Da parte di madre




DA PARTE DI MADRE

Federica De Paolis


DETTAGLI:

Editore: Feltrinelli

Genere: Narrativa

Pagine: 240

Anno edizione: 2024

Sinossi. Allegra ed entusiasta, oppure malinconica e afflitta. Bellissima e fragile, con lo sguardo appena velato da “certi pensieri soffocati”. Così Federica racconta sua madre, la “fantasmagorica mamma bionda” dai gesti istrionici, dal portamento elegante e disinvolto attraverso cui traspare, in filigrana, un’irrimediabile insicurezza. L’autrice scava nella memoria per comporre il ritratto tenero e disincantato di una donna tutta luci e ombre, e al tempo stesso un tagliente spaccato di famiglia incorniciato nell’ambiente borghese di Roma. Con il suo sguardo di figlia, tra lo struggente desiderio di emulazione e la ricerca della propria identità, osserva la madre e la decostruisce. La rivede vicino al telefono, simile a un lepidottero intorno a un fascio luminoso, a sorvegliare la segreteria in attesa della chiamata di un uomo che non l’ama davvero. La rivede regina e poi schiava dei suoi amori – amori sghembi, fatti di assenza, desiderio, euforia e negazioni. La rivede madre e donna, modello e poi gabbia da cui liberarsi. Da parte di madre è la storia di un legame indissolubile, di scelte sofferte, della vita che ti prende e ti trascina via ma alla fine ti riporta lì dove tutto ha avuto inizio: la prima casa, tua madre. Federica De Paolis ha scritto un rocambolesco, intimo, profondo romanzo autobiografico fatto di immagini, voci e atmosfere che trascendono la vicenda personale per tramutarsi, con toccante immediatezza, in una parabola esistenziale che investe tutti noi.

Pensavo che l’amore fosse un corpo celeste nel quale tutto era possibile: il desiderio, l’euforia, l’estasi, per poi attraversare una cruna e gettarsi
in una landa di gelosia, tradimenti e furia. Restavano le braci piene d’insonnia, attesa e fumo.
Mia madre restava. Era sempre lì.

 Recensione di Barbara Aversa

 “Mio padre chiamava quasi tutte le sere, ma non avevamo granché da dirci. Non ero dispiaciuta     per la separazione. Il mio mondo era mia madre, mi sentivo al mio posto solo accanto a lei. Speravo  solo che smettesse di piangere e ricominciasse a vivere.”

Accadde. Lentamente, inesorabilmente, mentre un’infanzia incerta giungeva al capolinea.

Federica racconta sua madre, come un quadro di Picasso ribelle e carismatico, ma anche sofisticato ed elegante proprio come le ballerine di Degas. Perché questo romanzo lo si assorbe proprio come fosse un dipinto raffinato, tagliente e introspettivo.

La madre è bionda, laddove la “biondezza” ha un significato specifico. 

Da parte di Madre Federica è costellata da donne sensazionali, passate alla storia per il loro fascino e per la capacità di valorizzarsi.

Si piacevano e piacevano a tutti.

Al contrario di Federica.

La madre, quasi eterea, è seduttiva, scambia effusioni come fosse una pièce teatrale. Prodiga di racconti, di amori strabilianti, che poi nella realtà degli anni Ottanta trovano il loro inghippo con il Fisico. Perché l’amore è quasi al pari di una malattia, è veleno, è irrisolto.

Nel frattempo Federica si barcamena in una adolescenza apparentemente asettica ma ricca di vivacità interiore, di riflessioni e negazioni di sè stessa. Uno straniante senso di inadeguatezza, classi che non riescono mai a contenere la sua voglia di vita che viene imprigionata in divise, numeri, classificazioni (o la loro assenza).

Cerca sè stessa in modo semplice: senza cercarsi mai. Ritrovandosi a tratti scomposta e irriverente, arrabbiata digrignando però i pugni serafica. La via della fuga la porta ad uccidere il suo stesso mondo con le sue stesse mani. 

Un contenitore di moltitudini inespresse che vengono declinate al silenzio, una dopo l’altra.

Con la brama di dimostrare che è di un’altra pasta, Federica, non si piega al desiderio, è centrata e lucida. Non è soggetta a mutamenti ormonali. E inizia a scrivere, allontana il Gigante, il fidanzatino rustico dell’epoca a favore di “Ragazzodoro”, perché la serietà è fondamentale. Gonne al ginocchio, un filo di perle, i giochi di società che inconsapevolmente sostituiscono il sesso. E il Gigante.

Non è solo un romanzo e travalica il mémoire. È un libro di formazione, è un racconto introspettivo, è il viaggio che si inabissa in un rapporto esclusivo e simbiotico. Un materno bellissimo e fragile, dicotomico e istrionico, che si interscambia continuamente con quello di figlia.

In uno sfondo romano che attraversa un trentennio, anticipa temi attuali più che mai adesso, è una storia intima e delicata che emoziona profondamente e commuove.

Un legame vivo pulsante e inscindibile, due vite, un patto eterno fatto talvolta di omissioni, di ombre e  di luci. Perché in fondo la verità è solo un punto di vista incrinato ed ampio, impastata di versatilità e mutevolezza.

Ma non l’Amore. Quello è il primo e unico comandamento. 

Lui esiste. Resiste.

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Federica De Paolis


(1971) vive a Roma, dove è nata.  È dialoghista cinematografica. Con Le imperfette ha vinto il Premio DeA Planeta 2020. Nel 2022 ha pubblicato Le distrazioni (HarperCollins), Premio Selezione Bancarella 2023. È stata tradotta in diverse lingue. Scrive per “TuttoLibri – La Stampa”.

A cura di Barbara Aversa 

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