MALEMPIN
Georges Simenon
Traduttore: Francesco Tatò
Editore: Adelphi
Genere: Mistero/Narrativa
Pagine: 142
Anno edizione: 2024
Sinossi. Malempin, scrive André Gide nei suoi appunti per un libro su Simenon, è la «messa in pratica» perfetta di quello che l’autore definisce il suo «metodo»: «far rivivere il passato nel, e attraverso il, presente. Qui i ricordi del passato si alternano al racconto del momento attuale … E il passato fa luce sul presente, che senza quello rimarrebbe incomprensibile». Del passato, mentre veglia notte e giorno il minore dei suoi figli, affetto da difterite maligna, il dottor Édouard Malempin rievoca soprattutto l’infanzia: perché è stata quella – è sempre quella, Simenon ne è convinto non meno di Freud – a fare di lui l’uomo che è oggi. Determinanti sono stati certi odori (quello della cucina della casa dei genitori, per esempio), certe sensazioni (la beatitudine che provava allorché, malato, poteva «fare assenza» e isolarsi dal mondo), certe scene (la notte in cui si era svegliato e aveva visto il padre chino su di lui, o quando avevano portato in manicomio la giovane zia, una «femmina allo stato puro», bionda rosea e polposa, in preda a una crisi di follia) che si sono fissati nella memoria – ma più ancora le zone d’ombra e i misteri che non è mai riuscito a penetrare fino in fondo: la scomparsa di uno zio a cui i suoi genitori dovevano un bel po’ di soldi, l’aver sentito la madre mentire a un gendarme venuto a interrogarla, e quel polsino con un gemello d’oro che poco tempo dopo aveva visto in una discarica andando a scuola, e sul quale aveva sempre taciuto…
A cura di Edoardo Guerrini
Di Georges Simenon ovviamente non si può dire:
“E chi è costui? Chi lo conosce?”: si può soltanto dire che è in assoluto uno dei maggiori autori del Novecento, anche grazie all’enorme produzione; oltre ai romanzi gialli con Jules Maigret, che personalmente ho letto – davvero! – tutti da quando la casa editrice Adelphi li ha ripubblicati in modo sistematico, ma quello è un mondo a parte, ci sono anche numerosissimi “non Maigret”, e tutti sicuramente vale la pena leggerli, anche se, lo confesso, di quelli me ne mancano ancora un bel po’.
La grandezza di Simenon sta, a mio avviso, soprattutto nella capacità di costruire dei personaggi di grande complessità psicologica, e di trasferirne al lettore le molteplici sfaccettature del carattere e dei comportamenti. Come faceva a realzzare qualcosa di simile? Qualche anno fa ho seguito una conferenza tenuta dal bravissimo autore/intellettuale/comico/ex uomo di televisione Bruno Gambarotta, il quale raccontava il periodo piuttosto lungo in cui era rimasto a diretto contatto con Simenon, mentre con la RAI stava girando un documentario su di lui direttamente a casa sua, avendo così l’opportunità di seguire il metodo, sistematico e intenso, con cui l’autore creava una delle sue molteplici storie lavorandoci con grandissima intensità per pochi giorni, tipo una settimana, a costo di rinchiudersi in camera e non volere che nessuno lo disturbasse, e basandosi su accuratissime schede realizzate sui personaggi, il cui nome lo creava cercando a caso su un elenco del telefono.
Malempin, come emerge dalla sinossi, è una storia, scritta nel 1939, in cui due piani temporali si intersecano costantemente: mentre il dottor Édouard Malempin resta, piuttosto angosciato, fermo al capezzale di suo figlio Bilot, che appena uscito dal morbillo si è preso una difterite maligna che lo sta mettendo in serio pericolo di vita, e Malempin, pur aiutato da un collega medico del suo stesso ospedale, sa che il pericolo è assai alto, si ritrova a calarsi nel passato della sua infanzia, a confrontare il suo essere padre con quello che era stato suo padre, e a ripensare a una vicenda della sua famiglia piuttosto torbida.
La grandezza di Simenon sta a mio parere proprio nella capacità di mostrare al lettore le enormi complessità del vivere borghese, che portano persone anche del tutto “sane” a compiere atti piuttosto gravi, atti cui il dottor Malempin non ha assistito visivamente:
ma ha avuto modo di intuirne la gravità, attraverso una serie di elementi: una falsa testimonianza prodotta da sua madre alla polizia, cosa su cui lui, pur avendone piena cognizione, non ha osato, da bimbo di sette anni qual era, intervenire smentendola; un polsino legato da un noto gemello con una pietra color rosso rubino che apparteneva a suo zio, e che lui vede abbandonato in una discarica in mezzo ai campi mentre si reca a scuola, e anche di questo non osa far parola a nessuno.
Proprio tutti questi sensi di colpa rimasti incardinati nell’animo del dottore rivivono in un momento così drammatico in cui rischia di perdere il proprio amato figlio, facendolo anche interrogarsi sul proprio rapporto con la moglie: non l’amava davvero, l’ha “scelta da un catalogo”.
