Sinossi. Carcere di Tempio, 1898. Giovanni Antonio Oggiano è recluso per un crimine che non ha commesso. I meccanismi della giustizia sono lenti, la paura di non poter riacquistare la libertà fa sì che decida di mettere su carta la storia della propria vita. Un’esistenza difficile, in una Sardegna ancora prettamente rurale e dove l’obiettivo principale di ogni sforzo è garantirsi una sopravvivenza dignitosa. Giovanni è abituato sin da piccolo a lottare per non essere sopraffatto dai più forti; eppure, quando tra mille peripezie riesce a costruire qualcosa di suo, è costretto a rinunciarvi. La sua voce rimane inascoltata, alla scrittura affida il resoconto delle vicende personali e la possibilità di aggrapparsi alla propria natura di essere umano, seppur confinata in una cella angusta. “Un innocente assassino” si basa su fatti reali e permette di immedesimarsi in una storia senza tempo e sempre attuale: quella degli innocenti ai quali è negato il riconoscimento della verità.
Un innocente assassino
di Margherita Altea
Augh! Edizioni 2023
Giallo storico, pag.197
Un innocente assassino
A cura di Chiara Forlani
Recensione di Chiara Forlani
“Ogni singola parola impressa su questa carta potrebbe essere tutto ciò che avrete di me, figlie mie. Le sceglierò quindi con minuzia, una per una. Ma prometto: racconterò solo la pura verità, partendo dal principio di ogni cosa.” Questo si legge sulla quarta di copertina del libro, sono le stesse parole con cui il prigioniero, Giovanni Antonio Oggiano, accusato di omicidio e in attesa di giudizio, scrive le sue memorie dalla cella di isolamento del carcere di Tempio, nel novembre 1898. Il luogo in cui è segregato è così angusto che non può alzarsi in piedi, la sofferenza è immensa e tangibile, ma un secondino gentile “dagli occhi di cielo” ascolta le sue parole e gli fornisce il necessario per scrivere. Ho deciso di iniziare la mia recensione con queste parole perché durante la lettura sono rimasta colpita dall’accuratezza con cui l’autrice ha scelto e utilizzato il linguaggio della sua narrazione: una lingua realistica che ci riporta a quella usata nell’Ottocento, parole taglienti e accurate nella descrizione dei sentimenti e della realtà rurale dell’epoca in una zona isolata come era la Sardegna.
Questo romanzo può sembrare il classico noir, oppure una storia epistolare di ingiustizie e soprusi, ma è molto di più: è un libro di denuncia, tale lo percepisce chi legge, tanto da avere il desiderio di ribellarsi contro le innumerevoli ingiustizie patite dal protagonista.
C’è la denuncia della condizione della donna alla fine dell’Ottocento. Segregata in casa o al massimo al lavoro nei campi, non è considerata un essere dotato di alcuna autonomia decisionale, esiste solo in quanto legata e dipendente da una figura maschile: sia essa il padre o il marito. I personaggi della madre del protagonista e di Nicolosa, sogno d’amore che non può avverarsi, si stagliano nel romanzo come figure tragiche a tutto tondo, e resteranno impresse a lungo nella memoria del lettore.
Ancora, c’è l’ignoranza dei contadini delle campagne e non solo. Questo modo gretto di affrontare l’esistenza porta i personaggi ad agire sulla scena come se fossero burattini mossi dal fato e dall’esigenza di sopraffazione gli uni sugli altri. È il genere di storia che poteva raccontare Giovanni Verga, pur se la sua opera era ambientata in un’altra realtà, quella di una Sicilia di contadini e pescatori non meno arretrati.
Altro tema affrontato nel libro, cardine di tutta la narrazione, è l’ingiustizia. Il lettore si chiede se chi è colpevole lo sia davvero, viste le cause che lo hanno spinto ad agire in un certo modo e le conseguenze che ne sono derivate, che agiscono come un vortice nefasto che spazza via tutto.
C’è poi l’amore, che spesso è interesse e opportunità, legame che toglie anziché dare e può portare fino alla morte. Non è il caso di fare di ogni erba un fascio, nel libro esiste anche l’amore vero, disinteressato e partecipe, ma è proprio quello che per un insieme di cause, tanto fortuite quanto sventurate, non può realizzarsi.
Leggendo questo libro curatissimo ed evocativo, che scava nel profondo, nei meandri della coscienza di chi lo legge, mi è tornata la voglia di rileggere i grandi classici dell’Ottocento e del Novecento, cui lo si può paragonare, e anche di scrivere a mia volta, per disseppellire quello che è stato, ciò che si nasconde nel passato delle famiglie, che ha avuto conseguenze che si vivono tutt’ora. La verità cui si ispira la storia è nettamente percepibile per tutta la narrazione, è talmente realistica e dura da sembrare scritta con il sangue.
Il dramma capitato al protagonista, l’ingiustizia dello stesso e il senso di rivalsa e di ribellione che suscitano in chi legge permeano tutto il romanzo. Chi legge si chiede come possano capitare tante tragedie alla stessa persona, quanta parte abbia il caso, quanta l’ignoranza e l’ingiustizia. Ci si sente sollevati per il fatto di vivere in un’epoca più evoluta dell’Ottocento, nel mondo attuale dove le prove devono essere verificate e non si può essere condannati solo per colpa delle malelingue e del maggior valore della parola di un signorotto o di un prepotente, rispetto a quella di un contadino. Un contadino che però sa scrivere con maestria, e nella sua storia fatta di memorie e di lettere di supplica ci coinvolge come non mai.
Un accurato lavoro di ricostruzione storica, nel quale nonostante la tragicità della vicenda si legge tutto l’amore per la sua terra dell’autrice.
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Margherita Altea
Margherita Altea è nata a Tempio Pausania (SS) nel 1978. Ha pubblicato il romanzo Il giardino di sabbia (Lettere Animate Editore, 2017), i racconti Lungo il fiume e Il viaggio di Isadora (Racconti nella Rete) rispettivamente nel 2018 e 2020.
A cura di Chiara Forlani