Intervista a Jacopo De Michelis




A tu per tu con l’autore



Partiamo dal tuo protagonista, Pietro, che si è ritrovato a dover affrontare scelte difficili, che in qualche modo lo hanno costretto a decidere, fra ciò che aveva nel presente della sua giovinezza e un possibile futuro, invece, tutto da scrivere. Puoi raccontarci un po’ di lui? C’è qualcosa che ti accomuna con il tuo personaggio?
Essendo stati tutti partoriti dalla mia immaginazione, credo ci sia qualcosa di me in ciascuno dei personaggi dei miei due romanzi, ma tendo a non attribuire loro caratteristiche e tratti esplicitamente autobiografici.
Pietro Rota è nato in un piccolo paese da una famiglia di umili origini, una realtà che gli andava stretta e da cui è fuggito per inseguire, a Milano, il suo sogno di diventare un grande giornalista. In apertura di romanzo lo troviamo alle prese con l’amara delusione per non esserci riuscito. Si sente un fallito e la sua vita è allo sbando.  Il ritorno a casa gli darà l’occasione di riconsiderare alcune sue scelte e provare a riconciliarsi con un passato che aveva rinnegato. Ma, anche in questo caso, nulla andrà come pensava e sperava.
Fortunatamente, a me non è capitato nulla di paragonabile, se non molto alla lontana. In una certa misura, però, scrivendo il romanzo ho vissuto quelle esperienze attraverso di lui.


Dopo la partenza di Pietro, sono rimasti indietro e ancorati all’isola, per motivi diversi, Cristian e Betta, oltre a Nevio, suo padre. Puoi parlarci un po’ di loro e dare un’idea, a chi non li conosce di quale ruolo hanno avuto e continuano ad avere tutt’ora nella vita del giornalista?

Nevio, Cristian e Betta erano le persone più importanti nella vita di Pietro durante gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza trascorsi a Montisola. Con il primo aveva sempre avuto un rapporto difficile e conflittuale, gli altri due erano invece i suoi più grandi amici, insieme ai quali formava un terzetto indissolubile. Andandosene ha rotto i ponti con tutti e tre e quando è costretto a tornare per aiutare il padre alle prese con un’accusa di omicidio, dopo dodici anni di assenza, si trova a dover fare i conti anche con le conseguenze di quella rottura.
“La montagna nel lago” è un thriller – o forse più precisamente un mystery – costruito attorno a un’indagine piena di suspense e colpi di scena, ma le relazioni e i sentimenti umani vi hanno un ruolo fondamentale: al centro delle vicende ci sono un rapporto padre-figlio, l’amicizia e – ultimo ma non meno importante – l’amore.



Non si deve avere paura dei propri sogni. Molto dipende da cosa si è disposti a sacrificare per realizzarli.” Questo pensa uno dei tuoi personaggi ad un certo punto del romanzo. Una vittoria personale ma allo stesso tempo una sconfitta, per molte cose che andranno ad accadere. Anche Jacopo De Michelis è disposto ad affrontare dei sacrifici per arrivare a meta, nei limiti ovviamente della sua coscienza?

Quello della realizzazione delle proprie aspirazioni e sogni giovanili è un tema che attraversa l’intero romanzo, coinvolgendo a vario titolo molti dei personaggi. È preferibile mettere tutto in gioco e provare a realizzarli, correndo il rischio di rimanere dolorosamente scottati da un fallimento, o restare coi piedi per terra ponendo un freno alle proprie ambizioni?
E soprattutto: fin dove ci si può spingere pur di raggiungere l’obiettivo? Cosa si è disposti a sacrificare? Anche gli affetti, la dignità, l’integrità morale? Sono domande a cui io in quanto autore non do risposte, limitandomi a porre la questione. Lascio che siano i miei personaggi a tentare di farlo, ognuno a modo suo.



Dopo aver affrontato l’argomento nel tuo libro, nei ringraziamenti finali dedichi un ricordo e uno spazio a dei nomi di persone che hanno perso la vita in un momento e luogo specifico. Dopodiché concludi con questa affermazione: “La speranza è che preservare la loro memoria possa aiutarci a evitare, in futuro, di dover pagare nuovamente un simile prezzo.”. Questo è un pensiero molto nobile che condivido pure io, ma ti chiedo: da sempre ci insegnano che la storia si studia per evitare di ricadere negli errori commessi nel passato però, alla luce del mondo che ci ritroviamo ora, secondo te, quanto abbiamo imparato fino ad ora e quanto, invece, c’è ancora da apprendere visto che sembra di andare all’indietro piuttosto che progredire?

