The dark remains
Autore: William McIlvanney, Ian Rankin
Traduzione: Alfredo Colitto
Editore: Feltrinelli
Genere: giallo hard boiled
Pagine: 256
Anno di pubblicazione: 5 luglio 2022
Sinossi. Glasgow, 1972. L’avvocato Bobby Carter ha lavorato troppo a lungo per le persone sbagliate. Adesso è morto, e non per un incidente. Chi è il colpevole tra i suoi molti nemici? La reputazione del detective Jack Laidlaw lo precede. In commissariato tutti sanno che è un battitore libero, con un pessimo carattere. Non fa gioco di squadra, è taciturno e inadatto a qualsiasi convenevole, ma ha un sesto senso infallibile: intuisce subito cosa succede in strada. Il suo capo imputa la morte di Carter ai soliti regolamenti di conti tra bande rivali, ma è davvero così semplice? Mentre i due principali gangster di Glasgow si preparano a una guerra, Laidlaw dovrà scoprire chi ha ucciso Carter prima che la città si trasformi in una polveriera. Con l’invenzione del detective-filosofo Jack Laidlaw, William McIlvanney ha cambiato il genere giallo, dando vita al tartan noir. Il testimone passa ora al suo principale erede, Ian Rankin, in un incontro di fuoriclasse, un noir fulminante che scava nei bassifondi dell’anima fin dentro ai recessi più oscuri.
Recensione di Claudia Cocuzza
“Tutte le città sono pervase dal crimine. Fa parte del gioco. Riunisci insieme abbastanza persone nello stesso posto, e in una forma o nell’altra il male si manifesta. Garantito. È la natura della bestia.”
Siamo a Glasgow, autunno del 1972.
Il cadavere di Bobby Carter viene rinvenuto in un vicolo, dietro un pub. La città è ripartita in zone, governate da altrettante bande criminali, e il luogo in cui Carter viene ritrovato ricade all’interno della zona di John Rhodes.
Carter è un avvocato: avrà pestato i piedi a Rhodes o a qualcuno dei suoi?
La questione non è così facile, perchè Carter è sì un avvocato, ma di quelli che hanno deciso di schierarsi con il crimine: è colui che si occupa degli affari di Cam Colvin, antagonista di Rhodhes e di Matt Mason, il capoclan che finora mancava all’appello.
E allora di cosa si tratta? Di un regolamento di conti tra bande?
Eh, nemmeno questa pista si rivela lineare: dalla morte di Carter si scatena una faida tra fazioni criminali che non fa bene a nessuno, quindi chi avrebbe avuto interesse ad avviarla e perché?
Bisogna poi considerare un altro aspetto: Carter era il braccio destro del boss, ragion per cui diventa plausibile pensare anche a un omicidio nato da invidie e gelosie interne al gruppo.
E per non farci mancare niente, il nostro buon Bobby era uno spaccone, uno di quelli che lasciava conti aperti da pagare, e pure un fedifrago seriale.
Come vedete, le ipotesi investigative messe in campo in questo giallo, dall’evidente connotazione noir, sono davvero tante e il lettore ne verrà a capo solo quando l’autore farà intravedere uno spiraglio, a ridosso della conclusione della narrazione.
Ma chi è che indaga?
Tutti, è questo il bello di questa storia.
La polizia, nelle vesti dell’ispettore Ernie Milligan e della sua squadra, tra cui spiccano il detective Jack Laidlaw e la sua spalla, Bob Lilley, ma anche le tre bande criminali, ognuna con l’obiettivo di dimostrare la propria estraneità ai fatti e approfittare della situazione per espandere il proprio dominio.
Siamo quindi di fronte a una indagine inusuale per il modo in cui viene svolta e per le caratteristiche del protagonista, il detective Laidlaw.
Laidlaw è un tipo difficile; è difficile stargli accanto, sia sul lavoro che nella vita privata – sua moglie e i suoi figli ne sanno qualcosa –, ma è un segugio e il suo fiuto funziona solo se gli si dà la possibilità di esercitarlo per strada: mettetelo dietro una scrivania e non concluderà niente.
Fin qui potreste dirmi che sì, sembra un bel soggetto, ma neanche tanto innovativo. Invece una particolarità ce l’ha: sulla sua scrivania non troviamo il codice penale, ma testi di Kierkegaard, Unamuno e Camus. Perché?
Perché a lui interessa capire cosa sta dietro un crimine, oltre che individuare e punire i responsabili:
“Se riuscissimo a capire da dove ha origine un crimine, forse potremmo evitare che si commetta. […] Non servono tanto i poliziotti come te e me, ma i sociologi e i filosofi.”
Questo è Laidlaw, un duro dalla sensibilità spiccata, che riesce a vedere il male attorno, ma anche quello che infligge a sé stesso e agli altri senza per questo trovare la chiave per interrompere questa spirale di autodistruzione.
Non c’è speranza per lui, come da tradizione noir/hard boiled.
L’ambientazione, le descrizioni paesaggistiche di una Glasgow cupa, grigia e malvagia, fanno il resto.
Un hard boiled che gli amanti del genere non possono perdersi.
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William McIlvanney
Ian Rankin
William McIlvanney (Kilmarnock, 25 novembre 1936 – Glasgow, 5 dicembre 2015 ) è stato uno scrittore scozzese, autore di polizieschi, romanzi e poesie, maestro nel connubio tra letteratura poetica e di denuncia. Le sue opere Laidlaw, Le carte di Tony Veitch, Oscure lealtà, The Big Man, La fornace e Feriti vaganti sono famose per la loro rappresentazione della Glasgow degli anni settanta.
Ian Rankin nasce a Cardenden, nel Fife. Si diploma presso la Beath High School di Cowdenbeath. Molto apprezzato dal suo insegnante di lingua inglese, già al liceo Rankin inizia a scrivere le prime poesie e numerosi racconti e, incoraggiato ad ampliare i suoi interessi letterari, si iscrive all’Università di Edimburgo, dove consegue la laurea in Letteratura inglese, nonché specializzato in Letteratura americana e scozzese. Lo scrittore James Ellroy lo ha definito “Il re incontrastato del giallo scozzese”, parte del Tartan Noir. Vince l’Edgar Award nel 2004 per il romanzo Casi sepolti. Nel 1997 vince il Macallan Gold Dagger per Morte grezza. Vive a Edimburgo, in Scozia, con moglie e due figli.
A cura di Claudia Cocuzza
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