VELENO BIONDO




A cura di Giulia Manna

Prefazione

Una seducente ninfetta si muove tra bene e male non si sa fino a qual grado consapevole.

Durata: 61′  

 

Trama. 

Aurora è una seducente lolita che vive, forse inconsapevole, tra il bene e il male, esprimendo la conturbante e potente bellezza dei suoi anni. Aurora ha un amico, un gatto antropomorfo dal grottesco aspetto demoniaco – che soltanto lei riesce a vedere – che le parla di libertà e le rivela quelle verità sottaciute su sessualità e desiderio morboso. Una fiaba dark, ambientata nel mondo dell’adolescenza, che non vuole dare alcuna rassicurazione, non consolare, non fare sentire al sicuro: perché la libertà, se non addomesticata, è un disegno sterminato, non ipocrita, non finto, imprevedibile.

 

 

Regia, sceneggiatura, interpreti e tanto altro:

Regia: Fabio Giovinazzo

Soggetto: Fabio Giovinazzo

Sceneggiatura: Fabio Giovinazzo

Collaborazione alla sceneggiatura: Marco Tulipano, Nicoletta Tanghèri;

Interpreti: Athena Faccio, Giancarlo Mariottini, Massimo Sannelli, Alberto Lupia, Nicoletta Tanghèri, Andrea Benfante, Anna Giarrocco, Angelo Calvisi, Antonio Carletti (voce), Raffaele Casagrande (voce), Fabio Taddi (voce), Angelo Spaggiari (voce)

Montaggio: Marco Paba; fotografia (hd, b/n e colore, 16:9): Fabio Giovinazzo, Carlo Macchiavello; musiche: Alberto Moscone, Massimo Sannelli, Silvia Tavascia

Fonico: Stefano Agnini

Make up artist: Nicola Congiu;

Produzione: Nerofumo Prods & Actions

Recensione

 

 

Tutto ruota attorno ad Aurora, interpretata da Athena Faccio, splendida e giovane ragazza. Una bellezza acqua e sapone, apparentemente innocente e spensierata. Una ragazza che balla da sola con i suoi pensieri. Quest’ultimi hanno la forma di un grottesco gatto demoniaco che rivela verità, incita alla ribellione e la spinge verso la realizzazione dei sui desideri più morbosi.

Contrariamente a quello che si può pensare leggendo la trama, è un film di genere horror, ma non vi posso dire perché o ne rovinerei la visione. E’ decisamente molto particolare.

Celebrato con preziosi riconoscimenti presso festival nazionali ed internazionali, il cinema di Fabio Giovinazzo rappresenta figure e condizioni marginali quindi mondi fuori dall’ordinario, piscoanalitici e soprattutto mai banalmente provocatori. E di provocazione ce n’è tanta, fino a sfiorare la perversione.

Come avrete sicuramente capito non è un film adatto alle famiglie o ai più giovani, ma solo per adulti. Fabio Giovinazzo non cerca l’approvazione generale. Nuota controcorrente. Non gli interessa nuotare in banco e tanto meno in sincrono.

Lui stesso dichiara:

Ho fatto un film che può non piacere a chi piace l’horror, perchè il mio obiettivo era fare un film di genere che non fa genere”.

Fabio salta come un pesce fuori e dentro l’acqua, lasciando dietro di sé circonferenze che si allontanano progressivamente dal punto di impatto.

Le musiche, suoni e rumori di sottofondo sono studiati per tenere lo spettatore in costante tensione. I tempi sono lenti e ci sono dei salti narrativi importanti che scombussolano la trama. Non è facile entrare nella testa di una persona e così non sarà facile capire Aurora ed il suo mondo di adolescente.

Ottima la scenografia. Buona parte girata in bianco e nero,  mentre qualche scena qua e là è parzialmente a colori, come quella dove del veleno biondo si mescola con l’acqua, o interamente a colori, come nelle parti dove compare il gatto malefico. Scelte significative che accendono il tono di questa fiaba dark spingendola verso la psicoanalisi.

Ma ora concentriamoci un attimo su Aurora, ragazza davvero fascinosa e protagonista di questo film. Athena Faccio che la interpreta è stata davvero brava. Non è facile recitare in questo genere di film dove i tempi sono molto lenti, pieni di silenzi e primi piani. Nella scena dove gioca con due bambole, l’ho trovata fantastica nella sua pazzia e nel suo relativo significato.

