Intervista a Cosimo Buccarella




A tu per tu con l’autore


La più bella di sempre è un bellissimo romanzo storico che ambienta la vicende personali di quattro adolescenti nei Displaced Persons Camp. Si tratta di un episodio della nostra storia  di cui forse, oggi, non sappiamo molto. Nel 2005, il Presidente della repubblica Carlo Azeglio Ciampi insignì il Comune di Nardò, che ospitava il Displaced persons camp di cui ci parla nel suo romanzo, della Medaglia d’Oro al Merito Civile.  Chi veniva ospitato da questi campi e quando nacquero: ce ne può parlare?

Nel 1942 l’esercito italiano diede attuazione al piano fascista di sostituzione etnica in Slovenia, al tempo provincia italiana. L’idea era di impiantarvi una popolazione di “razza” italiana. Ma prima, ovviamente, bisognava svuotarla, la Slovenia. Iniziò così la deportazione di massa di tutta la popolazione di “razza” slovena, che venne incarcerata in campi di concentramento, come ad esempio quello sull’isola di Rab, nell’attuale Croazia, o di Gonars, in Friuli. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 e la conseguente ritirata degli italiani dai Balcani, gli Alleati decisero di dare ricovero ai superstiti dei campi di concentramento, e allo scopo impiantarono nel sud Italia, già sotto il controllo alleato, i primi Displaced Persons Camp. I primi ospiti del DP Camp numero 34, come vediamo nei primissimi capitoli de La Più Bella Di Sempre, furono proprio i prigionieri sloveni dei campi di concentramento italiani. Più tardi, seguendo l’avanzata alleata in Europa centrale, giunsero i sopravvissuti ebrei dei campi di concentramento nazisti e, mescolati a loro, un certo numero di loschi individui che approfittarono dei convogli di rifugiati per allontanarsi dall’Europa centrale: kapò, agenti delle SS, delatori e traditori vari. Nel romanzo, la coabitazione di queste persone con i veri rifugiati creerà più di qualche problema.

Leggendo le pagine de La più bella di sempre si capisce che sono precedute da una accurata ricerca storica, ma c’è anche l’impressione che lei sia riuscito a ricostruire alcuni aspetti della vita quotidiana dell’epoca e, in particolare, dei Camp, che difficilmente si trovano nei libri. Come ha condotto la sua ricerca?

Vivendo nei pressi del luogo ove sorgeva il DP Camp 34, ho avuto la possibilità di incontrare alcune persone in qualche misura coinvolte nell’esistenza del Campo, e apprendere dalla loro esperienza. Penso a Vittorio Perrone, che come i protagonisti dei miei due romanzi si ritrovò a vivere nel DP Camp per un periodo, da adolescente, e fece amicizia con alcuni coetanei. Ma anche a Pierluigi Congedo, che per primo ha identificato il campo di Santa Maria al Bagno come il DP Camp 34, e che mi ha portato nella casa dei suoi nonni, che nel 1944 fu requisita per ospitarvi dei rifugiati. Ma ho anche letto rapporti militari, memoir dei sopravvissuti, stralci dei loro diari, lettere che si erano scambiati, trovando documenti anche inediti nella biblioteca dello Yad Vashem a Gerusalemme e negli archivi dell’ONU. 

La più bella di sempre è un romanzo storico ma è anche uno straordinario romanzo di formazione. Tommaso, Marcello, Giovanni e Umberto sono i ragazzi che già abbiamo incontrato nel suo romanzo precedente – I fuoriposto – e che qui ritornano con la loro avventura che racconta di passioni, di pericoli e di solidarietà. Insieme sono complementari, una vera squadra, ma ognuno di loro ha una caratteristica che lo distingue dagli altri. Ce la vuole presentare?  

I ragazzi sono l’anima dei due romanzi: non solo i quattro appena citati, ma anche Romilda, Samuele e Myriam. È il loro sguardo che restituisce una visione degli eventi lontana dal disincanto e dagli idealismi degli adulti. Ed è la loro energia e capacità di credere che tutto sia realizzabile, a rendere possibili le grandi avventure che vivono. Giovanni è un po’ lo spiritello folle del gruppo, che  all’inizio si aggrega agli altri solo per curiosità. Almeno apparentemente, perché in realtà è legato da una grande amicizia e un fortissimo sentimento a Marcello, il più timido e impacciato, che vede nel Campo l’opportunità di crearsi un nuovo personaggio, per così dire: di iniziare daccapo cercando di mostrare un’altra personalità. Inoltre, il suo sfrenato innamoramento per Myriam è il pretesto che porta i quattro a cullare l’idea di entrare nel Campo. Tommaso è un indomito: uno che non si arrende mai. Può non avere particolari eccellenze, a parte un certo estro artistico, ma la voglia di non arrendersi mai lo rende il motore dei due romanzi. Umberto, infine, è il leader naturale del gruppo: un anno più grande degli altri, figlio di un bandito, sempre in grado di mantenere la calma e la razionalità, è colui al quale gli altri guardano quando c’è da prendere una decisione.

