Sinossi. Essere figli significa, in una certa misura, essere in balia di chi ci ha generati; ogni adulto porta dentro di sé questo marchio nascosto. Nelle campagne dove Arno Paternoster è cresciuto, ogni anno i contadini spargono concimi azotati, fosforo, cloruro di ammonio: quando lui era bambino, suo padre gli mostrava le sinistre iridescenze delle pozzanghere per ricordargli che quelle sostanze scorrono anche nell’acqua con cui ci dissetiamo. Ha fatto questo per tutta la vita, il dottor Paternoster, contaminare ogni pensiero di suo figlio, ogni scelta della famiglia come un veleno nascosto; ma era un medico stimato, un punto di riferimento in paese: nessuno avrebbe mai voluto credere che facesse un uso malato della sua autorità. Adesso Arno è un uomo adulto, ha un buon lavoro, una bambina e una moglie in gamba, che fa la poliziotta. Non vede suo padre da anni, eppure lo ha sempre accanto come un’ombra: odiare qualcuno non ci libera della sua presenza. E quando il dottor Paternoster viene ucciso, è naturale che sia Arno il primo sospettato. Arno che era appena tornato di nascosto nella casa di famiglia. Arno che non ha un alibi. Con una scrittura tesa, precisa, martellante questo romanzo ci avvicina al cuore di una relazione familiare dolorosa ai limiti dell’indicibile e al tempo stesso tratteggia l’affresco di una comunità di provincia incapace di liberarsi dei propri fantasmi. A quattro anni dal suo esordio, Emanuele Altissimo scrive un romanzo di sottile tensione psicologica, che con il ritmo di un’indagine criminale fruga nelle nostre case, nei nostri armadi ordinati, tra le parole che non osiamo pronunciare, ci porta nel buio per farci desiderare la luce: perché è proprio quando nessuno crede più in noi che dobbiamo lottare per la nostra libertà.
L’AVVELENATORE
di Emanuele Altissimo
Bompiani 2023
thriller psicologico, pag.288
Recensione d Gabriele Loddo
Arno Paternoster è un avvocato di trentasei anni e lavora a tempo determinato presso l’Autorità di regolazione dei trasporti.
Da quando era solo un bambino ha sempre mantenuto un rapporto burrascoso con il padre Furio, stimato dottore di Borgo Spirito “piccola località con poche case in cima a un colle, un alimentari, una tabaccheria, cascine sparse ai suoi piedi come briciole di pane”, che dista settanta chilometri dalla città di Torino dove il giovane avvocato si è trasferito per non vivere più fianco a fianco con chi gli ha avvelenato gli anni della gioventù: l’uomo ha tagliato i rapporti con l’anziano genitore, non lo vede e non gli rivolge la parola da oltre dieci anni.
Un forte richiamo, dettato dal destino, impone ad Arno di andare a trovare il padre proprio nelle ore che precedono la sua uccisione, come se il caso volesse offrire ai due uomini un’opportunità ultima di riconciliazione. Purtroppo, tempo e lontananza non hanno cancellato i rancori, l’occasione non li riavvicina e, al contrario, si trasforma in un problema: il giorno seguente il corpo di Furio viene ritrovato esanime, le celle telefoniche confermano la presenza di Arno nel luogo dell’omicidio, così come vengono rinvenute le sue impronte digitali all’interno della casa paterna. L’avvocato diviene il primo sospettato del delitto.
La narrazione è ritmata, tesa.
I sentimenti d’amore e d’odio entrano in conflitto in un continuo gioco di scambio dei ruoli, il pentimento lotta col rancore e, nel ripercorrere il passato, fa emergere alcuni ricordi come fiori di loto da acque putride e stagnanti.
Arno è presto dominato da un senso di angoscia, perde la razionalità, dimentica le basi della giurisprudenza studiate e professate per anni, commette una serie di sbagli che lo invischiano sempre più. A lui non interessa: se c’è una cosa che lo preoccupa è risalire all’errore originale, ritrovare il momento in cui ha rotto rapporto col padre, capire chi fosse realmente quel genitore che in fondo non ha mai conosciuto e di cui continua a ignorare la vera essenza.
Profondo, “L’avvelenatore” è un romanzo psicologico che consiglio ai lettori che amano frugare nelle paure intime delle coscienze.
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Emanuele Altissimo
Emanuele Altissimo è nato nel 1987 a Torino, dove si è laureato con una tesi su David Foster Wallace e ha frequentato il biennio di scrittura creativa della Scuola Holden. Ha lavorato presso l’Autorità nazionale di regolazione dei trasporti e oggi insegna in un liceo. Nel 2019 ha esordito con il romanzo Luce rubata al giorno, vincitore del premio Kihlgren.