VATICAN GIRL




A cura di Giulia Manna


La scomparsa di Emanuela Orlandi

Con testimonianze inedite e filmati originali dell’epoca, la serie su Netflix di Mark Lewis racconta le ombre attorno alla scomparsa della ragazza del Vaticano.

Trama

Nel 1983, una 15enne scompare nel nulla all’interno delle mura della Città del Vaticano, aprendo un mistero che attraversa quattro decenni di storia tra intrighi internazionali, Chiesa e mafia. 

Recensione

E’ il 22 giugno del 1983 e Roma è dilaniata dall’alta pressione quando la quindicenne Emanuela Orlandi sparisce nel nulla. La sua famiglia tutt’ora attende di conoscere la verità. 

Nei loro notiziari, gli americani definiscono ripetutamente questa vicenda come una storia degna di un romanzo di Dan Brown. Io sono fermamente convinta che nemmeno lui riuscirebbe ad inventarsi una storia così arzigogolata. 

Peccato che sia una storia vera. Emanuela è scomparsa ed ancora oggi la sua famiglia la cerca. Non smetterà mai di cercarla e noi dovremmo essere al loro fianco a chiedere le verità e rispetto, cosa che non hanno avuto in tutti questi anni. 

Emanuela chiama la sorella dalla scuola di musica, perché le si era avvicinata un rappresentante di prodotti Avon e non voleva tornare a casa da sola. Federica attende Emanuela nel posto concordato, ma la giovane non si presenta. Dopo un po’ di attesa, la ragazza torna a casa pensando di trovarla lì, ma nulla. Da allora nessuno ha più visto o sentito Emanuela.

Diversi giorni dopo la scomparsa, Papa Giovanni Paolo II si affaccia dal balcone del Vaticano, Paese di residenza della famiglia Orlandi e fa un appello ai rapitori. Per la prima volta si parla di rapimento. Cosa sa il Vaticano? Perchè parla di sequestro e non pensa ad un allontanamento volontario?

Roma viene tappezzata dai volantini. Tutti cercano Emanuela Orlandi, ma della ragazza non c’è traccia. Alla famiglia Orlandi iniziano ad arrivare delle telefonate da un presunto sequestratore. Si fa chiamare “L’Americano” e chiede il rilascio dell’attentatore del Papa Ali Agca.

Pare che i rapitori abbiano scelto una ragazzina tranquilla e di buona famiglia, solo perché cittadina del Vaticano al fine di ricattarlo. Le indagini però sono condotte in Italia, dove è avvenuto il fatto e pare senza la collaborazione dello Stato Pontificio. 

La docu-serie è fatta davvero molto bene. Filmati, foto, audio, atti processuali, testimonianze ripercorrono per l’ennesima volta il mistero di Emanuela Orlandi assieme ai suoi parenti. Vi gelerà il sangue per tutto il tempo.

Questa famiglia non meritava tutto questo. Non hanno solo perso una sorella o una figlia. Vivono nel dubbio aggravato dal fatto che tutti attorno sembrano sapere senza poter dire nulla.  Stendiamo un velo pietoso su chi in questa vicenda si è presentato come conoscitore della verità e sembra prenderli in giro addirittura davanti alle telecamere. Meglio non parlarne che si viene assaliti da un incontrollabile nervoso.  

Le piste sono tante come quella del terrorismo, della Banda della Magliana e dell’adescatore all’interno della Chiesa. Di certo, c’è solo il fumo negli occhi che ci impedisce di vedere la verità. Un fumo che nonostante siano passati quasi quarant’anni non cessa di appannarci la vista. E nulla mi toglie dalla testa che ciò sia voluto dalle diverse parti in causa.  

Brividi incontenibili quando Papa Francesco ripete più volte solo quattro parole alla madre ed al fratello di Emanuela. “Emanuela è in Paradiso” dice. Lo avevo già visto mille volte a “Chi la visto”, ma non finirò mai di rimanere allibita. Perchè chi sa non dice nulla? Quello di Papa Francesco era un tentativo di far mettere l’anima in pace ai famigliari della giovane? Cosa sa che gli altri non sanno? Perchè non le ridanno un corpo dove poter piangere se sanno che è in Paradiso? 

La madre di Emanuale dice queste parole che mi sono rimaste impresse:” Il tempo è nemico della verità ed amico di chi la verità nasconde”.

Viene voglia di correre ad abbracciare questa famiglia che sta convivendo con un fardello immenso appesantito da bugie su bugie o verità non dette. Poco importa, nessuno merita un dolore simile.

Alla fine, rimane la voglia di urlare a squarciagola: “Verità per la famiglia Orlandi”. 

A cura di Giulia Manna