché dava corpo con una prosa secca e paradossalmente musicale ad alcuni tormentoni del mio immaginario che con evidenza erano tali anche per lui.

Nel ’98 si era  alla seconda edizione del festival letterario Chiaroscuro, ricca di ospiti internazionali che arrivavano ad Asti un po’ da tutto il mondo: personaggi come Jerome Charyn, Daniel Chavarria, Luis Sepulveda, Paco Ignacio Taibo II, Donald E. Westlake, e tra gli italiani, Bruno Arpaia, Marco Buticchi, Enrico Deaglio, Ivan Della Mea, Gianni Minà e Laura Grimaldi. E appunto Sergio, presentato nel cartellone con il suo nome “da scrittore”: Alan D.

Mi aggiravo appunto un pomeriggio in attesa di un evento per la via antistante la Biblioteca Consortile quando, accompagnato da Laura Grimaldi, mi si avvicinò un uomo alto e ben piantato, folti baffi, che con voce baritonale mi fece un affondo indimenticabile: Ciao, sono Sergio Altieri, vorrei conoscerti, ammiro molto il tuo lavoro.

Adesso una pausa e una precisazione: è impossibile per me raccontare di Sergio senza divenire autoreferenziale. Lo è per me come per molti altri che lo hanno conosciuto. Quindi corro il rischio e respingo al mittente le accuse – non dette, ma in silenzio formulate  e pensate in primo luogo da me – di mettere il proprio io al centro di un “coccodrillo”. Non è proprio il mio caso perché l’improvvisa morte di Sergio, avvenuta nella notte tra il 15 e il 16 giugno 2017 mi ha travolto come un TIR. Sono figlio unico e il pomeriggio del 16 ho capito che significa perdere un fratello.

Tornando al ’98, dato che mi stava parlando uno dei miei “autori-mito”, non è che il mio lavoro in quel momento fosse chissà che cosa. Più che altro saggistica, per capirci, ma di romanzi cartacei solo uno, uscito in sordina. Anzi, proprio di nascosto. Per dire che come autore ero proprio di nicchia, se non di loculo – ed ero già piuttosto vecchio, vicino al mezzo secolo.

Insomma, non potevo che rispondergli così: Come sarebbe a dire che tu ammiri il mio lavoro? Tu sei l’uomo di Città oscura e ho detto tutto!

Ci stringemmo la mano (la mia scomparve nella sua) e diventammo grandi amici, veri. Proprio per simpatia, per gusti personali molto affini (non tutti, su Tarantino e Lynch la pensavamo in modo diametralmente opposto) e per condivisa filosofia della vita.  E so bene che questa storia la possono raccontare in tantissimi perché quello che vi ho descritto era il normale approccio di Sergio. Lui, importante per davvero, faceva sentire importante il prossimo. Anche perché in lui viveva l’anima di un genuino talent scout, sempre alla ricerca di talenti “sodali” e a lui simili non tanto da poter lanciare nel mondo dell’editoria quanto per “fare delle cose assieme”.

Ma qui non voglio occuparmi della storia pubblica. I ricordi più belli appartengono al periodo “di Bassavilla”. Per colpa mia Alessandria lui la chiamava con il nome d’arte e io ero “il Palero di Bassavilla”. Veniva spesso a trovarmi – anzi a trovarci, con Marenzana, Bona, Claudia Salvatori, Edo Rosati, Fabiana e altri – e io qualche volta lo ricambiavo a Milano. Letteratura, libri, editoria occupavano una piccola percentuale dei discorsi intrattenuti a tavola. Si parlava – io tentavo di farlo sempre in modo scherzoso perché nulla era più appagante della sua risata – del mondo che deragliava sempre più, nutrendo così la sua straordinaria letteratura e le nostre più modeste, sempre comunque declinate all’ombra dell’Orologio dell’Apocalisse.