La storia tende inesorabilmente a ripetersi, ma purtroppo lo fa in forme sempre diverse, il che rende più difficile riconoscere la minaccia quando si profila all’orizzonte.
La mia grande preoccupazione degli ultimi anni è che in Italia, così come in altri paesi occidentali, siamo talmente assuefatti alla democrazia che tendiamo a darla per scontata, notandone solo i limiti e i difetti. Intendiamoci, le democrazie sono imperfette ed è più che giusto criticarle e denunciarne le storture – anzi, la possibilità di farlo è una delle cose che le contraddistingue come tali – ma occorre stare attenti a non gettare il bambino con l’acqua sporca. L’Italia non è sempre stata un paese democratico e non sta scritto da nessuna parte che continuerà a esserlo in eterno. Dobbiamo amare e preservare le nostre istituzioni democratiche, se non vogliamo rischiare che ci vengano tolte, insieme al bene più prezioso che ci garantiscono: la libertà.
Per rendersi conto che si tratta di un’eventualità molto meno remota di quanto ci piacerebbe credere, basta guardare a quello che è successo negli Usa, dove sono stati sufficienti quattro anni di presidenza Trump perché la più grande democrazia occidentale vacillasse, quell’inquietante 6 gennaio 2021 in cui il presidente uscente, nel tentativo di sovvertire il risultato delle elezioni che lo vedeva sconfitto, ha fomentato un violento assalto alla sede del Congresso americano.
A questo fa riferimento il monito che ho inserito nella postilla storica con cui si conclude il libro.



Mi è piaciuto molto il luogo che hai scelto come ambientazione della tua storia, anche perché attraverso le tue parole e le tu descrizioni, l’isola mi è esplosa davanti agli occhi come se fossi stata lì. Come mai hai scelto di ambientare il tuo romanzo proprio in quel luogo? È dipeso dagli aspetti storici di cui narri?

Tutto è partito da alcuni lontani ricordi d’infanzia, al tempo stesso vaghi ed estremamente vividi, di una breve vacanza trascorsa a Montisola, che mi sono riaffiorati alla mente nel periodo in cui stavo cercando spunti per una nuova storia da scrivere dopo “La stazione”. Ho cominciato a informarmi e documentarmi sul posto, e le cose che ho scoperto mi hanno convinto che non avrei potuto trovare uno scenario più adatto per ambientarci un romanzo.
“La montagna nel lago” è piuttosto diverso da “La stazione” sotto svariati aspetti, ma c’è un punto che li accomuna: sono entrambi romanzi nati dalla fascinazione per un luogo. Quello che per il mio primo libro era la stazione Centrale di Milano, è Montisola per il secondo. È stata quest’ultima a ispirarmi gli elementi fondanti della vicenda, che potrebbe svolgersi solamente lì e da nessun’altra parte. E oltre a raccontare una spero avvincente storia poliziesca, il libro svela al lettore quel luogo così particolare e suggestivo eppure poco noto: i paesaggi, usanze e tradizioni, alcuni risvolti nascosti e sorprendenti della sua storia.


A questo punto, dopo aver letto i tuoi due romanzi e dopo aver fatto la conoscenza dei personaggi ti chiedo: avremo la possibilità di leggere una nuova indagine con Riccardo Mezzanotte oppure con Pietro Rota? Hai comunque già un nuovo manoscritto pronto a fare cucù dal cassetto?

Non lo escludo, ma per ora non è previsto. Mi sono reso conto di avere un problema con i sequel: nei miei romanzi io tendo a spingere i malcapitati protagonisti all’estremo limite delle loro possibilità, li porto fino al punto di rottura e vedo come reagiscono, perché è soltanto in quel momento che rivelano chi sono davvero. Situazioni del genere tendono a capitare una volta nella vita, e ciò mi rende più difficile pensare a un bis che li riguardi.
Al momento ho tre idee su cui sto rimuginando, ancora a uno stadio embrionale, e devo decidere quale è la più matura, pronta a sbocciare in forma di romanzo.



Jacopo De Michelis, è un grande lettore? Se sì, quali sono i suoi autori di riferimento ed eventualmente, c’è posto anche per gli autori nordici?

Faccio l’editor in una casa editrice, perciò non potrei non esserlo. Leggere per me è importante come respirare. Nel mio pantheon letterario ci sono tra gli altri Giorgio Scerbanenco, Jean-Patrick Manchette, James M. Cain, Patricia Highsmith, James Ellroy, David Peace, Don Winslow. Lavorando in Marsilio, poi, tra gli autori scandinavi mi sento a casa. Ho una venerazione per Stieg Larsson ma amo molto, per esempio, anche Asa Larsson e Jussi Adler-Olsen.

Jacopo De Michelis


Grazie da parte mia e dalla redazione di Thrillernord.

Loredana Cescutti

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