L’importanza dei ricordi nella vita:
“Ma perché in seguito, al momento di addormentarmi, mi è spesso accaduto di rivedere mio padre come quel giorno e di provare sempre un malessere? Non so se è così per tutti: io ho un repertorio, fortunatamente ristretto, di impressioni sgradevoli, di ricordi diffusi e penosi, che mi ritornano in mente a intervalli regolari, nei momenti di semincoscienza, quando mi corico con lo stomaco troppo pieno, oppure in certe mattine, se per caso la sera prima (ma è raro) ho ecceduto nel bere. Questo è uno di quei ricordi: mio padre meno saldo, meno uomo del solito, mio padre inquieto e, dopo l’intrusione di mia madre, come imbarazzato.”.
E la complessità dell’incastro del bene col male:
“Sono gentile. Tutti i malati concordano nel riconoscere che sono gentile. Non mi spingo ad affermare che questa mia gentilezza sia artificiosa. Detesto il dolore, e ancora di più lo spettacolo del dolore. Faccio l’impossibile per risparmiarlo ai miei pazienti, e per risparmiare loro anche quel dolore più lancinante che è la paura. All’ospedale è facile sentir dire: «Col dottor Malempin, non sentirà niente…».”
Ma poco dopo il dottore pensa diversamente di sé:
“D’altronde, che cosa avvenne? Quando uno prende a raccontarsi, tende facilmente a credere e a far credere di aver avuto un destino fuori dal comune. Io sono convinto che migliaia, centinaia di migliaia di uomini giochino d’astuzia con il proprio destino, mentano a se stessi, assumano certi atteggiamenti perché li ritengono i più convenienti e i meno pericolosi. In definitiva che cosa feci io, se non seguire oscuramente un istinto familiare, lo stesso che indirizzò mio nonno alla carriera di notaio, lo stesso che spinse mia madre, caduta in rovina, verso una vita borghese o perlomeno verso una sua parvenza?”
Eppure, nonostante tutta la gravità del momento, piano piano la malattia guarisce, e i ricordi si fanno più quieti: si torna al lavoro in ospedale, e si ritrova il figlio che gioca ridendo con sua madre.
E noi lettori pensiamo a quanto siamo stati fortunati a vivere un’infanzia felice, pacifica, con genitori che si amavano immensamente, e a quanti bambini invece oggi soffrono dilaniati dalle guerre che li mettono in costante e immenso pericolo di vita.
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Georges Simenon
Scrittore belga di lingua francese (Liegi 1903 – Losanna 1989). Tra i più celebri e più letti esponenti non anglosassoni del genere poliziesco, la sua produzione letteraria, soprattutto romanzi gialli, è monumentale: essa conta poco meno di duecento romanzi, fra cui emergono − per popolarità in tutto il mondo e per salda invenzione − quelli della serie di Maigret, quasi tutti tradotti in italiano. Vita e opere: Dopo il suo primo romanzo, scritto a 17 anni (Au pont des arches, 1921), si trasferì a Parigi dove pubblicò sotto svariati pseudonimi opere di narrativa popolare. Nel 1931 con Pietr le Letton, che uscì sotto il suo nome, inaugurò la fortunatissima serie dei romanzi (circa 102) incentrati sul commissario Maigret, che rinnovarono profondamente il genere poliziesco. Negli USA dal 1944 al 1955, tornò poi in Europa, stabilendosi in Svizzera; nel 1972 smise di scrivere, limitandosi a dettare al magnetofono, e tornò alla scrittura solo per redigere i Mémoires intimes (1981). Autore straordinariamente prolifico, con stile semplice e sobrio ha narrato nei suoi romanzi, caratterizzati da suggestive analisi di ambienti, la solitudine, il disagio esistenziale, il vuoto interiore, l’ossessione, il delitto (La fenêtre des Rouet, 1946; Trois chambres à Manhattan, 1946; La neige était sale, 1948, trad. it. 1952; L’horloger d’Everton, 1954; Le fils, 1957). Gran parte di questa abbondante produzione, che ha ispirato molti film ed è stata tradotta in 55 lingue, è stata riunita nelle Oeuvres complètes (72 voll., 1967-73) e in Tout Simenon (27 voll., 1988-93). Ricordiamo inoltre i racconti e le prose autobiografiche (Je me souviens, 1945; Pedigree, 1948, trad. it. 1987; Quand j’étais vieux, 1970; Lettre à ma mère, 1974, trad. it. 1985; la serie Mes dictées, 21 voll., 1975-85), e le raccolte di articoli À la recherche de l’homme nu (1976), À la decouverte de la France (1976), À la rencontre des autres (1989). Nel 2009, in occasione del ventennale della morte, è stato pubblicato in Francia a cura di P. Assouline il monumentale Autodictionnaire Simenon, lungo le cui voci (in gran parte tratte da interviste, carteggi e appunti dello stesso S.) si snoda un’originalissima e dettagliata biografia dello scrittore.