Vi avverto




 che vivo per l’ultima volta

di Paolo Nori

Mondadori 2023

 Romanzo biografico, pag.264

Sinossi. «E noi, che cosa stiamo diventando? E io, cosa sono diventato?» si chiede Paolo Nori. E la risposta viene da una lontananza che in verità brucia distanze e porta con sé, come fosse turbine di visioni, di fatti, di sentimenti, e naturalmente di poesia, la vita di Anna Achmatova. «Vogliamo raccontare» dice Nori «la storia di Anna Achmatova, una poetessa russa nata nei pressi di Odessa nel 1889 e morta a Mosca nel 1966. Anche se Anna Achmatova voleva essere chiamata poeta, non poetessa, e non si chiamava, in realtà, Achmatova, si chiamava Gorenko; quando suo padre, un ufficiale della Marina russa, seppe che la figlia scriveva delle poesie, le disse “Non mischiare il nostro cognome con queste faccende disonorevoli”. Allora lei, invece di smettere di scrivere versi, pensò bene di cambiar cognome. E prese il cognome di una sua antenata da parte di madre, una principessa tartara: Achmatova.» Anna era una donna forte, una donna che, «con la sola inclinazione del capo – come ebbe a dire Iosif Brodskij, suo amico e futuro premio Nobel – ti trasformava in homo sapiens». “Suora e prostituta” per i critici sovietici, esclusa dall’Unione degli scrittori, privata degli affetti più cari, diventata, durante la Seconda guerra mondiale, la voce più popolare della Russia sotto l’assedio nazista, indi rimessa al bando, sorvegliata, senza mezzi. Ha profuso ostinazione e fermezza. Ha patito come patiscono le anime che, anche quando cedono, non cedono. Non ha smesso di scrivere, anche quando la sua poesia si poteva soltanto passare di bocca in bocca. Ha saputo, alla fine della sua vita, essere quel che voleva diventare: la più grande poetessa, anzi, il più grande ‘poeta’ russo dei suoi tempi. Dopo essere entrato in quella di Dostoevskij, Nori entra in un’altra vita incredibile , ma questa volta ci rendiamo conto che, nell’avvicinare Anna a noi come siamo diventati, e noi alla Russia come è diventata, ci troviamo di fronte a un’urgenza crudele, a una figura che ci guarda, ci riguarda, e ci tocca più forte dove siamo ancora umane creature.


 Recensione di Edoardo Guerrini

Devo essere sincero: ho fatto molta fatica a leggere questo libro. Non tanto per l’immensa cultura dell’autore, grandissimo esperto di letteratura russa, ma nel costruire questo libro non ne ha certo fatto un saggio, anzi.
Lo definisce “romanzo”.
Ebbene, sono molto perplesso riguardo a questa definizione. Non sono certo un critico letterario e parlo, anzi scrivo, da semplice lettore, tuttavia di romanzi ne ho letti parecchi e questo mi sembra tutt’altro che un romanzo. Di fatto, è a tratti una biografia della poeta russa (poeta, sì: non le piaceva essere definita poetessa), ma solo a tratti. Per lo più, è un’autobiografia. Paolo Nori nella maggior parte del libro parla di se stesso, della sua vita, della sua famiglia.

E non si è neppure scomodato a romanzare questi personaggi, creando un alter ego di sé, un alter ego per sua moglie (che poi moglie non è in quanto non si sono mai sposati) e che lui chiama Togliatti, e uno per sua figlia, che lui chiama La Battaglia.

Niente, semplicemente parla di sé e della sua vita mentre parla della vita di Anna Achmatova e dei suoi numerosi mariti e amici. E, verso la fine, spiega pure il senso del sottotitolo del libro, Noi e Anna Achmatova, dicendo che mentre lo scriveva si è reso conto che

man mano che andavo avanti, mi sembrava sempre di più che gli anni che stiamo vivendo assomigliassero agli anni che ha vissuto Anna Achmatova.”

Ovvero, Paolo Nori ha ritenuto che la storia che andava scrivendo acquisisse il significato universale di una storia che ci rappresenta tutti, che rappresenta gli anni che stiamo vivendo come gli anni che viveva la protagonista. Ebbene, non mi sembra che ci sia riuscito, a rappresentare bene questa somiglianza: in realtà, per lo più ha rappresentato ciò che Anna Achmatova e la sua vita ha rappresentato per lui, Paolo Nori, e per la sua vita. Cioè, in pratica il sottotitolo più corretto di questo libro sarebbe “Io e Anna Achmatova”, e tra l’altro bisognerebbe scriverlo in caratteri diversi: “io” in corpo venti, “Anna Achmatova” in corpo dodici.

