Un’isola




Sinossi. Karen Jennings, una delle scrittrici più importanti del panorama sudafricano contemporaneo, arriva per la prima volta in Italia con il suo ultimo romanzo, finalista al Booker Prize: un toccante racconto sul senso di appartenenza e sul significato di “casa”. Su una piccola isola al largo della costa africana vive Samuel, il guardiano del faro. L’uomo, ormai anziano, non ha contatti con nessuno da vent’anni: ha costruito una barriera insormontabile tra sé e il mondo che lo ha ferito in maniera irreparabile. Ma un giorno il mare gli porta compagnia; quello che in apparenza è uno dei tanti cadaveri di profughi sospinti a riva dalle onde si rivela in realtà un uomo ancora vivo. Destabilizzato da questa nuova, inattesa presenza, Samuel viene travolto dai ricordi della sua vita sulla terraferma: ha visto il suo paese soffrire sotto i colonizzatori e lottare per l’indipendenza, per poi cadere sotto il dominio di un crudele dittatore; ha vissuto, in questa cornice, una drammatica vicenda personale, segnata dal fallimento e dalla perdita. Nel frattempo, sull’isola, il rapporto fra i due uomini comincia a prendere forma e, se da un lato Samuel trae beneficio dall’aver accolto lo sconosciuto in casa sua, dall’altro, silenziosamente, vive la presenza del profugo come una minaccia e, come faceva in gioventù, inizia a riflettere su cosa si intende per “terra”, a chi questa dovrebbe appartenere e fino a che punto ci si può spingere perché ciò che è nostro non ci venga sottratto.

 UN’ISOLA

di Karen Jennings

Fazi 2023

Monica Pareschi ( Traduttore )

Narrativa straniera, pag.192


Un’isola

A cura di Marina Toniolo


 Recensione di Marina Toniolo

Una vecchia gallina rossa che razzola nella terra cercando di beccare le granaglie e che viene attaccata dalle altre galline più giovani è il fil rouge del romanzo.

Samuel è come quella gallina, vecchio ormai, dopo due decenni passati nell’isola come guardiano del faro. Mani nodose, enormi, che hanno spaccato incessantemente pietre nei venticinque anni trascorsi in prigione.

Un corpo che risente gli affanni della vecchiaia, non più agile né scattante il cui duro lavoro ha profondamente scavato. Un faro da governare. Un’isola da assoggettare. Muri di pietra che cingono la casa e l’aia costruiti nel corso degli anni sempre a rischio crollo, un orto, le galline, le erbacce da estirpare che sempre ricrescono. Una vita in solitudine, un esilio voluto per voltare le spalle a un paese che lo ha maltrattato, picchiato, umiliato. 

Finché un corpo alla deriva approda alla spiaggia sassosa battuta dal vento e dalle onde incessanti. Un uomo, un profugo scappato da chissà quale posto assieme ad altre decine di persone la cui barca è affondata. Samuel raccoglie tutto quello che arriva sulla battigia: ogni cosa può essere utile. L’uomo tuttavia non può restituirlo all’acqua poichè è ancora vivo e il guardiano, con un crescendo di orrido per i peli che spuntano e per la grandezza di ciò che deve maneggiare, lo trasporta in casa.

Nei tre giorni che passano assieme Samuel ripercorre la sua storia e quella del suo popolo: esiliati dalla campagna con l’arrivo dei colonizzatori, passando per la cacciata degli stranieri e la conquista dell’indipendenza fino al rovesciamento politico dovuto all’elite militare in cui si insedia il Dittatore. Per i poveri come Samuel e la famiglia non cambia mai nulla; sempre difficile trovare lavoro, acquistare cibo e avere una vita dignitosa. 

Un’isola’ è un romanzo corale di intere popolazioni africane in cui pochi conquistano l’agio e i più vivono ai margini, arrancando ogni giorno fino alla lenta discesa verso la degradazione fisica e morale. Samuel scappa, trova rifugio nell’isola che diventa una sua proprietà: lui che mai ha potuto godere della crescita di un figlio ora alleva animali e coltiva la sua terra. Cosa vuole lo straniero che nemmeno parla la stessa lingua? In un crescendo di ricordi che si affastellano nella mente di Samuel, insorgono la paranoia e la rabbia verso un destino che non è mai stato magnanimo. 

L’unica cosa che gli venne in mente fu la parola che aveva pronunciato nella baracca di pietra: violenza – anche se adesso ne pronunciò un’altra, completamente diversa: ‘Mio!’. Si alzò in piedi e lo ripetè: ‘Mio, mio, mio!’”.

Karen Jennings ha una scrittura potente, fluida, capace di evocare l’isola dal nulla. Affronta temi di storia e di attualità con conoscenza e sensibilità, mettendosi completamente nei panni dei suoi personaggi.

Non è un romanzo che va affrontato a cuor leggero, certi passi sono duri come i sassi spaccati nei cortili delle prigioni sotto un cielo caliginoso. Fa riflettere, quello sì, e molto, sull’etica che impegna le persone nei cambiamenti socio-politici.

Consigliato?
Senza ombra di dubbio, il primo libro tradotto in italiano di questa autrice è uno schiaffo sulla guancia di chi rimane indifferente.

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Karen Jennings


nata nel 1982 a Città del Capo da madre di lingua afrikaans e padre inglese, ha conseguito un master in Letteratura inglese e Scrittura creativa presso l’Università di Città del Capo e un dottorato di ricerca in Scrittura creativa presso l’Università di KwaZulu-Natal. Ha pubblicato una raccolta di poesie, una raccolta di racconti e quattro romanzi. ‘Un’isola’, il suo ultimo libro, tradotto in diciassette paesi, è stato finalista al Booker Prize, con la seguente motivazione: «Un’isola racconta delle vite vissute ai margini attraverso la storia di un uomo che si è esiliato dal mondo conosciuto, solo per ritrovarsi chiamato al servizio degli altri, a loro volta esiliati dal mondo dalla crudeltà e dalle circostanze. È su queste basi che l’autrice costruisce abilmente un romanzo commovente e travolgente, fatto di perdita, sconvolgimenti politici, storia, identità, il tutto reso in una prosa maestosa e straordinaria».

A cura di Marina Toniolo 

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