Altra cosa che ho apprezzato sono le infime voci narrative, sempre a parlata lenta o che addirittura sottolineano la stessa frase più volte. Entrano nella testa in modo fastidioso e subdolo. Perfette per la provocazione, perfette per questo film.

Anche se non è il genere che preferisco, nel complesso ho apprezzato il modo originale con cui Fabio Giovinazzo crea caos, confonde, sconvolge e lascia la sua impronta.

Curiosità:

Veleno Biondo ha ottenuto importati risultati ai seguenti festival: Best Horror all’International Manhattan Film Awards (USA), Best Horror Movie allo Stanley Film Awards (Inghilterra – festival dedicato a Stanley Kubrick), Nominee al SIFF – Swedish International Film Festival (Svezia), Best Horror al San Diego Art Film Festival (USA), Best Midnight Movie al Beyond the Curve International Film Festival (Francia), Best Feature all’Hollywood Blood Horror Festival (USA), Silver Award Indie Feature Film al Milan Gold Awards (Italia)

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INTERVISTA

Fabio Giovinazzo

Come prima cosa, vorrei dire che è un piacere conoscere Fabio Giovinazzo regista e sceneggiatore di “Veleno Biondo”, suo primo film che vanta diverse partecipazioni ad importanti Festival internazionali dell’horror. Ma per chi non ti conosce, chi è Fabio Giovinazzo?

Sono un autore e regista cinematografico, artista e scrittore. Che attraverso il linguaggio dell’arte cinematografica, soprattutto, diventa il miglior psichiatra di sè stesso. Ovvero mi piace ragionare sulla mia interiorità, poi consegnarla alle immagini, quindi darla in pasto al pubblico: lo trovo parecchio eccitante e terapeutico al tempo stesso. Il piacere è mio, grazie!

 

Veleno Biondo” è una fiaba dark di poco più di un’ora che spinge verso la psicoanalisi.  Hai un modo di raccontare e raccontarti “fuori dagli schemi”. Quindi gradirei che ci illustrassi tu con le tue stravaganti parole la trama di “Veleno Biondo”. E come è nato questo film? Cosa ti ha ispirato.

Il film nasce dall’idea di raccontare il mondo dell’adolescenza senza cedere a quella forma di linguaggio usata perlopiù dal cinema “dei grandi” e dalla televisione per celebrarne le caratteristiche. Una formula che spesso per me si rivela fastidiosa perché la trovo menzognera, a fare a botte con la realtà. E in grado di generare danni con la sua ipocrisia. Ecco, “Veleno Biondo” in tal senso è un attacco al potere. Mette in discussione alcuni valori cardine della nostra società, soprattutto cerca di smascherare quel ruolo – decisamente ambiguo – che la famiglia ha acquisito nel tempo attraverso procedure non sempre rispettose verso il singolo individuo. E lo fa con quella seduzione che vive tra il Bene e il Male, con la scelta coraggiosa di una ragazzina che si rifiuta di diventare donna troppo presto – moglie di un uomo in fallimento (è figlia), madre di un giovane con grave disabilità (è sorella) – e con l’aiuto improvviso di una creatura fantastica – che soltanto Aurora riesce a vedere – che, poco a poco, rivela alla protagonista certe verità sottaciute.

 

Ci narri questa fiaba utilizzando una tecnica molto particolare. Utilizzi spesso immagini in prevalenza in bianco e nero che sembrano non c’entrar nulla. Le interrompi con qualche colore, come il veleno o il sangue, o quando il gatto malefico si palesa. Le scene sono sempre accompagnate da musiche ad alta tensione. Pochi dialoghi, ma significativi. Crei caos, confondi, provochi, inneggiando alla libertà sconfinata, se non addirittura morbosa. Da cosa nasce questa tecnica così particolare?  

L’opera cinematografica può essere letta ed interpretata come un vivo esperimento immaginifico se una realtà di un certo tipo non viene presa troppo in considerazione.  Come il viaggio attraverso uno spazio onirico, l’avventura in una realtà parallela co-esistente. In assoluto il film rispecchia la mia natura intima e rappresenta una dimensione in cui la gente, se lo desidera, può entrare.

 

Se dovessi definire “Veleno Biondo” con un solo aggettivo, lo definirei disturbante. Mi ha lasciato ansia e inquietudine. La naturalezza con cui Aurora realizza la sua felicità, se così si può dire, mi ha turbata parecchio. Cosa volevi trasmettere allo spettatore? E come lo definiresti utilizzando un solo aggettivo?