L’egocentrismo di Paolo Nori tracima inesorabilmente da tutte le pagine, e oltretutto, sia pure con uno stile gradevole che spesso ricorda lo Stream of Consciousness alla Joyce, riporta innumerevoli dettagli della sua vita altamente insignificanti e piuttosto noiosi per un lettore che non sia propriamente amico suo.
Mentre la vita di Anna Achmatova, per carità, è raccontata piuttosto bene, ma in definitiva non si riesce particolarmente a comprendere perché sia poi questa grandissima poeta, anche le rare citazioni di suoi versi appaiono abbastanza poco interessanti, e tra l’altro in più occasioni l’autore si lascia sfuggire con evidenza che gradisce ben di più i versi di un altro poeta, Velimir Chlebnikov, poeta decisamente meno noto su cui Paolo Nori ha fatto la sua tesi quando si è laureato in letteratura russa. 

Ma questo io, io, io che pervade tutto il libro, oltretutto, pare sia stato ulteriormente ingrandito dalla vicenda che in effetti lo ha fatto arrivare a una ribalta nazionale, quando l’Università di Milano Bicocca bloccò le sue lezioni di letteratura russa allo scoppio della guerra contro l’Ucraina. Fu allora che Nori venne intervistato da tutto il mondo e la sua notorietà andò alle stelle, e parrebbe gli sia anche andata alquanto alla testa.

Per carità, personalmente condivido al cento per cento tutte le riserve espresse da Nori su queti ridicoli eventi di censura che hanno riguardato l’arte e la cultura russa, soprattutto nei primi mesi dallo scoppio della guerra.
Però mi ha lasciato alquanto perplesso il tono con il quale Nori in tutto il libro racconti del suo grande amore per la cultura russa, ma di fatto non prenda mai posizione sulle effettive colpe di colui che ha causato e sta causando questo immane disastro.

Certo, ad un certo punto citando un romanzo postumo di Tolstoj, Chadži-Murat, dove si rievoca la guerra scatenata dai russi contro i ceceni e la distruzione di un villaggio compiuta dai russi contro i civili inermi, egli pare affiancare la posizione critica espressa dal grande autore russo contro questo tipo di prevaricazioni:

Di odio per i russi nessuno parlava. Il sentimento che provavano tutti i ceceni, dal più piccolo al più grande, era più forte dell’odio. Non era odio, era il non riconoscere questi cani russi come uomini, e un disgusto tale, una ripugnanza e un imbarazzo tali di fronte alla crudeltà insensata di questi esseri, che il desiderio di sterminarli, così come il desiderio di sterminare i topi, i ragni velenosi o i lupi, era tanto naturale quanto l’istinto di conservazione.”

Eppure, resto perplesso per il fatto che, a parte questa citazione, in tutto il libro Nori non abbia mai, dico mai, citato neppure uno degli innumerevoli episodi criminosi che stanno contraddistinguendo questo evento bellico, come i fatti di Bucha, i rapimenti di bambini, le migliaia di case distrutte da missili inviati contro obiettivi civili, eccetera. In definitiva, Nori continua ad amare incondizionatamente la Russia e la cultura russa, non dice mai una parola sull’Ucraina e sulla cultura ucraina, e di Anna Achmatova in questo libro ci racconta in sostanza ciò che ha rappresentato per lui e per la sua vita. Per me, questo libro resta un grosso BOH.

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Paolo Nori


(Parma, 1963), laureato in letteratura russa, ha pubblicato romanzi e saggi, tra i quali Bassotuba non c’è (1999), Si chiama Francesca, questo romanzo (2002), Noi la farem vendetta (2006), I malcontenti (2010), I russi sono matti (2019), Che dispiacere (2020) e Sanguina ancora (2021). Ha tradotto e curato opere, tra gli altri, di Puškin, Gogol’, Lermontov, Turgenev, Tolstoj, Čechov, Dostoevskij, Bulgakov, Chlebnikov, Čharms.