Ci sono cose che restano nella memoria a proposito di un amico che se ne va per sempre. Che se ne va, come lui, all’improvviso, quasi a tradimento (per capirci). La sua risata, come ho già accennato, e la sua voce. Sergio era dotato di una voce meravigliosa. Avrebbe potuto fare nella vita l’attore, il doppiatore, con quella voce che si ritrovava. E poi, scendendo nell’ovvio che sanno tutti quelli che l’hanno conosciuto: la bontà, l’altruismo, la sua concezione di “consorteria letteraria”, il metterci la faccia sempre.

Da quel giorno ad Asti ho di sicuro avuto un motivo in più per non perdermi un libro di Sergio. Quelli degli ultimi anni sono tutti autografati. L’ultimo, Magellan, mi è giunto una decina di giorni prima della sua morte con dedica e firma. E ancora oggi non ho aperto quelle pagine.

L’ho sentito al telefono una settimana prima del 16 giugno 2017. «Ehi, man, ci vediamo a Bassavilla!».

Io il 16 giugno 2017 avevo deciso di non scrivere più una riga di narrativa. Quel mondo che Sergio rappresentava, senza Sergio, per me non aveva più senso. Per un po’ è andata così. Dopo un anno ho cambiato idea. Avrei continuato un piccolo filone di narrativa “alla Altieri”, quel che potevo produrre nella mia vita sempre un po’ a ostacoli, nel suo segno e con le sue tematiche. So che lui approva. Così dal suo Zona Zero del 2009 (Bad Prisma, Mondadori) sono nati Buco di Verme (Dark & Weird, a cura di Luigi Boccia e Nicola Lombardi, Weird Book, 2017) e Nemesi – A Sequence Plan, in fase di pubblicazione in occasione del terzo anniversario della sua dipartita. Sono quasi dei sequel per i quali ho pregato Sergio, che sento molto vicino da tre anni a questa parte, di invadermi la mente e l’anima durante la scrittura. Così è accaduto. E continuerò. Perché « Le Zone Zero, prima a macchie di leopardo sulla pelle del pianeta, poi invadono tutto il pianeta che diventa una tombale, definitiva Zona Zero. The Killzone, concetto altrettanto semplice quanto efficace: sta là dove l’Uomo incontra la sua Nemesi e paga l’ultimo pedaggio. Dove il rimorso si materializza, alla lettera. A onore della logica del Mega, “il Mega-Spettro» (Sergio Altieri, 2015).

Danilo Arona

 

 

Non ho avuto la fortuna di conoscere Sergio Altieri approfonditamente, ho avuto solo alcuni contatti marginali e se sono qui a parlarne è perché chi ha curato questo “speciale” gentilmente ha voluto considerare quanto lo ammirassi come uomo, autore e come curatore della narrativa da edicola Mondadori. Porto, quindi, un piccolo, minuscolo ricordo dalla periferia remota di quel grande universo narrativo e di relazioni umane che è stato Sergio “Alan D.” Altieri, il tipo di ricordo che forse potrebbero portare migliaia di fans e lettori come me.

Lo vedevo spesso alle presentazioni, lo ascoltavo con immenso piacere: persona diretta, efficace nella comunicazione; emanava carisma, esperienza, progettualità. Incuteva anche una certa soggezione, sotto il profilo fisico, perché era imponente, possedeva una voce profonda, ma era sufficiente formulare una domanda o intavolare un dialogo per cogliere il tratto umano genuino e gentile. Lo avvicinai in diverse occasioni, vivevo la sua schietta umanità grazie al fatto di conoscere alcuni scrittori che avevano trovato in lui un amico, un punto di riferimento umano prima ancora che artistico: penso, ad esempio, a Ettore Maggi, Claudio Asciuti, Claudia Salvatori e all’ottimo traduttore Massimo Caviglione, che purtroppo ci ha lasciati di recente.

