Ogni prigione è un’isola




Daria Bignardi


DETTAGLI:

Editore: Mondadori

Genere: narrativa d’inchiesta

Pagine: 149

Anno edizione: 2024

Sinossi. “Il carcere è come la giungla amazzonica, come un paese in guerra, un’isola remota, un luogo estremo dove la sopravvivenza è la priorità e i sentimenti primari sono nitidi”: forse è per questo che, da narratrice attratta dai luoghi dove “l’uomo è illuminato a giorno”, Daria Bignardi trent’anni fa è entrata per la prima volta in un carcere. Da allora le prigioni non ha mai smesso di frequentarle: ha collaborato con il giornale di San Vittore, portato in tv le sue conversazioni coi carcerati, accompagnato sua figlia di tre mesi in parlatorio a conoscere il nonno recluso, è rimasta in contatto con molti detenuti ed è tuttora un “articolo 78”, autorizzata cioè a collaborare alle attività culturali che si svolgono in carcere. Ha incontrato ladri, rapinatori, spacciatori, mafiosi, terroristi e assassini, parlato con agenti di polizia penitenziaria, giudici, direttori di istituto. Per scrivere di quel mondo si è ritirata per mesi su un’isola piccolissima: Linosa. Ma il carcere l’ha inseguita anche lì. E gli incontri e la vita sull’isola sono entrati in dialogo profondo con le storie viste e ascoltate in carcere. Bignardi ci racconta il suo viaggio nell’isolamento e nelle prigioni, anche interiori, con la voce unica con cui da sempre riesce a trasportarci al centro delle esperienze, partendo da sé, mettendosi in gioco, così come ha fatto la mattina del 9 marzo 2020 in un video girato di fronte a San Vittore, mentre alcuni detenuti salivano sul tetto unendosi alle rivolte che stavano scoppiando in molte carceri italiane. In seguito a quegli eventi sarebbero morte tredici persone recluse. “So come vanno le cose col carcere” scrive, “il carcere lo odiano tutti. Alcuni amano il carcere degli altri, per così dire”: parlarne è un gesto inevitabilmente politico, perché rivolgendo lo sguardo al carcere lo si rivolge al cuore della società, ma questo è anche e prima di tutto un libro personale, in cui ogni cosa – ritratti, riflessioni, cronaca, ricordi – è cucita assieme dalla scrittura limpida e coinvolgente di Daria Bignardi.

 Recensione Silvana Meloni


Non trovo le parole per aprire questa recensione, strano per me.

Forse la frase giusta è questa: è un libro splendido. Non è un romanzo, è un excursus personale su un tema oggettivo, da sempre studiato e approfondito dall’autrice come giornalista d’inchiesta. Quindi, nel definire il genere, io lo definisco narrativa d’inchiesta.

Anche per me questo tema tocca un nervo scoperto; anche io, da oltre trent’anni, mi sono occupata di istituzioni totali, come le chiama il sociologo Erving Goffman nel suo saggio Asylums, tradotto da Franco Basaglia: carceri e manicomi.

Istituzioni che dovrebbero tendere, ciascuna a suo modo, al reinserimento sociale della persona in difficoltà, e che invece sono state studiate per favorire l’isolamento, l’emarginazione, l’annientamento sociale delle persone che la società considera indesiderabili. Non a caso nascono insieme, carceri e manicomi, per poi dividersi nella seconda metà dell’Ottocento in concomitanza con lo sviluppo e la crescita della scienza psichiatrica.

In Italia la voce Ospedali Psichiatrici è stata cancellata dalla legge 180 del 1978, e gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, gli ex Manicomi Criminali, non esistono più dal 2015. Ma non temo smentite se affermo che la strada interrotta verso i manicomi è stata spesso, troppe volte, fatta deviare verso la struttura carceraria.