Con “Veleno Biondo” non voglio dare alcuna rassicurazione, non consolare, non fare sentire al sicuro: perché la libertà, se non addomesticata, è un disegno sterminato, non ipocrita, non finto, imprevedibile. Ed ecco Aurora e il suo sguardo: espressione e carne di questo concetto. Un aggettivo per definire il film? Coraggioso.
La giovanissima attrice Athena Faccio è la protagonista. Veramente brava, anche perchè è difficile essere quasi sempre al centro della videocamera con pochi dialoghi, tanti primi piani e in un ruolo in cui si deve recitare con tutto il proprio corpo.  Come è nata la scelta di Athena per questo ruolo.

Athena è stata bravissima, decisamente! Per “Veleno Biondo” cercavo una figura in grado di racchiudere un’aggressiva e potente forza estetica d’attrazione proporzionale a quell’innocenza contro la quale non si può far nulla. Una Terra di Mezzo che Athena ha saputo far risplendere al meglio delle possibilità. E poi con questo film ho voluto aprire uno squarcio nel Paese delle Meraviglie. Ecco, la realtà del multiverso! Athena è come Alice: prigioniera di uno spazio dal quale, alla fine, desidera solo fuggire.

 

Giancarlo Mariottini è il gatto dall’aspetto demoniaco creato dal make up artist Nicola Congiu. Sinceramente, l’ho trovato inquietante per l’aspetto, ma anche per la voce ed il modo in cui parla con cadenza lenta. Immagino faccia tutto parte del gioco.

Esatto! Il gatto antropomorfo dal bizzarro aspetto consegna voce al desiderio di Aurora. E lo fa stando al gioco, mostrandosi pedina fondamentale. Ragionamenti e osservazioni: folle, ma sensato come il gatto del Cheshire! Volteggiare tra il Bene e il Male, facendo assumere alla coscienza una forma allucinata. E’ lo strano bisogno di Aurora che – per fare quello che desidera – ha bisogno di instaurare un rapporto di fiducia con la parte più nascosta di sé stessa.

 

Al montaggio c’è Marco Paba e le atmosfere musicali suggestive sono di Silvia Tavascia, di Alberto Moscone, di Massimo Sannelli. Ho trovato molto azzeccate anche le musiche, i rumori, i suoni…tutto atto a mantenere alta la suspence. Più che una domanda, volevo menzionare i tuoi collaboratori, perchè ho apprezzato molto il loro lavoro. Quindi bravi!

Scegliere con chi lavorare: ecco, è la fortuna di potersi muovere in piena libertà. Sono un regista indipendente, quindi responsabile in assoluto di ogni cosa ritenuta necessaria. A volte è davvero faticoso, ma spesso molto divertente. E gratificante! Colgo l’occasione per ringraziare ancora una volta i miei preziosi collaboratori. Sì, molto bravi! E saranno felici di questo nuovo e grande apprezzamento.

 

E’ un genere non adatto a tutti. Non sei interessato a fare film per il pubblico. Nuoti controcorrente. Come mai questa scelta? 

Girare un film, per me, non è un modo attraverso il quale mi tuffo nell’esplicito dibattito politico o una scelta utilizzata per fare arrivare una qualsivoglia forma di insegnamento. E’ solo ed esclusivamente il mio essere presente tra la gente. Manifestando il mio pensiero con la mia curiosità, affrontando le mie paure con la mia voglia di giocare.

 

 

Fabio Giovinazzo


è nato a Genova e laureato in Storia Contemporanea. Autore e regista cinematografico, artista e scrittore. Il suo promo lavoro e “Kinek ìrod ezt?”, mediometraggio dedicato alla figura del poeta Edoardo Sanguineti. Il passaggio al lungometraggio avviene con “L’arte del Fauno”, film grottesco e drammatico su una vita che soffre divertendosi. Tra le sue opere più recenti “12 cm di tacco”, “L’anima nel Ventre”, “Veleno Biondo”, “Il mio nome è Gesù” ed “Il ponte della vergogna” sui tragici eventi che hanno sconvolto Genova dopo il crollo del ponte Morandi. Ha anche pubblicato il suo primo romanzo “Dissolvi”, thriller psicologico con Aracne Editrice e con Edizioni Contatti è uscito il suo primo libro “61 FOTOGRAMMI – L’occhio dietro la macchina”. Diverse partecipazioni ad eventi artistici nazionali ed internazionali con le sue opere fotografiche.