Dal 2006 al 2011 diresse le collane da edicola della Mondadori, il che significava dirigere il Giallo, i Classici del Giallo, Segretissimo, Urania. Mi piacquero molte sue idee, che mi sembrarono innovative e, comunque, volte ad ampliare il target della narrativa da edicola di Segrate: ad esempio, nel 2008 lanciò la collana Segretissimo SAS dedicata a De Villiers e al suo Principe Malko Linge, iniziando una riproposizione metodica e filologicamente ordinata di un caposaldo della narrativa spy. Soprattutto, però, puntò forte sugli autori italiani: “we have the men, we have the means”, scrisse in un suo messaggio. E col piglio del condottiero varò, ad esempio, “Il Giallo Mondadori presenta” con autori come Claudia Salvatori, Barbara Baraldi, Stefano Di Marino, Alda Teodorani, Alessandro Defilippi, Piernicola Silvis e altri ancora, che non cito solo per motivi di brevità. Analogamente, varò Epix, la collana supplemento di Urania che abbracciava il fantasy, l’horror e il soprannaturale, diffondendo volumi eccellenti, tra gli altri, di Valerio Evangelisti, Giulio Leoni e Danilo Arona.

In un progetto antologico, poi purtroppo naufragato, fui coinvolto anch’io ed ebbi in quell’occasione i miei unici scambi da autore con Alan Altieri: mi trovai davanti un uomo di profonda competenza e grande umanità. Sapeva motivare le sue truppe, forte della credibilità che gli derivava dalla sua eccellente caratura di scrittore, traduttore e sceneggiatore (Uno bianca per me è un capolavoro): il suo modo di raccontare era riconoscibile, unico, incideva nella carne come un bisturi. E ha lasciato testimonianza di sé in romanzi che ormai sono dei classici. La trilogia di Magdeburg, il ciclo Sniper non rappresentano solo storie che avvolgono e catturano, ma anche un altissimo insegnamento di stile.

Ci ha regalato una grande eredità, Sergio Altieri, ma sempre di più ci accorgiamo di quanto sia incolmabile il vuoto che ha lasciato.

Daniele Cambiaso

 

 

Countdown to Armageddon.

di Andrea Carlo Cappi

Ricordi che generano ricordi, in un maelstrom senza fine.
Sergio “Alan” D. Altieri aveva studiato Ingegneria meccanica al Politecnico di Milano, passando l’esame di Scienza delle costruzioni con un certo professor Cappi, mio padre. Una volta incrociò il docente a uno dei numeri di telefono che gli avevo lasciato, non avendo ancora un cellulare. Non si riconobbero come insegnante e allievo, ma come lettore e autore. Sergio e io avremmo scoperto il collegamento universitario solo parecchio tempo dopo.

Io lo incontrai nei primi anni Novanta – quando lavorava soprattutto a Hollywood e viveva più sul Wilshire Blvd., Los Angeles, che a Città Studi, Milano – a una delle serate letterarie organizzate da Andrea G. Pinketts. In quell’occasione raccontò, con il suo caratteristico accento, delle  recenti L. A. Riots che avevano messo a ferro e fuoco la città dopo il verdetto di assoluzione per gli agenti del caso Rodney King: un episodio di “uso eccessivo della forza” da parte della polizia nell’arresto di un nero (vi fa venire in mente qualcosa?) «Mi sembrava di vivere in un film. Che avevo scritto io.» Si riconosceva la sua visione dei nostri tempi come un inevitabile countdown to Armageddon.

Nel tempo ci siamo incrociati un’infinità di volte, tra  collaborazioni, presentazioni, interviste, drink, oltre a pranzi e cene del Forum a lui dedicato su Internet; ho ancora la tessera del gruppo, scampata al mio recente trasloco. Quando nel ‘95 curai la prima antologia tutta italiana per Il Giallo Mondadori il suo era uno dei nomi in cima alla lista. Ma imparai che chiedergli un racconto poteva essere rischioso, perché a volte le sue storie si espandevano fuori controllo: sicché 357 Hydra-Schock non fu pronto per quell’antologia e sarebbe uscito a distanza di anni. Altieri, beninteso, si fece perdonare: in quell’occasione mi aveva messo in contatto con Stefano Di Marino (che scrisse una novelette perfetta per la raccolta), e in seguito mi consegnò puntualissimo racconti per la mia rivista e per un’agenda che curai nel 2003.