Ci sono dei personaggi storici a cui si è ispirato per i personaggi del romanzo? Qualche personaggio “realmente esistito”?

Molti personaggi mi hanno ispirato, ma sono presenti nel romanzo sotto mentite spoglie. L’unico a conservare la sua vera identità è, credo, Vittorio Bodini, uno dei maggiori poeti del sud Italia, autore de La Luna dei Borboni. Prendendo spunto da un episodio realmente accaduto nella vita di Bodini – il tentativo fallito di unirsi a una banda partigiana – ho immaginato uno scenario in cui il poeta cerca riscatto e nuovi alleati nei partigiani sloveni ospitati nel DP Camp. Per questo, Bodini si rivolge a Paolo Congedo, il recalcitrante Mayor del Campo. Ma, ancora una volta, le cose andranno a finire molto diversamente da quanto Bodini aveva immaginato

A quali romanzi di formazione ha fatto riferimento nel suo percorso di scrittore? Più a I ragazzi della via Pal  o a Il giovane Holden?

I miei sono romanzi di formazione ricchi di azione e avventura, con un pizzico di humor e di tensione; un genere che si avvicina a Stand by me, IT, Vite pericolose di bravi ragazzi, e a pellicole come i Goonies.

E quanto ha influito, invece,  la letteratura del neorealismo nella sua formazione letteraria? 

Pochissimo.

Gli anni in cui è ambientato il romanzo sono proprio quelli in cui, con i maschi impegnati al fronte, le donne si assumono nuove responsabilità, anticipando gli anni dell’emancipazione.  Hannah, Myriam e Romilda raccontano qualcosa di questo cambiamento del ruolo della donna nella storia italiana?

Per i salentini dell’epoca dev’essere stato un vero choc vedere quante donne lavoravano, anche in posizioni di comando, nelle fila dell’UNRRA e delle altre agenzie, soprattutto statunitensi, implicate nella gestione dei DP Camp. Che guidassero i camion o dirigessero un settore, queste donne devono essere state anche fonte d’ispirazione per le ragazze e le donne italiane: almeno hanno fatto veder loro che esisteva la possibilità di fare qualcosa di diverso dal raccogliere tabacco e lavare i panni, incarichi in cui erano di frequente occupate. Proprio come accade a Myriam e Romilda che, seguendo l’esempio di Hannah, ebrea americana alla guida dell’ufficio Welfare del Campo (oltre che incaricata di un altro compito, segreto), non esitano a lanciarsi nell’avventura. Sicuramente, dunque, non solo l’impegno degli uomini in guerra, ma anche il contatto con queste persone “nuove” ha allargato gli orizzonti e le aspettative delle donne italiane.

Nel libro si parla anche di banditismo: Umberto è  figlio del bandito Fiammella, “il latitante più ricercato della zona”. È vero che la guerra e la crisi dell’autorità centrale fecero riemergere il fenomeno del banditismo in maniera preoccupante, soprattutto al sud? 

Brigantaggio e banditismo nel sud Italia sono fenomeni mai davvero sopiti. Già Murat si illudeva di averli sconfitti, ma i rapporti trionfali che riceveva dai suoi luogotenenti in Puglia erano falsi: una volta risolto il problema, infatti, i comandanti venivano richiamati a Napoli, capitale del Regno; una volta scoperto il trucco, i rapporti che annunciavano la sconfitta dei briganti non tardavano ad arrivare sulla scrivania del buon Gioacchino. Con la caduta del fascismo e la conseguente crisi economica e di potere, i banditi approfittarono delle nuove possibilità di contrabbando, ricettazione e mercato nero. Vincenzo Fiammella, il padre di Umberto, è uno di questi nuovi banditi: un po’ contrabbandiere e un po’ boss, vive in latitanza e prospera nella mancanza di regole e nell’economia disgregata del Salento dell’immediato dopoguerra.

Dopo I fuoriposto  e La più bella di sempre, possiamo aspettarci un terzo episodio della storia ambientata a Santa Maria al Bagno? 

La vicenda che ho architettato richiede un terzo episodio, con nuovi personaggi e alcuni ritorni, primo fra tutti quello di Libero Vola, che compare ne I Fuoriposto ma non ne La più bella di sempre. Credo che per leggerlo bisognerà attendere un po’, ma ho intenzione di premiare la pazienza dei lettori con un finale che varrà l’attesa.

A cura di Renata Enzo

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