Il regno di vetro




 IL REGNO DI VETRO


Autore: Lawrence Osborne

Editore: Adelphi

Traduzione: Mariagrazia Gini

Genere: narrativa thriller

Pagine: 265

Anno di pubblicazione: 2022

Sinossi. Sarah è in fuga dagli Stati Uniti. Con sé ha un malloppo di 200.000 dollari che scottano. Sbarcata a Bangkok, si sistema in un fantomatico complesso residenziale, il Kingdom, quattro torri di ventuno piani, ciascuna collegata alle altre per mezzo di passaggi chiusi da porte di vetro che solo la chiave di sicurezza in possesso di ogni residente può aprire. Ma dietro un vetro, specchio delle nostre paranoie, si è sempre sotto stretta sorveglianza – e il rifugio può rivelarsi una prigione. Fuori tira aria di sommossa: anche il regime che domina il paese è di vetro. In quello spazio chiuso, di un lusso e un edonismo avvelenati, la protagonista farà conoscenza con tre altre donne: una cilena che prepara manicaretti, un’inglese con uno strano marito e una domestica più strana ancora, e una specie di prostituta eurasiatica d’alto bordo. Siamo tra i farang, gli stranieri viziati e viziosi, malvisti dalla popolazione locale e da sempre sottoposti all’impietosa indagine radiologica dell’autore, che con questi elementi miscela un cocktail torbido e insinuante. Si procede così, con tutti i sensi tesi e un po’ alterati, nei meandri infidi e pieni di pericoli del Regno, fino alle ultime pagine dove Osborne, erede accreditato di Graham Greene, sfodera a sorpresa un finale degno di Ballard. E il lettore, che credeva di avere a che fare col più classico dei thriller esotici, si trova immerso con sgomento in una imprevedibile ghost-story.

 Recensione di Marina Morassut


Ci sono invero degli argomenti e dei luoghi del cuore, che in alcuni generi di romanzo sono diventati un must da affrontare. E’ il caso ad esempio del treno, con il quale molti scrittori si sono cimentati. Oppure la “stanza chiusa”, qualunque essa sia, tanto famosa da diventare topos letterario. Ultimamente però ho scoperto che i complessi condominiali hanno avuto anch’essi i loro cultori.

Non ultimo Mr. Lawrence Osborne, che ha girato il mondo e che sembra condurre i suoi lettori sul luogo del delitto, non di rado luogo dov’egli ha vissuto e lavorato, salvo poi trascinarli in rovinose piste, mentre gli disvela Paesi che sembrano inizialmente l’accesso ad una nuova vita per un certo tipo di personaggi.

Come cifra stilistica riconoscibile Mr. Osborne sa  invischiare i suoi protagonisti, e noi con loro, in un Paese che non vogliamo o possiamo mai veramente conoscere, immerso in una calura umida e piogge opprimenti, tra palazzi sontuosi ed al contempo in declino e fatiscenti quartieri, da cui la popolazione locale guarda i ricchi e nullafacenti bianchi trascinare la loro vita.

E mai come in questo periodo, tra pandemie e guerre vicine ed inaspettate, questo romanzo, e il fastoso ma in declino complesso condominiale, diventa metafora dell’età contemporanea in bilico tra inconsapevole sfarzo ed abisso, con l’essere umano che nel corso dei secoli ha imparato a dominare i propri istinti ed impulsi animali, ma che in particolari situazioni regredisce ad uno stato primitivo, dove il “mors tua vita mea” diventa l’unica e naturale possibilità di vita.

Il romanzo di Osborne non è un thriller al cardiopalma, ma ci porta con una progressione ipnotica ad uno stato di botta e risposta dove i comportamenti degli uni corrispondono alle decisioni, spesso nefaste, degli altri, in un crescendo che alla fine ci trasborda da un noir ad una ghost story, molto ben inserita nel parterre delle divinità tailandesi.

E la protagonista della vicenda è sì Sarah, la ladra americana che in modo astuto, ossessivo ed al contempo inusuale deruba una scrittrice famosa, ma al contempo il  Kingdom, quattro torri collegate di ventuno piani, è la sua spalla, la sua co-protagonista. E come detto, man mano che avanzano i disordini interni ed esterni, questa struttura e l’umanità che Vi alloggia, ruberanno la scena a questa ragazza che non sa cogliere per tempo i segnali che pure questo opulento condominio ed alcuni personaggi equivoci le avevano lanciato.

E come ne “Il Condominio” di J. G. Ballard del 1975, (pur se ambientato a Londra e con dinamiche diverse), anche qui, dopo serate all’insegna dell’amicizia tra quattro donne diverse per etnia, esperienza di vita e di lavoro e visione del futuro, diversi black-out che fermano completamente la vita all’interno del complesso delle quattro torri, e i disordini all’esterno, che potrebbero portare ad un colpo di stato e quindi ad una repressione della popolazione con alto rischio anche per gli stranieri, “ora che tutto era tornato alla normalità, si rendeva conto con sorpresa che non c’era stato un inizio evidente, un momento al di là del quale le loro vite erano entrate in una dimensione chiaramente più sinistra”.

Eppure qui ad un certo punto la solitudine, la vita in un Paese sconosciuto e straniante, il clima torrido e opprimente, le conoscenze sospette e l’omicidio di un cittadino giapponese che vive al Kingdom daranno il là alla parte oscura della vicenda, diventando il punto di non ritorno per alcune delle persone coinvolte.

Come dicevamo, Osborne ci narra una vicenda nera che si rivela violentemente come un temporale soprattutto a partire dalla seconda metà del romanzo, dopo aver creato un humus fertile di conoscenze più o meno strette fra alcuni degli abitanti e dei lavoratori del complesso condominiale.

Tra incontri programmati e casuali, voci che si rincorrono in tutto il condominio di porta in porta, e creando al contempo un pathos di servile operosità che spaventa forse più di un’aperta avversione –  e come corollario ci parla di Bangkok, della sua storia, del suo cibo esotico, degli usi e costumi e dell’accoglienza dello straniero, che sia bianco o orientale, del clima opprimente, almeno per gli stranieri, delle differenze di razza anche fra tailandesi, cinesi e giapponesi, e della bellezza decadente di una nazione.

Un gigantesco zoo verticale, una sorta di camera chiusa gigantesca, se vogliamo, con famiglie sempre più altolocate e potenti man mano che si salgono le torri e dove ad un certo punto i freni morali inibitori verranno meno, complici circostanze eccezionali di repressione esterna, consentendo alla natura umana di mostrare apertamente la propria inclinazione, nel bene e nel male.

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Lawrence Osborne


è nato in Inghilterra e ha studiato lingue moderne a Cambridge e Harvard. Ha vissuto a Parigi per dieci anni dove ha scritto il suo primo romanzo Ania Malina e successivamente il diario di viaggi Paris Dreambook. Si è poi spostato a New York dove vive dal 1992 alternando l’attività nella Grande Mela con lunghi soggiorni nel lontano Oriente. Ha scritto per il New York Times, Salon, New Yorker, Financial Times, New York Observer, New York Magazine, Forbes, Conde Nast Traveler, Gourmet e Men’s Vogue. Oltre ad Ania Malina e Paris Dreambook, ha scritto la collezione di saggi The Poisoned Embrace (1993) e un controverso libro sull’autismo intitolato American Normal (2002). In Italia ha pubblicato per Adelphi Il turista nudo (2006), Shangri-la (2008), Bangkok (2009) e Nella polvere (2021).

 A cura di Marina Morassut

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