Ricordi. Altri ricordi. Un’intervista a fine anni Novanta, per il lancio della serie Sniper su Segretissimo Mondadori, in cui lo definivo “Omero tecnologico”… Una mattinata al Noir in Festival di Courmayeur, valutando insieme come centrare da una terrazza la cabina della funivia del Monte Bianco… Un evento alla Fnac di Milano in cui fu lui – l’araldo della distruzione – a dare a caldo la notizia dell’impatto di un aereo contro il grattacielo Pirelli… Un viaggio in treno nel 2002 verso Imperia, per tenere una lezione sull’Undici Settembre: ingannammo il tempo inventandoci un ipotetico B-movie intitolato Python Beach, con una ventina di possibili sequel. Laddove nelle mie frequenti trasferte ferroviarie con Pinketts il passatempo era, invece, improvvisare pagine immaginarie di un romanzo apocalittico di Altieri; un gioco che Pinketts ha ripreso nel suo ultimo libro, E dopo tanta notte strizzami le occhiaie, con un personaggio alla Russell Brendan Kane trapiantato in un contesto surreale.
Il “Big Bad Wolf” mi diede preziosi consigli per Babilonia Connection, un romanzo della mia serie Nightshade, della quale avrebbe pubblicato – come curatore dei periodici Mondadori – un paio dei titoli successivi.

Per fortuna il primo dei due, Destinazione Halong, era il mio romanzo più influenzato dal suo stile, il che mi mise per sempre al riparo dai suoi editing al napalm, di scuola hollywoodiana. Su questo fronte avevamo filosofie molto diverse.  Recentemente ho inserito nella serie uno sniper anonimo ma riconoscibile, protagonista anche del racconto pubblicato simultaneamente in questi giorni in appendice a un mio Segretissimo e nel volume-omaggio collettivo Cronache dell’Armageddon. Tuttavia tra i miei personaggi le sue preferenze andavano a Carlo Medina, con il suo cinismo tormentato. Un altro suo prezioso consiglio fu espandere un lungo racconto inedito di questa serie in un romanzo, che sarebbe divenuto Malastrana.

Nelle apparizioni pubbliche era irrestistibile come uno stand-up comedian in full auto: ricordo un suo esilarante monologo, che sarebbe stato da filmare, sugli stereotipi del thriller americano. Ironia al vetriolo a parte, non credo che il countdown to Armageddon gli addolcisse l’esistenza, specie quando le sue più fosche previsioni narrative trovavano conferma nella realtà. Come quando in Kondor, vincitore del Premio Scerbanenco, profetizzò un’upcoming Guerra del Golfo II. Per non parlare delle sue previsioni sul cambio climatico in Ultima luce. Del resto, una delle sue citazioni preferite veniva da una canzone dei Timbuk3 del 1986: “The future’s so bright I gotta wear shades”, ovvero “Il futuro è così radioso che devo mettere gli occhiali da sole”; il brano parlava, beninteso, di olocausto nucleare.

Alan D. non è più tra noi, da tre anni, ma ai vecchi compagni di eresie piace immaginarlo ancora sul campo di fuoco. Alle prime avvisaglie del Covid-19, Di Marino e io ce lo siamo visto in tuta biohazard, pronto a guidare un manipolo di superstiti alla riscossa. Il problema è che forse ha di nuovo ragione lui: i nostri tempi assomigliano spesso a un countdown to Armageddon.

Andrea Carlo Cappi

 

 

Due uomini e una cabina

di Luca Crovi

Nella mia posta ho ancora le sue mail in cui mi scriveva frasi del tipo: Luca, my Man oppure Ok, bro: ready to rumble!