Oggi le strutture carcerarie, nella maggior parte obsolete, inadeguate, sovraffollate, accolgono persone per la maggior parte disagiate, alcuni con problemi psichiatrici, molti tossicodipendenti, molti immigrati senza permesso di soggiorno. La popolazione carceraria di un tempo, per esempio gli appartenenti a organizzazioni di criminalità organizzata, e i cosiddetti “politici”, gli ex terroristi, è ormai globalmente in minoranza rispetto alla totalità delle persone ospiti oggi delle prigioni nostrane.

Non a caso assistiamo al numero crescente dei suicidi in carcere, che ci dà la misura del disagio che alberga in queste strutture. I programmi di recupero sono pochi e mal dislocati territorialmente, il sud e le isole sono per la maggior parte esclusi dai fondi, e dunque dagli interventi, di questo tipo. Le colonie penali, per esempio in Sardegna, vanno verso la chiusura, invece che verso la riqualificazione di estesi territori, che potrebbero ben essere utilizzati per ottimi programmi di reinserimento e recupero.

Si privilegiano invece i fondi verso le strutture cosiddette di massima sicurezza, si tende a chiudere invece che aprire, a creare muri invece che cercare di abbatterli. Del resto, questa è la direzione in cui sta andando il nostro mondo, laddove da più parti si abborrisce il concetto di rieducazione e reinserimento, in favore di quello obsoleto della punizione a ogni costo. Siamo una società in disfacimento progressivo, che colma le proprie paure nell’ansia di punire, di trovare castighi sempre più estesi e articolati, laddove le nozioni di prevenzione, di giustizia sociale, di accoglienza degli ultimi, che sono cresciute concettualmente e nell’applicazione alla fine del secolo scorso, vanno a perdersi nella recrudescenza della repressione sociale.

Il libro di Daria Bignardi, con il suo stile colloquiale, del tutto personale, ma non per questo meno incisivo, ci porta all’interno delle strutture, anche nei momenti più difficili, e all’esterno delle stesse attraverso le parole di molteplici operatori del settore.

Ogni prigione è un’isola non è un assunto di partenza, ma è il risultato del ragionamento che l’autrice ha sviluppato in centocinquanta pagine di riflessioni, supportate da dati e testimonianze. Per quanto le regole siano le stesse, e dunque le strutture possano sembrare identiche, ogni prigione è un mondo a parte e io aggiungerei, ogni detenuto vive, all’interno della struttura, un’esperienza personale e unica di annichilimento.

Nella consapevolezza di questo, possiamo dimenticare l’esistenza di queste disperanti isole di dolore?

Nonostante l’evidente peso dell’argomento, la scrittura di Daria Bignardi scorre leggera e ci conduce per mano, senza retorica, in quella parte del nostro mondo, di cui forse vorremo dimenticare l’esistenza, ma che esiste davvero ed è sano e giusto non ignorare.

Lettura consigliatissima.

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Daria Bignardi


(Ferrara, 1961) è una giornalista, conduttrice televisiva e radiofonica scrittrice italiana. In attività dagli anni ’80, ha esordito in Rai nel 1991 nella trasmissione Milano Italia. Nel 1995 è passata a Mediaset, diventando conduttrice, in particolar modo, di talk show di costume e reality show. Su LA7 ha condotto Le invasioni barbariche. Come giornalista ha collaborato con Vanity Fair, ha diretto Donna dal dicembre 2002 al marzo 2005 e nel 2009 ha esordito come scrittrice (i suoi romanzi sono editi dalla casa editrice Mondadori) È stata direttrice di Rai3 dal 18 febbraio 2016 al 26 luglio 2017. Nel novembre 2018 Daria Bignardi ha esordito a teatro con La coscienza dell’ansia (Mondadori in collaborazione con Mismaonda). Ha pubblicato per Mondadori i romanzi: Non vi lascerò orfani (premio Rapallo, premio Elsa Morante, premio Città di Padova), Un karma pesante, L’acustica perfetta, L’amore che ti meriti, Santa degli impossibili, Storia della mia ansia, Oggi faccio azzurro, e per Einaudi Libri che mi hanno rovinato la vita, tutti grandi successi tradotti in molte lingue.

A cura di Silvana Meloni

Instagram/silvana.meloni