Intervista a Enrica Aragona




A tu per tu con l’autore


Danza mortale è un romanzo al femminile con due protagoniste importanti, Nadia Montecorvo e Serena Malpezzi, che sono in qualche modo agli antipodi. C’è qualcosa di lei in entrambe o sono totalmente frutto della sua fantasia?

Ho sempre scritto storie di donne, anche nei romanzi precedenti. Non è stata una scelta ragionata, piuttosto un processo naturale. Le mie protagoniste sembrano venire da me spontaneamente, portando con sé le loro storie, le loro sfide e le loro emozioni. Attraverso di loro, esploro una vasta gamma di esperienze e prospettive, cercando di dare voce a personaggi complessi e autentici in cui i lettori possono ritrovarsi. Come scrittrice, è inevitabile che io metta una parte di me in ciò che scrivo. Le due protagoniste femminili del romanzo riflettono aspetti diversi della mia personalità, esperienze e visioni del mondo e della vita. Nadia Montecorvo e Serena Malpezzi incarnano lo yin e lo yang: molto diverse, ma perfettamente complementari. Nadia rappresenta l’oscurità e la profondità, mentre Serena incarna la leggerezza e la luminosità. In fondo tutti noi abbiamo un lato oscuro che tendiamo a nascondere e uno più frizzante che ci permette di godere della vita: credo che ogni autore infonda un po’ della propria essenza nelle storie che crea, e io non faccio eccezione.

Un sentimento molto forte che ho trovato nel libro è il dolore; non solamente quello fisico. Crede sia uno dei motori più importanti che muovono le azioni sia nei suoi personaggi sia nella vita reale?

Il dolore, in tutte le sue forme, è un sentimento universale che ha il potere di influenzare in profondità le azioni e le decisioni, sia nella vita reale, sia nel mio romanzo. È uno dei motori più potenti che ci spinge a cercare cambiamenti, a crescere e a trovare nuove direzioni. Attraverso il dolore, i miei personaggi possono scoprire la loro forza interiore e la capacità di resilienza, rendendo le loro storie più autentiche e coinvolgenti. Il dolore non è solo una fonte di sofferenza, ma anche un catalizzatore di trasformazioni, che permette di evolversi e affrontare le paure più profonde. In questo modo diventa un elemento chiave della narrazione, che spero arricchisca la trama e conferisca maggiore profondità emotiva ai personaggi e alle loro vicende. 

La trama è particolarmente dura: il rapimento e poi la morte di una bambina. Ci sono però momenti di leggerezza, soprattutto nei rapporti tra i colleghi di Nadia, che stemperano l’asprezza del racconto dando ulteriore corpo al romanzo e a tutti i personaggi.

La trama di “Danza mortale” affronta temi difficili, come in quasi tutti i romanzi polizieschi. I momenti di leggerezza a mio parere sono necessari per permettere al lettore di “respirare”, offrendo un contrasto necessario che attenua la spigolosità del racconto. Con questi episodi ho cercato da una parte di arricchire la narrazione, dall’altra di conferire maggiore profondità ai comprimari. Una delle prime cose che ho imparato quando ho deciso di voler diventare una scrittrice, è che i personaggi sono il vero motore della narrazione: sono loro a rendere il romanzo coinvolgente, ed è fondamentale riuscire a renderli tridimensionali, dare a ognuno di loro il giusto spazio e la giusta connotazione, altrimenti risultano solo figurine riempitive.

La sottotrama presente in Danza mortale sarà presente in maniera più completa in un prossimo romanzo?

Se per sottotrama intendi la vicenda Foschi, no. Il caso, iniziato nel primo romanzo della serie “A Roma si muore da soli” si conclude con “Danza mortale”.

L’ambientazione in zone un po’ fuori dal centro di Roma è una scelta voluta per dare spazio più ai personaggi oppure è casuale?

L’ambientazione nelle zone periferiche di Roma non è casuale. Ho scelto di collocare le mie storie e i miei personaggi in questi luoghi perché li conosco molto bene, avendoli vissuti in prima persona. La periferia di Roma, con le sue strade piene di buche, i palazzi scrostati, i mercati rionali e i tanti problemi che si porta dietro, offre un contesto ricco di autenticità. È un ambiente che permette ai personaggi di emergere con maggiore forza e realismo. C’è anche da dire che di solito scrivo solo di ciò che conosco personalmente. Le mie storie nascono dall’esperienza diretta e dalla conoscenza intima dei luoghi e delle persone che descrivo.

Nadia Montecorvo è nata con qualche riferimento letterario? Quali sono i suoi generi preferiti?

Nadia non è ispirata a nessun personaggio letterario già esistente. Tuttavia, considerando la vasta quantità di poliziotti presenti nella letteratura e nel cinema, è inevitabile che possa condividere alcune caratteristiche con qualcuno di già raccontato. Ma Nadia vuole essere un personaggio unico, nato dalla mia immaginazione e dalle mie esperienze, e creato con l’idea di rappresentare una fusione di forza, determinazione e vulnerabilità.
Il mio genere preferito è il giallo investigativo, che mi affascina per la sua capacità di intrecciare suspense, mistero e analisi psicologica. Gli autori che prediligo sono quasi tutti italiani: Antonio Manzini, con il suo commissario Rocco Schiavone, capace di unire ironia e malinconia in un mix irresistibile; Donato Carrisi, maestro nel creare trame intricate e atmosfere inquietanti; e Gianrico Carofiglio, che con i suoi romanzi riesce a esplorare la complessità della giustizia e dell’animo umano. Ma mi piace leggere anche altri generi: adoro Daniele Mencarelli e Antonella Lattanzi. Trovo che i loro scritti siano tanto brutali quanto poetici, con storie radicate nella realtà e nelle esperienze umane. Mencarelli, con la sua scrittura intensa e viscerale, riesce a toccare corde profonde che forse non sapevo nemmeno di avere, mentre la Lattanzi, con il suo stile diretto e incisivo, mi ha fatto esplorare le ombre della psiche umana. E non posso non citare il mio primo amore letterario, Alessandro Baricco, che molti anni fa mi ha fatto capire cosa significhi immergersi totalmente nelle storie degli altri fino a sentirsele dentro. I suoi romanzi, con la prosa lirica e le trame avvolgenti, mi hanno insegnato il potere della narrazione e l’importanza di vivere le emozioni dei personaggi come fossero mie.

A cura di Marco Lambertini

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