Ogni volta che ci sentivamo quella lingua americana speciale con la quale era solito mescolare il suo italiano veniva fuori. E ricevere da lui quei messaggi roboanti e allo stesso tempo sintetici mi faceva sempre stare bene. Me li mandava per chiacchierare nel dettaglio le opere editoriali che stavamo portando a termine ma soprattutto erano messaggi cifrati in cui si preoccupava della salute di un amico e di quella della sua famiglia. Quando uno streptococco si divertì ad attaccare una delle mie gambe, costringendomi a non camminare per settimane, Sergio Altieri mi mandò una serie di messaggi di consigli medici e psicologici che servirono davvero a mettermi in piedi. Come un ninja infallibile o uno sniper preciso nel centrare i bersagli Sergione c’è stato in molti dei momenti cardine della mia vita di autore ed editor. E’ stato il primo a salire sulla barca dell’antologia salgariana Cuore di tigre che io e Claudio Gallo producemmo per Piemme con complici come Roberto Santachiara, i Wu Ming, Valerio Evangelisti, Simone Sarasso, Marco Buticchi, Carlo Lucarelli, Marcello Simoni, Luca Di Fulvio. E’ stato il primo a chiedermi di scommettere sulla mia passione per il noir coinvolgendomi nel progetto Anime nere, dandomi unico consiglio: cerca di essere il più cattivo possibile. E’ stato il primo assieme a Corrado De Rosa a commuoversi per un mio piccolo racconto dedicato ai bambini di Seveso dal titolo Una nuvola rosa. Sergione è stato nella vita capace di imprese che solo chi gli è stato accanto può comprendere e non solo come traduttore, editor, scrittore e vero e proprio scout della letteratura di genere. Fra queste ne vorrei ricordare una speciale che riguarda le settimane in cui per assistere sua madre isolata, affrontò una tempesta di neve incredibile passando i giorni a spalare tutto intorno alla piccola casa e cercando di sopravvivere all’emergenza come uomo e come figlio in una maniera davvero speciale. sotto la tormenta Sergio mi scrisse questo messaggio:

Luca: 1 grande grazie della tua presenza umana. Bene, venendo alla situazione climatica, dopo 36 ore di tempesta ininterrotta, con un ulteriore full 1 mt of snow scaraventato a questa quota (ma su altre colline dell’entroterra romagnolo e’ andata molto peggio) sembra che la “perfect storm” si sia attenuata. Da 48 non nevica e oggi e’ apparso un sole glaciale. All’esterno pero’ crescono dune di neve altre tre metri. Oggi sono riuscito a raggiungere un emporio x altre derrate e ho parlato con qualcuno che guida un piccolo caterpillar per cominciare a smuovere l’accumulo. Un’esperienza estrema, nessun dubbio.

Thanks for being there, bro! Grande abbraccio,

Sergio

Delle volte Sergio è stato davvero al centro di imprese epiche come quelle raccontate nelle sue storie e ha mostrato lo stesso coraggio dei suoi eroi. Gli piacevano le magliette e i pantaloni militari, gli zaini, gli occhiali a specchio. ogni volta che lo incontravo mi dava pacche forte sulla spalla, forti abbracci e stringeva la mia mano in maniera decisa. Mi guardava in faccia, mi strizzava spesso l’occhio in maniera complice e sorrideva. A Sergio le imprese sono sempre piaciute e per lui le sortite non erano mai solitarie ma di gruppo. E’ per questo che voglio raccontarvi di quando io e lui abbiamo fatto un doppio colpo che sembra incredibile, nel   marzo del 2010. Ci eravamo da poco sentiti perché il nostro comune amico Valerio Evangelisti stava poco bene di salute. Proprio pochi minuti dopo io e Sergio ricevemmo un’altra mail dagli Stati Uniti. Una risposta a una missiva intitolata “Italian radio Interview & beyond (from your Italian translator)”. A risponderci entusiasticamente era stato nientemeno che George R. R. Martin che nel giro di un solo scambio di inviti e saluti con me e Sergio aveva accettato di essere intervistato in esclusiva per la mia trasmissione Tutti i colori del giallo su Rai Radio2. Per un po’ riuscimmo a chattare con lui e a scambiarci opinioni sulla comune passione per Jack Vance e Sergione riuscì persino a portare a casa l’acquisizione italiana dell’antologia Songs of the Dying Earth. Per un po’ chiacchierammo con il creatore dell’universo delle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco tradotto a lungo con attenzione, estro e furore proprio da Sergio. Martin alla fine confessò che aveva paura che la sua voce non fosse perfetta per l’intervista radiofonica a causa dell’influenza che lo aveva fiaccato per settimane, personalmente gli risposi così:

No problem with the voice if you have a cold we can think you speak like Vincent Price, remember to send us your telephone number for calling you, have a nice day

