COLPO GOBBO
Franz Bartelt
DETTAGLI:
Traduttore: Giuseppe Girimondi Greco, Ezio Sinigaglia
Editore: Prehistorica Editore
Genere: noir
Pagine: 200
Anno edizione: 2024
Sinossi. “Io, quando ci do dentro a bere, mi fermo fra trenta e quaranta. Sempre birra. Non mischio mai. Trenta o quaranta birre, ce n’è abbastanza – credo – per vedere il mondo a colori. Più di così, sarebbe un vizio, una droga, una brutta china…” Pur non disdegnando l’alcol il bizzarro protagonista di questa storia non è un poco di buono; è un “tipo di sinistra” in fondo, “che ai soldi non bada mica” – dice. Certo, le ferme convinzioni di questo filosofo da bancone sono messe a dura prova questa sera, la sera in cui, in una bettola, incontra “l’idiota” (un altro?): un tipo “sbronzo marcio”, che si vanta di possedere un sacco di grana. È dal torbido – del malto e dell’animo umano – che Franz Bartelt (già premio Goncourt) attinge, in questo romanzo dalle tinte ambrate ma che l’ironia e uno spiccato gusto per l’iperbole impediscono di aderire completamente al genere noir; un fuoco d’artificio piuttosto, una barzelletta sporca forse, una fiaba nera tesa a suscitare sorpresa, umorismo e terrore. Un romanzo ancor più necessario di questi tempi, per ribellarsi alla censura della cancel culture e al livellamento dello stile ormai imperanti.
Recensione di Salvatore Argiolas
“Eccolo lì l’idiota” dice il narratore anonimo, incontrando un tizio in bar che parla di soldi e offre da bere a tutti senza neanche prendere il resto.
Essendo senza denari e visto che la compagna l’ha minacciato di buttarlo fuori di casa se non fosse ritornato senza liquidi il protagonista di questa storia nera, decide di seguire il generoso bevitore per vedere cosa potesse sgraffignare.
“Quella sera, la sera dell’idiota, non avevo superato le dodici, tredici birrette. Senza soldi la mia sete doveva darsi un limite. Karine me l’aveva rinfacciato a sufficienza. Mi aveva detto cose orribili. Mi aveva steso sotto il livello del suolo. Al colmo della collera mi aveva dato l’aut aut: “Torni con i soldi? Entri in casa, Torni senza? Non ci rimetti più piede.”
Non c’era più un centesimo, nella topaia. Una settimana prima avevo rivenduto qualche telefonino che tenevamo da parte per i momenti grami. Poi, per gli affari, erano arrivate le vacche magre. E’ sempre più difficile rubare senza sgobbare di brutto. Ho fregato un po’ di coprimozzi, di specchietti retrovisori, ma è roba che rende poco, quel poco che basta per sopravvivere a forza di fagioli in scatola, di questi tempi la vita è dura.”
Motivato dal bisogno, il nostro singolare narratore, che si definisce “di sinistra”, segue la vittima predestinata per capire come potesse rubare qualcosa di valore e sin qui siamo nella scacchiera narrativa frequentata spesso da Leo Malet, padre nobile del noir francese, territorio prediletto dell’ansia e dell’angoscia dove si sa solo che il giorno successivo sarà peggiore del precedente e dove il sole è sempre di seconda o di terza mano.
Poi però il ladruncolo cade in una trappola sapientemente organizzata dal presunto pollo che lo rinchiude in casa e lo costringe a seppellire in cantina il cadavere di un uomo appena ucciso, l’ultimo di una lunga serie.
Questo viraggio di prospettiva, porta il romanzo a lambire i plot dei thriller di Stephen King, dove una vittima si contrappone al suo carnefice ma poi evolve in una modalità molto originale perché il prigioniero viene costretto a visionare continuamente le televendite promosse anche da Jacques Cageot-Dinguet, il suo sequestratore e qui la satira di costume diventa solforica.
“Il suo televisore è splendido. Ma prende un solo canale” dice il prigioniero, “Però un film ogni tanto, una partita di calcio (…) i notiziari. Sono importanti i notiziari.”
“Se ne può fare benissimo a meno” ha detto lui. “Il canale delle televendite ci permette di seguire giorno dopo giorno i progressi della società umana. E’ un contenitore universale. Ci fornisce informazioni sulla moda, sui materiali, sugli e costumi, sulla medicina. Insomma, sugli aspetti più importanti dell’esistenza. E inoltre è un mondo incantato e, non esagero, io ci vedo la prefigurazione del paradiso.”
“Del paradiso?”
“Certo! Quello che la nostra religione ci promette. Le televendite ci restituiscono l’immagine di un mondo privo di imperfezioni. Ogni giorno tutto è nuovo. Tutto è vergine. Puro, soave da respirare, dolce come un eterno mattino.”
“Colpo gobbo” è così, caratterizzato da un linguaggio originale e caustico, ricco di ironia e di colpi di scena, a volte politicamente scorretto ma molto intrigante nelle discese ardite della trama e nelle risalite verso un finale particolare che sorprende sia il protagonista sia il lettore.
Franz Bartelt, scrittore molto noto in Francia, è una bella sorpresa, con la sua prosa magnetica che attrae per la sua originalità e la sua densità, con un protagonista sciagurato ma ben vivo, che racconta con naturalezza la bizzarra avventura che sta vivendo e che fa riflettere sul rapporto tra realtà e finzione e sulla volontà umana capace di credere vero quello che vorrebbero che fosse, come scriveva già Giulio Cesare nei Commentarii “generalmente gli uomini credono volentieri ciò che fa loro piacere”.
La scommessa di Bartelt, vinta, è stata quella di innervare un plot che poteva essere scarno e lineare con una fantasmagoria di trovate, frasi e opinioni veramente folgoranti, capaci di restare a lungo nella memoria.
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Franz Bartelt
è nato e vive nelle Ardenne. È autore di una quarantina di libri, alcuni dei quali gli sono valsi premi importanti, quali il Grand Prix de l’humour noir per Les bottes rouges e il Prix Goncourt de la nouvelle per Le bar des habitudes. Per Feltrinelli ha pubblicato Hotel del Grande Cervo (2018).