Luca

E se pensate che la cosa sia finita li. immaginatevi che qualche ora dopo, dall’altra parte del mondo rispose a un mio messaggio Anne Rice. La mamma del vampiro Lestat, felice di un’intervista che le avevo fatto via mail tempo prima mi scriveva per dirmi che era disponibile anche a chiacchierare con me telefonicamente. E indovinate che giorno suggeriva per l’incontro? Lo stesso dell’intervista con George R. R. Martin. Chiami Sergione al telefono per comunicargli la cosa. “Per me non è un problema tradurre e intervistare anche lei. Però, Luca my man, ho letto solo Intervista col vampiro e visto il film non vorrei che poi ci trovassimo in una fuck situation se le chiedi dell’altro. Mi copri tu, bro, nel caso? Io sarò la tua voce ma tu devi fare il resto.”. Ovviamente io avevo le spalle coperte su tutte le opere della Rice avendola già intervistata e per quelle di Martin che non avevo letto contavo sulla preparazione rocciosa di Sergione. Anche perché, cosa che non avevamo raccontato a Martin, io avevo incontrato qualche settimana prima David Benioff, giunto in Italia per presentare il suo La città dei ladri. Immaginatevi cosa può vuol dire avere intervistato il produttore e creatore della serie televisiva Il trono di spade e l’ideatore di quelle storie molti mesi prima che la fiction andasse in tv e diventasse un cult di quel calibro. In quei momenti in cui la produzione stava cercando di dare un senso a tutta quella operazione che poteva anche rivelarsi un enorme fiasco. Ma la passione mia e di Sergione per anticipare i tempi e le mode è sempre stata proverbiale. Altieri arrivò in Rai puntuale e salì nei nostri studi. Dal suo zaino mimetico estrasse un paio di occhiali per leggere, una matita e un quaderno. io avevo con me dei fogli dove avevo appuntato una trentina di domande per la Rice e altrettante per Martin. Di solito intervisto a braccio ma questa volta dovendo incontrare due star del genere a breve distanza e su due fusi orari diversi non potevo di certo improvvisare né sbagliare. A parte, avevo preparato per Sergio i titoli delle opere di entrambi gli autori in inglese e in italiano per agevolargli il lavoro. “Ho già memorizzato i titoli a casa” mi disse Altieri restituendomi i fogli. “Dobbiamo essere rapidi e precisi, Luca my man”. E così, sicuri ci avvicinammo allo studio di registrazione. Il mio regista Alberto Fognini ci venne incontro con una faccia contrariata: ”Ci concedono la postazione solo per mezzora”. “E come facciamo? Sono due gli autori, e per ognuno ci vorrà almeno un’ora se non di più… Quando ci ricapita di averli a disposizione entrambi?”

“Si, lo so è per questo che ho chiesto se possiamo andare in sala doppiaggio”. “Stai scherzando, vero?”. “Non c’è altro spazio a disposizione”. “Ma è un buco!”. “Si, ma lì oggi è libero e non serve nemmeno un tecnico audio”. “Ho capito, ma hai presente quanto è grande la cabina?’”. Sergione ci stava ascoltando calmo e guardandomi sorrise. “Ci entro a fatica io, in quel buco!”. Sergio continuava a sorridermi. “Possiamo andare a vedere il posto di combattimento, bro?”. Camminammo per un po’ nel corridoio e raggiungemmo l’ascensore. Arrivati sulla porta di quello che era la sala doppiaggio Sergio mi diede una pacca sulla spalla: “Now, it’s war man”. Quando vide la cabina non batte ciglio. Era fatta per ospitare di solito un solo speaker, e di solito si trattava di persone molto magre. Al centro della postazione c’era un microfono davanti al quale c’era tutta la consolle di bottoni per la registrazione e un telefono per le chiamate esterne. Un solo seggiolino dietro il banco del minimixer. “Io posso sentirvi qui dall’esterno da quegli altoparlanti e darvi qualche suggerimento se avete problemi ma non ho la regia di quello che farete” disse Fognini.

“Che facciamo?”

“Siamo in missione per conto di Dio no, bro. O hai cambiato religione? E quando il gioco si fa duro i duri iniziano a giocare”. commentò Sergione. Si tolse lo zaino dalla spalla e ci mise dentro il taccuino, la matita e gli occhiali. E guardandomi disse: “Mi sa che ti tocca togliere anche a te un po’ di zavorra”. E così il mio golf e i miei appunti vennero depositati su un tavolo di fronte alla cabina assieme alla sua giacca. “Non ci sono cronometri alle pareti per cui useremo questo per i tempi” aggiunse Sergio mostrandomi il suo grosso orologio sportivo da polso. “Bisogna solo trovare un’altra seggiola piccola da fare entrare li dentro”. “Ci penso io”. Fognini sparì per qualche minuto e ritornò con un piccolo sgabello. “E adesso proviamo a entrare”. Per stare dentro alla cabina io e Sergio non solo saremmo stati uno attaccato all’altro ma avremmo dovuto spostarci di lato ogni volta che uno dei due si fosse avvicinato al microfono per parlare. La porta insonorizzata della piccola cabina ci riduceva ulteriormente le possibilità di movimento. “Li dentro ci mancherà l’aria”. “Sicuro, ma fra una session e l’altra dovremmo poter respirare un po’”. “Alberto ci recuperi delle bottigliette d’acqua?”. “Certo”. “Siamo sicuri sugli orari del fuso orario? Non vorrei che cannassimo come quella volta con Alan Moore…”. “Hey man, qui non possiamo sbagliare nulla, siamo o non siamo dei professionisti”. E così Luca Crovi e Sergio Altieri si chiusero per 4 ore in una cabina di doppiaggio e chiacchierarono intensamente con Anne Rice e George R. R. Martin. L’impresa di tradurli l’ha fatta Sergio e la leggenda l’hanno poi diffusa gli ascoltatori negli anni.

Luca Crovi

 

 

Conobbi Sergio a Milano, nel 2007, era diventato da poco direttore del Giallo Mondadori. Fu Raul Montanari a organizzare l’incontro,  a pranzo, in zona Porta Venezia. Avevo con me uno zainetto pieno di  romanzi da fare autografare al “Big Wolf”, pagine che ho adorato e sulle quali mi sono formato come narratore: Città Oscura, L’uomo esterno, la trilogia di Magdeburg. In genere arrivo in anticipo ma quella volta ero in ritardo per colpa di uno sciopero dei camionisti che aveva paralizzato le autostrade.  Sergio, a dispetto del carattere generoso e della grande bontà d’animo, aveva un aspetto che incuteva un certo timore reverenziale. Trovai lui e Raul già seduti e, mortificato, mi scusai accusando gli autisti dei TIR, colpevoli di  aver bloccato l’Italia intera. Sergio si alzò, mi strinse la mano (quasi stritolandomela) e con aria di rimprovero mi disse: “Romano… questo paese, ogni tanto, ha bisogno che qualcuno gli lanci in faccia una bella secchiata di letame!”.  Dopo il pranzo tirai fuori i libri da autografare. Quando fu il turno di Città di ombre non potei trattenermi dal dirgli quanto ero rimasto impressionato dalla lunga sequenza nella quale Alan Wolf e un artificiere devono disinnescare una bomba dal micidiale potere distruttivo. Mentre firmava gli domandai “Scusa Sergio, posso chiederti come fai a conoscere tutti questi dettagli tecnici sugli ordigni esplosivi?” La sua risposta fu spiazzante: “Ma sai, Romano, basta guardare su dei libri… e per il resto ho inventato.” Questo era Sergio Altieri. Per me è stato un amico, un maestro, un esempio. Porterò per sempre il suo ricordo nel cuore.

Romano De Marco

 

 

Sergio Altieri, l’uomo. Alan D. Altieri, lo scrittore.

Agli antipodi?

Al contrario, un’unione di quelle poi patteggiate con un rito di sangue, come facevano I Navajo.

Sergio era un uomo d’onore, dava peso alle parole, credeva nel legame forte dell’amicizia.

Basta ricordare un aneddoto che ci riguarda. La presentenzione di “Per Esclusione” alla Libreria di Corso Buenos Aires a Milano. Il moderatore, Luca Crovi.

Un accordo preso da tempo, ma che come in tutti gli imprevisti che ci cambiano le strade, possono essere anche disattesi. Ed è qui la differenza tra un uomo di parola e chi promette senza dare poi troppo peso se le cose dovessero cambiare al punto da non poter mantenere la promessa.

Sergio era dovuto andare a Los Angeles all’improvviso e il suo volo di ritorno atterrò proprio il giorno stesso della presentazione.

Noi eravamo con Luca Crovi, alla libreria, quando una telefonata spaccò l’attesa e ne fece già prodromo di un evento speciale.

“Hey kids, sto arrivando.” La voce profonda, di un cowboy delle Mesas.

Arrivò, Sergio, il jet lag pesante incollato addosso, le ore di volo a pesargli sulle sue spalle possenti.

Arrivò, Sergio e diede vita a una delle presentazioni più belle che facemmo.

Lui ascoltava, sapeva ascoltare, altra dote rara in una società fin troppo parlante.

Parlavamo noi e lui ascoltava. Aveva sempre quegli occhi attenti, trasparenti, sinceri.

Poi Crovi gli passò la parola e sembrò che il tempo si cristalizzasse dentro la sua voce, che il suo tono fosse addirittura immagine, suoni da vedere, da conservare.

Sergio sapeva intrattenere da signore e il suo slang non cozzava affatto con la passione con cui interveniva in una discussione. Conosceva la vita, ci camminava dentro con mappe certe, ma trovabili per pochi. Era un esploratore dell’esistenza, un fine conoscitore dell’uomo. Dei suoi misfatti, dei suoi errori, dei suoi pregi.

Alan D. Altieri.

Il narratore che ha portato la scrittura agli estremi, proprio dentro quel buio dove sapeva muoversi grazie ad altre mappe. La conoscenza, l’acume, l’ntelligenza, la cultura sconfinata.

Andrea G. Pinketts, un altro uomo perduto troppo presto, disse una volta: “Dopo “Guerra e Pace”, c’è Alan D. Altieri.”

Un sigillo tra persone che si stimavano senza invidie, come deve essere tra pards.

E Pinketts aveva ragione.

I libri di Sergio sono epopee del nostro tempo, letture profetiche di quello che stiamo vivendo oggi.

Alan D. Altieri, aveva visto prima. Molto prima.

Ancora prima che l’uomo comprendesse di scendere sempre di più nell’abisso.

Alan D. Altieri aveva visto prima perchè aveva tutti gli strumenti per poterlo fare.

Cosa per pochi, soltanto per gli eccelsi.

“Città Oscura”, libro d’esordio, è un trattato del futuro, targato anni ottanta.

Alan D. Altieri, vedeva, tracciava, dettava la strada, ma non era un visionario. Gli era tutto ben chiaro dove l’Inferno ci avrebbe portato.

I suoi libri sono un compendio di trattato umano, un libro dei morti, sono l’Apocalisse che l’uomo si è creato e da cui non può fare più ritorno.

Ed è in questo punto di contatto che Sergio e Alan D. Atieri si fondono.

I valori di Sergio si travasano nei suoi personaggi e nelle sue storie.

Nessuno come Sergio Altieri ha saputo cogliere questo punto di non ritorno. È stato il precursore di anime nere, anime dannate, di anime in cerca di redenzione, attraverso una scrittura dirompente, senza compromessi, senza barriere. Sergio Altieri, il narratore è stato un principio, ma anche una fine, poichè nessuno ha saputo scrivere e narrare  con tanta potenza, dove l’immagine è forte ad ogni pagina e l’occhio vede prima di leggere.

Abbiamo collaborato con lui in tanti progetti e non vedevamo l’ora di rifarlo. Sergio è stato sempre un faro e fonte di apprendimento e continuerà ad esserlo. Ma soprattutto è un amico, un blood brother.

Il sangue del lupo scorre impetuoso nelle vene di chi lo ha conosciuto. Il rito del sangue è un rito di amicizia.

Be safe there, man.

Novelli & Zarini